Daniela Fedi, Style, il Giornale 17/6/2015, 17 giugno 2015
CERRUTI – IL SIGNOR NINO E IL SUO EREDE
[Nino e Julian Cerruti]
Sono alti, belli, con gli occhi azzurri e stile da vendere: due uomini pieni di fascino. Nino Cerruti, 85 anni portati benissimo, si appoggia senza parere al bastone da passeggio. Sembra quasi un vezzo raffinato mentre invece serve per i dolorosi postumi di un intervento chirurgico. Suo figlio Julian, 42 anni di grazia, naturalezza ed energia, indossa uno sdrucito cappello da baseball color tabacco. Ha la stessa funzione di un cerchietto: tenere in ordine una chioma riccioluta e ribelle. Abbiamo chiesto loro di fare il punto sulle età dell’eleganza maschile, tic e tabù generazionali ma anche personali visto che entrambi possiedono dosi massicce d’intelligenza, senso critico, culto e cultura del bello. Ci ricevono a Biella, nello storico lanificio fondato nel 1881 dai fratelli Stefano, Antonio e Quirino Ceruti. «La nostra famiglia è dedita alla tessitura fin dal ‘700» puntualizza il Signor Nino come viene rispettosamente chiamato in azienda dai 400 dipendenti e dagli addetti ai lavori della moda in generale. S’intitola infatti così anche la mostra (al Museo Marino Marini di Firenze dal 16 giugno al 3 luglio) che Pitti Immagine ha deciso di dedicare alla leggendaria eleganza di quest’uomo in tutti i sensi speciale. Nella sua lunga carriera d’imprenditore e stilista ha fatto cose straordinarie come assumere un giovane di nome Giorgio Armani per disegnare le collezioni del marchio Hitman. Era il 1965 e due anni dopo Nino Cerruti avrebbe aperto a Parigi la mitica boutique di Place de la Madeleine in cui la moda maschile si specchiava in quella femminile e viceversa. Tra le sue clienti c’era un’anziana signora convinta che solo gli uomini sapessero fare dei bei pantaloni. Si chiamava Coco Chanel. Ha inoltre vestito più di 200 film con capi indimenticabili come il cappotto rosa di Jack Nicholson ne Le streghe di Eastwich, la grisaglia di Richard Gere in Pretty Woman e l’abito color panna di Sharon Stone nella celebre scena dell’interrogatorio di Basic Istinct. Insomrna un mito. «I figli di qualcuno che ha fatto grandi cose per aver credibilità devono lottare molto di più» sostiene Julian che è nato a Gassin, poco lontano da Saint Tropez e, a 14 anni, è stato mandato negli Stati Uniti a studiare. Ha concluso il suo percorso formativo al Babson College di Wellesley, Massachussets, dove si sono laureati in finanza e business administration personaggi come Akyo Toyoda (presidente e ceo della Toyota) oppure Ernesto Bertarelli (l’imprenditore italo-svizzero che ha vinto svariate edizioni dell’America’s Cup). Rientrato in Europa lavora per un paio d’anni come assistente del fotografo Paolo Roversi, il genio della Polaroid 20x25. Poi entra in azienda facendo tutta la gavetta del caso. Trova comunque il tempo d’innamorarsi e sposarsi con la ragazza polacca che cinque anni fa gli ha dato Oscar, un bambino bellissimo. Adesso Julian è vicepresidente del lanificio oltre a occuparsi di Natural Born Elegance, il marchio di accessori sartoriali (cravatte, papillon, vestaglie e qualche giacca) prodotti a tiratura limitata con i migliori tessuti Cerruti. Le due interviste si svolgono in tempi diversi nella stessa stanza. Padre e figlio danno risposte concettualmente identiche, sembra la traduzione in moda (entrambi preferiscono parlare di stile) dell’indimenticabile canzone Father&Son composta da Cat Stevens nel 1970.
Un uomo elegante deve cambiare modo di vestire con l’età?
Signor Nino: «Più che altro bisogna modulare lo stile in base a quello che fai, a ciò che hai costruito con la tua personalità, ai cambiamenti subiti dal fisico con il passare degli anni. In una persona la fisicità non è tutto, conta molto anche l’atteggiamento, ma certo bisogna farci i conti. Per esempio io non porto più le scarpe con i lacci: lo scorrere del tempo ti accorcia sensibilmente l’altezza mentre si allunga la distanza tra la testa e i piedi».
Julian: «Il fascino di uomini come Gary Cooper o Cary Grant non è cambiato quando i loro capelli sono diventati prima grigi e poi bianchi. Avevano una linea di condotta da cui non deviavano mai per il misero potere dei soldi o della fama. In questo consiste lo stile. Nel monologo iniziale di Storie d’ordinaria follia Ben Gazzara recita la celebre poesia di Bukowsky sullo stile come differenza, modo di fare e di essere fatti. Insuperabile».
Padre e figlio possono avere lo stesso stile?
Signor Nino: «A 40 anni puoi fare le cose dei 25, ma io alla mia età posso fare al massimo le cose dei 40. Sto infatti cedendo a Julian il mio guardaroba degli anni Cinquanta, la gelosia mi tormenta ma non c’è altro da fare: a lui sta benissimo a me non più».
