Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 19/6/2015, 19 giugno 2015
SQUINZI E LA STORIA COME FARSA RENZIANA
Giorgio Squinzi è un chimico, un uomo d’azienda non uso alle sottigliezze della dialettica. Pure il sorriso è quello che è: il più delle volte sembra fissato da uno di quei collanti per l’edilizia che produce la sua Mapei, mentre lo sguardo vaga in profondità oceaniche di silenzio. Proprio questa sua flaubertiana santità, però, rende particolarmente significative le sue rare parole non controllate dall’ufficio stampa. Ieri, per dire, il presidente di Confindustria si trovava a Colico per l’assemblea di Sondrio e Lecco dell’associazione e lì i giornalisti gli hanno chiesto conto di quel decreto del Jobs Act che consente di controllare pc, telefoni e tablet aziendali dei dipendenti (prima di Renzi, lo Statuto dei lavoratori lo vietava ritenendolo un po’ eccessivo e pregiudiziale della privacy).
“Non mi sembra così grave”, s’è stupito Squinzi. D’altronde “o vogliamo cambiare le cose o lasciamo perdere”, ha detto da quel sincero riformista che è. Morale: “Chi ha la coscienza pulita non dovrebbe temere nessun tipo di controllo, non deve aver paura di controlli a distanza”. Squinzi, com’è giusto, vive nell’eterno presente del fatturato, ma la sua frase ha un precedente: “Chi non ha nulla da nascondere, non ha nulla da temere”. Si dice l’abbia detta Hitler. Pare che Squinzi, il giorno che vennero a prendere il suo vicino, non disse niente perché non aveva “nulla da nascondere”. La domanda è: ma dopo la tragedia e la farsa, sotto che faccia si presenta la storia? Quella di Squinzi?
Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 19/6/2015