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 2015  giugno 19 Venerdì calendario

NEL PRIMO TRIMESTRE IN ITALIA 15.200 RICHIESTE DI ASILO

Nel 2014 in Italia i rifugiati erano oltre 140 mila (140.277), di cui quasi 46 mila (45.749) richiedenti asilo. Il dato emerge dal rapporto sugli sfollati nel mondo pubblicato ieri dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). A fine 2014 il numero di migranti forzati in Europa ha raggiunto quota 6,7 milioni, rispetto ai 4,4 milioni alla fine del 2013, in aumento del 51%.
Nei primi tre mesi dell’anno sono state presentate 185 mila richieste di asilo nei paesi dell’Unione europea. Come informa Eurostat, la metà di queste sono state presentate da kosovari, siriani e afgani. La cifra é molto superiore (+86%) rispetto al corrispondente periodo dell’anno scorso. I dati sono stati resi noti a due giorni dalla giornata mondiale dei rifugiati, il 20 giugno. Oltre la metà delle domande sono state presentate in Germania (il 40% del totale) e Ungheria (il 18%). Al terzo posto l’Italia con poco più dell’8% del totale, 15.200 domande, in netto calo rispetto all’anno scorso.
Il dato limitato alla fine del primo trimestre 2015, tuttavia, può essere fuorviante. Perché, a ben guardare i dati degli sbarchi secondo l’andamento mensile, in Italia si scorge che l’impennata avviene proprio nei mesi più recenti. E tenendo presente che al momento si considerano i migranti sbarcati in Italia, nella stragrande maggioranza dei casi, soggetti richiedenti asilo. Infatti, se a gennaio sono approdati sulle coste italiane 3.459 persone e a febbraio 4.423, per poi calare a marzo a 2.283, ad aprile 2015 comincia sulle coste della Sicilia e non solo il grande esodo.
In quel mese giungono a Lampedusa e negli altri porti dell’isola siciliana oltre 16mila immigrati. A maggio aumentano e toccano quota 21.712. Il dato di giugno dovrebbe rimanere su questi livelli se si escludono partenze massicce oltre il previsto o, al contrario, condizioni meteorologiche avverse che riducono i tentativi di viaggi della disperazione (e spesso della morte).
L’Italia si sta impegnando con una serie di contatti internazionali: sia per il profilo degli accordi di riammissione; sia per l’ipotesi di grandi campi di accoglienza, sotto l’egida dell’Unhcr, che possano verificare in loco le condizioni delle richieste di protezione internazionale o di asilo.
Il sottosegretario Domenico Manzione, d’intesa con il ministro dell’Interno Angelino Alfano, sta lavorando con il Sudan e con il Niger. L’idea è di stabilire lì un grande insediamento che possa fare da filtro ai flussi di migliaia di persone provenienti dalle zone più remote dell’Africa. Coloro che in quella sede trovano riconosciuti i diritti per emigrare in Europa possono a quel punto dirigersi verso il Vecchio continente, magari con voli sovvenzionati dall’Unione. Chi invece non ha i titoli necessari deve rimpatriare. Il progetto servirebbe a decongestionare la pressione sull’Europa. Ma sono necessari tempi lunghi per realizzarlo.
È la stessa geografia delle provenienze dei migranti che hanno raggiunto le coste italiane a spingere per una soluzione in questo senso. Basta vedere che dei 58.659 immigrati arrivati in Italia (dati aggiornati al 16 giugno scorso) gli eritrei sono in testa con 14.382 unità; seguono i somali, con 5.423 persone, e i nigeriani, con 5.723 connazionali. Le altre nazionalità più presenti sono la Siria (3.956), il Gambia (3.224), il Senegal (2.563), il Sudan (2.555) e il Mali (2.290).
Resta difficile poi trovare altri segnali politici per limitare i flussi. Se pure tra gli Stati interessati agli esodi ci fossero casi privi del diritto al riconoscimento internazionale, occorre fare i conti con il capitolo degli accordi di riammissione. Le intese, cioè, tra l’Italia e la nazione di origine per riportare in patria il migrante - che non avrebbe titolo ad arrivare in Italia - con incentivi di natura economica, occupazionale, mezzi e strumenti agli stessi Stati per sviluppare le loro politiche di contenimento delle partenze. In Egitto, Marocco e Tunisia, per esempio, queste intese con l’Italia sono in atto. Ma occorre stipularne ormai diverse altre - sempre quando ci sono le condizioni di stabilità politica - e non è certo un processo che si realizza dall’oggi al domani.