Marco Bonarrigo, La Gazzetta dello Sport 18/6/2015, 18 giugno 2015
ALEX, SUCCO D’ARANCIA E SOGNI: «BOMBE NON NE PRENDO PIU’»
«Bevi, bevi che fa caldo. È una mia ricetta: succo d’arancia puro diluito in acqua, con l’aggiunta di un pizzico di sale. Fidati: io bombe non ne prendo più».
Alex Schwazer ridacchia e passa la borraccia. Sul nastro arancione della ciclabile Nord di Roma, ridotto ormai a sentiero tra le canne, incombe la calura oscena di un temporale represso da giorni. Appuntamento alle 10 a Castel Giubileo, uno di quei posti dove Roma si spappola in borgata informe. Schwazer, il dopato più famoso dello sport italiano, e il suo allenatore, Sandro Donati, il più celebre paladino dell’antidoping, arrivano su una station wagon spompata. Alex veste pantaloncini e maglietta abbondantemente usati e «no logo». Donati estrae dal cofano la bici low cost con cui segue sempre l’allievo. Così conciata, difficile visualizzare la strana coppia come capace di «orchestrare una poderosa campagna di marketing» per convincere il Coni a ridurre la squalifica per doping (e frequentazione del non compianto dottor Ferrari) di tre anni e 9 mesi che grava sull’atleta.
Oggi Alex & Sandro hanno un compagno di allenamento. Programma: un’ora e mezza a 12 chilometri l’ora con inserite dieci variazioni di ritmo di 500 metri. Veloci. Il divieto di frequentare impianti federali e il caos delle strade romane hanno costretto i due ad adottare la ciclabile come campo di allenamento. Le distanze sono segnate in vernice gialla, il tratto coperto che attraversa il Tevere sotto il GRA è il «pistino» per quando fa freddo o piove. Sul tracciato solo pensionati o turnisti a pedali, che quando Alex accelera sgranano gli occhi: un uomo che marcia a quasi 16 chilometri l’ora è uno spettacolo inusuale e poderoso. Una turista lo saluta in tedesco, un tipo corpulento lo incita convinto. «Mai un insulto» conferma Donati. Sorrisi anche con Marco De Luca, il marciatore italiano di punta, che i due qui incrociano spesso. «I veleni — spiega Donati — sono creati ad arte. Alex paga il doping con una squalifica lunghissima dopo aver confessato senza arrampicarsi sugli specchi. Tanti hanno capito la sua sincerità».
Nei tratti di recupero, Alex parla. Della sua voglia di tornare al centro sportivo dell’Acquacetosa («Ogni volta che ci passo davanti mi si stringe il cuore»), lasciando la stanzetta d’albergo sulla Nomentana che paga di tasca sua 3 mila euro al mese, pasti compresi. Del ciclismo e del suo mito Indurain («Amo i campioni rispettati da tutti gli avversari, cosa rara nello sport»), di Nibali e Aru. Di Ferrari («Mi sono reso conto che un allenatore è un’altra cosa»), di giornate fatte di allenamento mattino e sera, massaggi il pomeriggio, rulli con la bici sul terrazzino se piove forte. Al suo fianco Donati, il tecnico Mario De Benedictis che arriva da Pescara per analizzare la correttezza della falcata (sempre pulita e, ora, più ampia che in passato), i medici D’Ottavio e Ronci che lo vampirizzano senza preavviso e senza riguardi, per controllare che non bari.
Allenarsi senza obbiettivi e gare fino a quando la Procura Coni (a fine luglio?) deciderà se ridurre o meno la squalifica. «Aspettiamo sereni — spiega Donati — per passare alla fase due, quella dei programmi mirati. A quel punto Alex sarà anche maturo per staccarsi di più da Roma e da me. Fosse confermato il ritorno il 27 aprile avremmo tre mesi per preparare i Giochi di Rio. Con più anticipo saremmo più tranquilli. Non pretendiamo nulla, ma la serietà con cui i presidenti di Coni e Fidal hanno accolto il progetto ci conforta».
E i fantasmi del passato? I sensi di colpa? «Certo che affiorano — spiega Donati — e la depressione di Alex non è un segreto. Ma ora è sotto controllo: una pastiglia al giorno e sedute molto pratiche di psicoterapia fanno il loro effetto». Lui, Schwazer, a fine allenamento usa l’auto di Donati come spogliatoio e una fontanella per doccia, come i dopolavoristi che parcheggiano qui per farsi una corsetta. Sabato partirà, con quella che ormai è la famiglia allargata Donati, per due settimane di ritiro nel suo Alto Adige. «Quando torno corriamo di nuovo assieme — dice —, ma cerca di allenarti perché andrò più forte».