Cristina D’Antonio, GQ 7/2015, 19 giugno 2015
IL PRINCIPE DELLE SIRENE
[Giorgio Minisini]
Gli uomini che fanno nuoto sincronizzato ce le hanno quadrate. Bill May. Benoît Beaufils. Giorgio Minisini. Il più famoso al mondo, bannato alle Olimpiadi del 2004 perché maschio, un americano. Il più determinato a provarci anche se ha quasi 37 anni, un francese. Il più convinto che fosse l’ora di aprire le gare agli uomini, un italiano di Roma. Andranno tutti ai Mondiali di Kazan, dal 24 luglio al 9 agosto, grazie alla decisione della Federazione internazionale di inserire il doppio misto nel programma tecnico e libero. È quindi ufficiale: il nuoto sincronizzato non è più una cosa per sole donne.
Minisini, 19 anni compiuti a marzo, fidanzato con Eleonora è appena uscito dall’acqua. Non un brivido. Dice: «Sono pronto. Sono tredici anni che aspetto». In Russia l’azzurro ci andrà con Manila Flamini, che lo affianca nel programma tecnico, e con Mariangela Perrupato, sua compagna di libero. Quando li raggiungiamo per scattare le foto, sono riuniti in collegiale a Savona. Sono entrati in piscina alle otto del mattino.
Quanto dura l’allenamento?
«Otto ore».
Come andare in ufficio.
«Eh. Ma l’ufficio non è la mia storia».
Intanto c’è l’esame di maturità. E dopo che cosa succede?
«Potrebbe esserci l’università di Scienze motorie. Mi piacciono l’anatomia e la fisiologia. Sono uno che cerca di capire le cose: quando mi faccio male, vado a guardare sui libri cosa mi è successo».
Perché il nuoto sincronizzato?
«Me lo sono posto come sfida. Ho iniziato il taekwondo a 5 anni e il nuoto a 6. Nel taekwondo ero secondo ai Nazionali, ma ho perso la finale per un punto. Nel nuoto sincronizzato non ero riuscito a classificarmi. Sarebbe stato facile mollare il colpo nello sport in cui ero più indietro. Ho fatto la scelta opposta».
Quale delle due sconfitte ti ha bruciato di più?
«Quella nella finale di taekwondo me la sono sognata molte notti: vincere fino agli ultimi 20 secondi e poi perdere perché mi è mancata la concentrazione è stata una bella botta. Sbagliare mi è stato di aiuto per quello che è venuto dopo».
Che cosa hai imparato?
«A fidarmi dell’allenatore. Non ho seguito fino in fondo la strategia che era stata scelta per me, credendo di saperne di più. E così l’ho pagata a mia spese».
Quale dei due sport impone la disciplina più dura?
«Il sincro. Ogni sport pretende di farti arrivare allo stremo delle forze. Ma questa è una fatica che non ho mai provato in vita mia. Alla fine dell’esercizio, di quei 3, 5, 6 minuti, non so più chi sono».
Nel taekwondo non succede?
«Lì, lo sforzo è più gestibile: c’è il dolore muscolare. Qui, ogni volta sto a un passo dalla morte. E poi rinasco».
Dipende dal fatto che l’azione si svolge in apnea?
«Sì, anche per quello. Ogni volta che affronti un nuovo esercizio devi capire come respirare: all’inizio cerchi solo di prendere l’aria, perché non sai in quale momento puoi farlo, e sai che l’ultima boccata non puoi sbagliarla. Se succede, bevi e soffochi. Ma non interrompi l’esercizio: viene prima di tutto, anche di te. In gara certi errori non sono concessi».
E come si fa a non fermarsi?
«Non bisogna pensare, bisogna solo agire. Durante l’allenamento l’esercizio viene ripetuto 50 volte: il corpo impara il movimento e ne mantiene la memoria. Se bevi o sbagli a respirare, non devi chiederti cosa fare. Devi solo resistere. Tanto sai che dopo esci».
