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 2015  giugno 18 Giovedì calendario

IL PREZZO ALTISSIMO CHE ABBIAMO GIA’ PAGATO

Dal 9 marzo, giorno di avvio del programma Bce di acquisto di titoli pubblici, a ieri i rendimenti dei BTp tra 2 e 30 anni sono saliti, tutti. Nel corso di questi pochi mesi di quantitative easing all’europea, i tassi in questione hanno avuto un andamento altalenante, la volatilità è via via aumentata, ma un impietoso confronto tra il 9 marzo e il 17 giugno non lascia dubbi: il rialzo è stato di circa 100 punti per i BTp con vita residua compresa tra 10 e 30 anni, più contenuto ma non meno importante, e cioè un movimento all’insù dai 20 ai 70 centesimi per i BTp con durata tra 2 e 5 anni. Paradossalmente il denaro (inteso come prestito a medio-lungo termine per imprese e famiglie inevitabilmente correlato alla curva dei rendimenti dei BTp) costa di più, non di meno, dopo la partenza del Qe.
È impietoso confrontare i rendimenti dei BTp del 9 marzo con quelli attuali:?il Qe è partito molto prima, si potrebbe dire che è decollato dal novembre 2014 quando ha iniziato a prendere forma o dal 22 gennaio 2015 quando è stato annunciato ufficialmente nei dettagli dal presidente Mario Draghi. Verissimo. Ma è anche vero che, in estrema sintesi, il Qe europeo è appena nato, ha compiuto da poco tre mesi, e i rendimenti hanno ripreso a salire già da fine aprile. Sicuramente erano scesi troppo e troppo velocemente - il decennale tedesco flirtava con lo zero bound a metà aprile - e una correzione era più che dovuta, era il ritornello di allora. Tant’è che l’aumento dei rendimenti ha riguardato tutti i bond nell’area dell’euro, persino quelli “supercore” tedeschi o core e semicore, per finire con l’intera gamma dei periferici, spagnoli, portoghesi: persino la rinata tigre celtica ha visto i rendimenti dei titoli di Stato irlandesi salire dall’1,61% del 9 marzo al 2,62% di ieri.
Inutile illudersi che le aspettative sull’andamento a medio termine del tasso inflazionistico nell’area dell’euro e la solidità della ripresa economica europea siano tali da giocare una gran ruolo in questa partita dei rendimenti. Il Qe non è riuscito (ma non è nelle sue corde) ad annullare il rischio-Paese e a cancellare il rischio-contagio. Li ha stemperati, ma di quanto e per quanto - soprattutto nel caso di Grexit - ancora non è dato sapere.
Non porta a nulla girarci intorno. Il QE è appena iniziato e i rendimenti stanno salendo invece di calare. I numeri del QE rendono ancora più paradossale questa dinamica. Finora (al 12 giugno) la Bce ha acquistato 170 ,249 miliardi di titoli pubblici denominati in euro, principalmente titoli di Stato. Al 31 maggio, Bce, Bundesbank e Banca d’Italia (l’Eurosistema) avevano acquistato 23,417 miliardi bond italiani, prevalentemente (se non integralmente) BTp con vita residua tra 2 e 30 anni (su un totale di 146,7 acquistati nell’Eurozona). Per mettere questo numero italiano (23,4 miliardi) nella giusta proporzione, va detto che da inizio anno ad oggi il Tesoro ha collocato in asta BTp a 3 a 30 anni per poco più di 94 miliardi ma ne ha rimborsati al 12 di giugno circa 50 miliardi (escludendo dunque il BTp quinquennale rimborsato il 15 giugno per 17 miliardi circa). Le emissioni nette di BTp sono ammontate a 43 miliardi. Questo però da inizio anno: se si escludono da questo calcolo i primi due mesi dell’anno, quando la Bce ancora non aveva avviato il programma di acquisto di titoli pubblici, le emissioni nette di BTp sono state pari a circa 30 miliardi contro i 23 acquistati dalla Bce. (Senza contare i BTp indicizzati all’inflazione).
Come ha ricordato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco fino al settembre 2016 “gli acquisti (Bce ndr.) di titoli di Stato italiani saranno dell’ordine di 150 miliardi, oltre 130 dei quali effettuati dalla Banca d’Italia, il resto dalla Bce.” Non sono noccioline. Eppure il QE è costretto a riflettersi nello specchio distorcente dell’Unione monetaria. Che sia colpa dei guaidella Grecia (un paese in via di sviluppo entrato forzatamente in un club di Paesi con economie avanzate) o della mancata mutualizzazione del debito europeo, che sia a causa dell’assenza dell’unione fiscale e politica, o che pesino tecnicamente le rigidità dello stesso programma Bce inesistenti nel QE della Federal Reserve, della Bank of England o della Banca del Giappone (per l’Eurotower acquisto di titoli di Stato con vita residua tra 2 e 30 anni, con rating a livello d’investimento salvo deroghe, emessi da una ventina di Paesi diversi, soppesati per la “chiave capitale”, con soglie invalicabili del 25% per singola emissione, del 33% del debito negoziato nazionale in circolazione): in questo contesto di frammentazione anomala, il QE nell’Eurozona non può annullare il rischio-Paese nè il rischio-contagio. Il crollo a picco dei rendimenti dei titoli di Stato è stato subito violento e come sperato il costo del denaro anche in Italia per imprese e famiglie si è ridotto grazie al QE ma poteva ridursi molto più drasticamente. La magia è durata poco. Dal 9 marzo a ieri il rendimento dei BTp a 1 anno è salito dallo 0,098% allo 0,1665%, due anni dallo 0,18% allo 0,38%, a 5 anni dallo 0,539% all’1,28%, a 10 anni dall’1,30% al 2,28% e a 30 anni dal 2,268% al 3,271%. E’ vero che l’Italia ha il secondo debito/Pil dopo quello della Grecia ma grazie al QE si sperava che per due anni almeno questo fardello potesse pesare un po’ meno sul costo del denaro, per un buon fine, per rilanciare l’economia. L’Italia grazie al mondo artificiale del QE avrebbe potuto sopportare un costo del denaro e del rifinanziamento del debito pubblico pari a quello tedesco. Poteva essere l’Italia stessa a vivere per un periodo dentro una bolla, con prezzi di BTp gonfiati. Perchè no. Non è andata così, non per ora almeno.