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 2015  giugno 18 Giovedì calendario

IL SEDUTTORE SERIALE


[Charles Aznavour]

Gli occhiali da sole e il bomber («L’ho comprato a Shanghai, ma non è un falso!», mi dice fiero) gli danno un’aria da vecchio bad boy, con il sorriso dolce e forte, come le sue canzoni.
Dei suoi 91 anni, portati con eleganza, «sta prendendo il meglio», come cerca di spiegarci in questa intervista che parla di musica, di donne e d’amore, iniziando da quello per l’Armenia, la sua patria adorata, di cui è rappresentante permanente alle Nazioni Unite. «Che forza, Papa Francesco, ad aver parlato del genocidio degli armeni. Con un milione e mezzo di morti e tutto quello che è stato scritto, continuare a negare, come fa il presidente turco Erdoğan, vuol dire prenderci per degli imbecilli», dice, aggiungendo che molto presto sarà ricevuto in visita ufficiale in Vaticano.
L’uscita del suo ultimo album Encores, che arriva dopo 180 milioni di dischi venduti in tutto il mondo e vari decenni di carriera, lo fa sentire fiero di se stesso e gli «mette addosso un’energia da ragazzino». Dopo aver finito di registrarlo, nell’autunno del 2014, lo aveva buttato nel cestino, preso da un raptus di perfezionismo. «Non ho fretta, ho solo 90 anni», aveva detto, rischiando di esser preso per pazzo. Ora invece, dopo aver rifatto da capo gli arrangiamenti, lasciando intatti musica e testi, è soddisfatto del risultato, in pace con se stesso e certo di avere fatto un buon lavoro. «È il più bell’album che abbia mai registrato. E anche se ne farò degli altri, non credo che riuscirò mai più a trovare questa perfezione».
Perché lo considera il migliore?
«A ogni tappa della mia vita ho trovato cose da dire, ma ora mi rendo conto che a volte non avevo i mezzi per esprimerle. Con gli anni ho imparato a scrivere, ho letto molto e vissuto intensamente. Di solito, le persone della mia età sono convinte di aver perso qualcosa. Io invece mi sento più ricco, sono sicuro di essere migliore. Non ho perso la giovinezza, è la giovinezza che ha perso me. E questo mi rende felice».
“Amo l’odore delle tue ascelle”, dice in una canzone. Un artista può parlare di tutto?
«Ho cantato l’omosessualità negli Anni 70 (il brano si intitolava Comme ils disent), quando nessuno osava nominarla. Ho scritto canzoni, come Dopo l’amore (che ha interpretato al Teatro Sistina, in un indimenticabile duetto con Mia Martini, nel ’77, ndr), per descrivere la magia che arriva dopo il sesso fra due innamorati. Non mi sono mai proibito niente, perché un artista deve essere libero. L’ho scoperto leggendo Viaggio al termine della notte, di Céline, un libro che ho sempre con me».
Che cosa cambia con gli anni, nella percezione della vita e del piacere?
«Tutto, soprattutto il rapporto con il tempo. Si sa che non ne resta più tanto, dunque si cerca di approfittare di ogni istante. I rapporti con le persone diventano preziosi, soprattutto con i figli e i nipoti, che sono la cosa che amo di più al mondo».
E con le donne? Che cosa cambia?
«Da molti anni, ho deciso di averne una sola, anche se avrei potuto averne molte. Non si possono avere due grandi amori nella vita: mia moglie dice sempre che ho un’amante di cui è molto gelosa. Si riferisce al mio lavoro, che mi eccita, a volte, molto più di quanto dovrebbe. Sono sempre stato un uomo molto esigente. Non mi è mai piaciuto sprecare i sentimenti in scappatelle insignificanti, come fanno tanti uomini, che si agitano intorno a una donna, per poi sgonfiarsi dopo due appuntamenti. Sono stato e resto un inguaribile romantico».
Allora perché le leggende metropolitane dicono che è stato un grande seduttore?
