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 2015  giugno 18 Giovedì calendario

GASPAROTTI, L’EX CAMERAMAN DIVENTATO PER VENT’ANNI IL «REGISTA» DI BERLUSCONI

«Guardi, non ho nulla da. Lascio che i magistrati facciano il proprio lavoro. Lei è stato cortese a telefonarmi ma non commento, grazie». Se non fosse per l’appaltopoli che lo vede tra gli indagati – accusato di aver barattato (nel 2008) con David Biancifiori la gestione degli hardware di Palazzo Chigi in cambio di contanti, un container e un ciclomotore per la figlia – la vera notizia nelle parole a caldo di Roberto Gasparotti sarebbe il suo «grazie» finale. Perché il responsabile dell’immagine dell’ultimo ventennio berlusconiano, di lotta e di governo, tra giornalisti e politici s’è costruito la fama di «duro che più duro non si può».
Il signore toscano che nel 2008 riesce a ottenere dall’ex premier la qualifica di «dirigente generale» di Palazzo Chigi è lo stesso ragazzo che, nel 1981, si materializza negli studi Fininvest come cameraman. Lavora assieme a pionieri del Biscione come Gigi Moncalvo e Giorgio Medail fino al 1993, quando riceve la telefonata del «dottore» in persona. «Scendo in campo, posso contare su di lei?», chiede Berlusconi. La risposta affermativa sta nel celeberrimo video della discesa in campo, quello dell’«Italia è il Paese che amo», che Gasparotti confeziona allo stesso modo in cui avrebbe confezionato – negli anni a venire – regie di manifestazioni, interviste tv o semplici apparizioni in video. Perché Gasparotti, per Berlusconi, diventa un po’ quello che l’artista Filippo Panseca era stato per Bettino Craxi. Se Panseca elevava l’ideale statura politica del leader socialista con scenografie che ne aumentavano la grandezza, Gasparotti – giocando con luci e trucchi – moltiplica la chioma del capo forzista, ne schiarisce la pelle, ne riduce visivamente l’età, ne annienta magicamente l’invecchiamento percepito. Nasce il mito della calza di nylon che avvolge la telecamera, che il diretto interessato col tempo smentirà. Ma non si limita a questo, Gasparotti. Antonio Di Pietro, per esempio, scopre nel ‘98 che il responsabile dell’immagine berlusconiana organizza le registrazioni audio degli incontri riservati dell’allora Cavaliere. Dieci anni dopo, quando è dirigente a Palazzo Chigi, eccolo che gestisce i giornalisti al seguito del premier al grido di «tu sì, tu no». Per vederlo scomparire dai radar di Arcore e Grazioli bisognerà però attendere la fine del 2014, quando finisce nel mirino del «cerchio magico» e vittima della spending review di Mariarosaria Rossi. Con buona pace di Berlusconi stesso, che però trova il modo di «ripescarlo» (da consulente) nell’ultimo minitour delle Regionali. In cui la grandeur, comunque, non sarebbe stata quella di un tempo.
Tommaso Labate