Tino Oldani, ItaliaOggi 19/6/2015, 19 giugno 2015
I CINQUE UOMINI CHIAVE DELL’UE DECIDONO TUTTO A TAVOLA: ECCO CHI SONO E PERCHÉ LO SCHIVO PITTELLA CONTA PIÙ DELLA MOGHERINI
Che Federica Mogherini, nonostante la qualifica altisonante (Alto rappresentante Ue per la politica estera), conti poco o nulla a Bruxelles, può confermarlo anche il direttore di un noto albergo della capitale belga, che una o due volte al mese organizza un pranzo riservato ed esclusivo per i cinque uomini più influenti nei palazzi dell’Unione europea. Tra loro c’è anche l’italiano Gianni Pittella, presidente del gruppo S&D (socialisti e democratici) nel Parlamento europeo, che, zitto zitto, ha scalato una posizione di potere importante in Europa, senza darsi troppe arie e senza rilasciare troppe interviste, da vero uomo di potere. Ovvero, l’opposto dell’ininfluente Mogherini, che dopo avere definito «storico» sui giornali e in tv il presunto accordo europeo sulle quote dei migranti, di fronte al gioco duro dei francesi degli ultimi giorni, è letteralmente sparita dalla scena.
Pittella, invece, pur calcando poco la scena mediatica (ma forse proprio per questo), è regolarmente invitato ai pranzi esclusivi che si tengono in una sala riservata dell’hotel Stanhope, dove si attovaglia con Jean-Claude Juncker (presidente della Commissione Ue), Martin Schulz (presidente del Parlamento europeo), Frans Timmermans (primo vicepresidente di Juncker) e Manfred Weber (presidente del gruppo Ppe al Parlamento Ue). In pratica, due popolari (Juncker e Weber) e tre socialisti-democratici (Schulz, Timmermans e Pittella), che rappresentano i due partiti maggiori che sostengono la Commissione Ue e, di fatto, ne decidono l’agenda. Il terzo partito della «larga coalizione» europea, l’Alde (liberali), guidata dal belga Guy Verhofstadt, benché l’abbia chiesto con insistenza, non ha invece alcun rappresentante in quello che il sito politico.eu, dopo averlo scoperto, ha definito «the most exclusive dining club in Brussels».
Loro, i cinque commensali segreti, preferiscono chiamarsi in altro modo: G5. Definizione non priva di autoironia, come se i loro pranzi fossero solo un gradino più in basso dei vertici G7, il gruppo dei sette maggiori Paesi dell’Occidente. Per ammissione dei partecipanti, nei pranzi del G5 si parla in modo informale di tutto, come si usa tra amici fidati, e gli assistenti personali non sono ammessi. Tra un piatto e l’altro, i cinque si scambiano le ultime barzellette, si raccontano gossip e storielle (di cui politici di lungo corso come Juncker e Timmermans sono prodighi), e, prima dell’ultimo liquorino, si fa il punto sulle questioni politiche più spinose, per risolverle di comune accordo.
Tra i maggiori successi, gli stessi protagonisti del G5 indicano due episodi chiave: il voto del Parlamento europeo che nel novembre 2014 ha bocciato la mozione di censura contro Juncker per la vicenda Luxleaks, e subito dopo il sostegno della Commissione Ue al controverso piano Juncker di 315 miliardi di investimenti, sostenuto tuttora nonostante la scarsa credibilità. Soprattutto nella prima azione di lobbying, è stato giudicato assai prezioso il lavoro svolto da Pittella e da Martin Schulz per convincere gli eurodeputati S&D a non votare contro il popolare Juncker, accusato di avere agevolato le multinazionali nell’evadere le tasse quando era premier in Lussemburgo.
La prossima sfida che i commensali del G5 sanno di dover affrontare riguarda la controversa agenda delle quote dei migranti, da redistribuire tra i paesi Ue: una patata bollente, di difficile soluzione dopo che il governo italiano è entrato in rotta di collisione con quello francese, che, al pari di altri Paesi, specie del Nord, escludono le quote obbligatorie. Per questo, prima di decidere come muoversi, Juncker e soci si sono impegnati al mutuo sostegno abituale, senza però entrare nei dettagli. Nel conto, vanno messi anche alcuni insuccessi. Il più clamoroso riguarda il voto del Parlamento europeo a favore del Ttip, il trattato commerciale con gli Usa. Martin Schulz aveva assicurato i colleghi del G5 che «il voto a favore è nel sacco», cosa fatta, salvo smentire se stesso quando, il giorno dopo, ha dovuto rinviare sine die la votazione del Parlamento Ue per i contrasti insanabili all’interno del gruppo S&D.
Stupisce, secondo alcuni, che del G5 non faccia parte il tedesco Martin Selmayr, potente capo di gabinetto di Juncker, considerato il vero rappresentante di Angela Merkel a Bruxelles. Ma fonti del Ppe assicurano che, dopo ogni pranzo, sia proprio lui a sincerarsi che i partecipanti, soprattutto i tre socialisti, abbiano confermato di essere d’accordo sui punti chiave dell’agenda esaminata. Accordo essenziale per la stabilità della larga coalizione Ue, una garanzia perché Juncker possa procedere senza sorprese.
A tavola si parla in inglese, e il più brillante nelle conversazioni è quasi sempre l’olandese Frans Timmermans, che parla sette lingue, compreso l’italiano (da ragazzo, ha studiato a Roma). Non di rado fa da traduttore a Pittella, che resta spiazzato quando gli altri quattro parlano in tedesco, a volte per una barzelletta spinta, ma spesso per questioni politiche delicate. In questi casi, riferiscono i bene informati, Pittella fa la «figura di quinta ruota del carro». Ma mai così fuori gioco come la Mogherini.
Tino Oldan, ItaliaOggi 19/6/2015