(ride) «Penso di aver avuto un periodo nella mia vita in cui le donne erano sedotte da loro stesse, quando si avvicinavano a me, perché ero un simbolo. Non facevo niente di speciale, ma piacevo. È stato molto divertente, ma non mi sono mai montato la testa perché sapevo che non era pura seduzione, la mia. Era il frutto del successo, della notorietà e forse del fascino delle mie canzoni. Non sono vanitoso, non sono stato un grande seduttore,
riconosco. Non ne ho mai avuto il fisico, la mentalità o modo di vivere. Ho creduto nelle donne, nel loro amore e nell’amicizia».
Édith Piaf è stata la sua grande amica?
«Ci siamo voluti molto bene, la nostra è stata una vera passione, senza sesso».
Non siete stati amanti?
«Jamais! Non l’ho mai neanche sfiorata con quell’intenzione, non mi sarebbe mai venuto in mente».
Perché?
«Ho sposato tre donne: tutte bionde. Edith non mi piaceva fisicamente. E forse neanche io piacevo a lei. Eppure non la potrò mai dimenticare. Vede il mio naso? Era orribile, lungo e storto, un handicap per un uomo di spettacolo. Fu lei a convincermi a fare un intervento di chirurgia plastica e pagò anche la metà del conto, peraltro molto salato, del medico newyorkese che me lo rifece, convincendo il mio impresario americano a pagare l’altra metà».
Correva l’anno?
«Era il 1948. Ci voleva coraggio, a quei tempi, a finire sotto i ferri per cambiarsi i connotati. Ti potevi far rovinare la faccia e diventare un mostro oppure morire sotto anestesia. Invece ne sono uscito benissimo, molto più bello e soprattutto molto più sicuro di me, grazie a Edith».
Che cosa pensa delle donne rifatte?
«Le adoro. Quando non eccedono, sono bellissime. Ci sono ormai donne di 70 anni che fa piacere guardare da quanto sono affascinanti. Invece trovo gli uomini liftati, con i capelli tinti, semplicemente ridicoli. Non riesco a trovare un esempio riuscito. Meglio un buon look e molto senso dell’humour, per gli ultra cinquantenni».
Ha uno stylist che si occupa del suo look?
«Vuole scherzare? Questa è un’invenzione degli ultimi decenni. Io ho sempre fatto tutto da solo e continuo a farlo anche oggi. Prima ero cliente di grandi sarti, a Londra o a Milano, ora vado a comprarmi gli abiti nelle boutique di tutte le grandi capitali del mondo. Recentemente ho scoperto gli abiti di Lanvin, che mi vanno a pennello».
Le piace il lusso?
«Ho voluto provare a fare il ricco. In un certo periodo della mia vita avevo tre Rolls-Royce in garage, molte case aperte. Poi ho deciso che era superfluo, ora ho una piccola Peugeot, che guido da solo, e una sola casa comoda. Il resto non mi interessa».
Che cosa continua a eccitarla, a farla sentire vivo?
«Le mie passioni: per la musica, per la poesia; per la vita, insomma, che continuo a trovare meravigliosa. Vedere che la causa del riconoscimento del genocidio del mio popolo avanza mi dà una grande soddisfazione, dopo tanti anni in cui ho pensato che le mie parole fossero vane. Mi piacerebbe, prima di fare l’ultima riverenza, vedere il popolo turco e i suoi leader ammettere quello che è stato fatto a un milione e mezzo di persone, deportate e uccise. I negazionisti si fanno pagare cari per negare l’evidenza: sarebbe meglio che quei soldi venissero impiegati in qualcosa di più nobile».
Come passerà l’estate?
«Ho una serie di concerti, già previsti in giro per il mondo, ma non ho neanche una data in Italia, purtroppo. Poi, nel tempo libero, continuerò a scrivere le canzoni per un prossimo album».
Come si fa a scrivere canzoni d’amore appassionate, quando si diventa mariti fedeli?
«Si diventa in qualche modo voyeur, ma, la prego, non mi fraintenda: volevo dire che si guardano gli innamorati, che per fortuna, intorno a me, non mancano. Compresi quelli della mia età... Non so se mi sono spiegato».