Julian: «Molti dei miei valori sono identici ai suoi, cambiano solo le occasioni e il modo di mescolare le cose. Io posso indossare un Pantalone da jogging con una giacca formale, ho sempre bisogno di essere dinamico. Mio padre non lo farebbe mai. In compenso a entrambi piacciono le cose usate che hanno perso ogni rigidità, più diventano vecchie e vissute e meglio è. Le giacche più belle sono quelle che anche macchiate conservano intatto l’aplomb».
Le cose da evitare a tutte le età.
Signor Nino: «Non mi piacciono gli eccessi che sono sempre di due tipi: tanto normale da diventare banale oppure così eccentrico da sconfinare nel grottesco. Purtroppo ultimamente la banalità si combina con l’esagerazione, un misto confuso che non produce nulla di buono. Bisogna invece dosare gli ingredienti in base a una proporzione strettamente personale. La mia è invariata da anni: un 25% di eccentricità e tutto il resto nella norma. Oggi per esempio indosso calzini blu Klein sotto ai pantaloni marroni e al pullover color notte. Abbino sempre nero e marrone, lo trovo interessante».
Julian: «Ci deve sempre essere qualcosa che spacca, un incidente di percorso su cui costruire la propria armonia. A me piace mettere le cose tecniche con quelle formali, il vintage che si scontra con la modernità. Basta poco ma è fondamentale, serve a cambiare prospettiva mentale. Viviamo in un mondo che ha perso il senso della realtà, è andato tutto troppo veloce verso la mera logica del profitto, come dice Bret Easton Ellis abbiamo cresciuto delle generazioni anestetizzate dal bisogno di guadagnare molti soldi».
E i veri eccessi?
Signor Nino: «Trovo pericolosissimo il cosiddetto car coat, adoro i cappotti lunghi alla Sergio Leone in C’era una volta il West. Detesto le giacche con gli spacchetti posteriori, mi aspetto sempre che uno li sollevi per sedersi e il gesto sarebbe tanto ridicolo quanto volgare. La gamba dei pantaloni dovrebbe sempre essere dritta e non troppo attaccata al corpo: trovo sopportabili quelli stretti in jersey oppure in felpa solo se il pezzo sopra è calibrato al millimetro. Considero i piedi grossi un incubo per cui sto molto attento alla lunghezza dei calzoni: li porto un po’ più corti d’estate, ma è una cosa infinitesimale».
Julian: «Ho trovato le forme che mi donano e non le cambio per nessuna ragione al mondo, perché dovrei? So di avere le gambe lunghe e magre che nei pantaloni stretti sembrano più lunghe e sottili che mai: non voglio l’effetto zampe di gallo, per me solo pantaloni dritti, comodi, sportivi e senza pinces. Porto quasi sempre le sneakers oppure le Vans, il 99 per cento delle scarpe maschili è troppo classico oppure troppo modaiolo. Trovo orrendi i calzoni corti che scoprono le caviglie, passerei il tempo a guardarmi i piedi, vedrei solo quelli ».
La cravatta è....?
Signor Nino: «Una povera diavola contro cui si è scatenata un’inutile guerra, trovo bello avere qualcosa attorno al collo».
Julian: «Mi piacciono molto in Parcour, la nostra linea di tessuti ispirati alle uniformi di rappresentanza modernizzate».
Due parole sulla camicia.
Signor Nino: «Ho fatto pazzie per le camicie, ne ho perfino una di Comme des Garçons con grandi disegni su un lato. D’estate ogni tanto la porto».
Julian: «Irrinunciabile con gli abiti interi. Ho un’enorme collezione di vintage Cerruti cui attingere».
Cappello si o no?
Signor Nino: «Dà subito uno stile molto diverso, ma basta un centimetro di tesa in più oppure in meno per cambiarti la faccia. Deve essere morbido, non floscio e, soprattutto, bisogna adattarsi alla gestualità che comporta: bisogna sempre toglierselo in presenza di una signora. Ai giapponesi sta benissimo, ma loro possono fare molte cose che agli altri uomini sono vietate».
Julian: «Adoro il cappello da baseball, credo dipenda dalla mia parte americana. Mi sento culturalmente spaccato in tre, c’è poco da fare».
Una frase sullo smoking.
Signor Nino: «Mono o doppio petto ma sempre con i revers a lancia, il collo a scialle è ammesso solo nelle occasioni più informali».
Julian: «Dovrebbe tornare obbligatorio per andare a teatro: diventa subito un’esperienza diversa».
Descrivetevi l’uno con l’altro.
Signor Nino: «Mio figlio è un ragazzo giovane e interessante. Io sono un presente con tanto passato dietro alle spalle mentre Julian è un presente con tanto futuro davanti a sé. Il confronto è molto stimolante anche perché poi c’è Oscar, mio nipote, un bambino con una spiccata personalità. Ci sono generazioni in cui quasi non si avvertono i cambiamenti, mentre nelle nostre tre abbiamo vissuto continue trasformazioni».
Julian: «Mio padre è una delle persone con cui ho discusso di più: siamo entrambi fieri delle nostre opinioni, non le cambiamo molto facilmente. Lui ha il doppio dei miei anni, per cui sono molto più preoccupato io. Per mio figlio vorrei una vita che lasci spazio al contatto con la natura. Quando ero bambino la odiavo o come minimo non m’interessava. Adesso la cosa che amo di più è prendere la tenda e andare in mezzo al nulla, dove non fai nessuno sforzo per tirar fuori la tua spontaneità».