È il controllo.
«Le cose peggiori capitano già durante l’allenamento: crampi, bevute, malesseri. La cosa peggiore? Iniziare senza riscaldare i muscoli. Ma ci obbligano. Perché se hai già provato in condizioni pessime e ci sei riuscito, alla fine sei pronto a tutto».
Come riporti questa determinazione fuori dall’acqua?
«La disciplina conta quanto la pratica. L’allenamento è tutto nella vita. Sai che se reagisci, invece di mollare, è meglio».
Qual è la parte più difficile del nuoto sincronizzato?
«Per chi osserva e ne sa poco, la coordinazione motoria. Per l’atleta, la costanza: stai bene, stai male, devi dare comunque il meglio. È stressante per il fisico quanto per la mente. Alla fine di un esercizio hai 220 battiti al minuto, apri la bocca e non sai se è il momento di ispirare o espirare. Eppure devi sorridere».
Primo maschio italiano a gareggiare ai Mondiali. Che effetto fa?
«Una soddisfazione. È la prima chance di far vedere che l’intesa uomo-donna è bella, sia nelle differenze che nelle verosimiglianze. Mi sento pronto a gestirla, sono 13 anni che l’aspetto, voglio far vedere al mondo che cos’è il sincro maschile».
Quindi non temi l’effetto Billy Elliot.
«Ho iniziato a 6 anni: ho una madre che allena le sincronette, un padre giudice internazionale, l’ho fatto con mio fratello maggiore e mio cugino. Per me il sincro è sempre stato il mondo».
Mai subito provocazioni?
«La marzialità del taekwondo mi ha educato a evitare lo scontro, specie se si litiga per l’aria fritta. Meno in un paio di volte, dove la scazzottata c’è stata».
Dici spesso che il sincro ti ha insegnato a essere uomo.
«Sì, è grazie al nuoto che ho sviluppato il mio lato maschile. In una piscina di donne sono obbligato a spiccare come maschio. Le arti marziali invece mi hanno fatto evolvere come persona. E crescere in mezzo a un mondo di femmine mi ha dato la coscienza del mondo».
Quindi cosa hai capito delle donne?
«Che meritano rispetto. Che bisogna riconoscere il loro valore. Ho visto quanto sta male una donna tradita. E ho capito che è importante confrontarsi come persone, al di là del sesso di appartenenza».
Quale spirito di squadra si forma con le donne?
«Capisci che alla fine è uno sport, che non stai uscendo con gli amici. Con i maschi si arriva spesso alle mani: nella pallanuoto gli scazzi sono frequenti, meglio se ci si sfoga con una sberla piuttosto che in partita. Con le femmine la squadra viene fuori soprattutto durante le trasferte: impari a separare i piani. Sii serio in acqua, gioca quando sei all’asciutto».
Cosa dicono loro su di te?
«Che non parlo mai. Vero: conosco i miei limiti, e quando mi sembra di non avere cose interessanti da dire, sto zitto».
Quanto vale un consiglio di papà?
«Sarebbe un consiglio da Mondiale».
Ne ha già dati?
«Come tenere alta la performance artistica. Non mostrare cupezza né paura, mai».
Bill May come modello. Perché?
«Era il 2000, Bill May era in gara a Roma. È stato un flash. Nell’acqua c’era qualcosa di diverso: il movimento di un uomo. Le spettatrici erano elettrizzate. Io ero un bambino, ma abbastanza sveglio da percepire che se così andava il mondo quella era una figata».
Da cosa si capisce che quello bravo adesso sei tu?
«Se non sai nulla di nuoto sincronizzato, sono bravo se ti diverti e il tempo passa veloce. Se invece sai come funziona, dipende da quanto rendo evidente il gioco tra uomo e donna».
Com’è lavorare in acqua con Manila e Mariangela?
«Se ti piace il calcio, è come giocare a pallone con Cristiano Ronaldo».