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 2015  giugno 13 Sabato calendario

ALTRO CHE QUATTRO LESBICHE


[Raffaella Manieri]

Leggere che Lewandowski abbia vinto la Bundesliga con il Bayern Monaco non stupirà molti. Sorprenderà qualcuno però scoprire che non si parla di Robert ma di Gina, difensore americano della squadra femminile dei bavaresi. A guidare il reparto c’è la compagna Raffaella Manieri, che dopo aver vinto lo scudetto con il Bardolino Verona (nel 2008) e quattro volte con la Torres (dal 2010 al 2013), è passata al Bayern Monaco per mettersi in gioco in un campionato professionistico.
Nel calcio femminile la Serie A e la Bundesliga sono leghe di due pianeti diversi. Nonostante la maggiore difficoltà però il risultato non cambia: alla fine vince sempre la Manieri. In questa stagione il Bayern femminile è tornato a trionfare in campionato per la prima volta dal 1976 e per la prima volta in Germania una squadra vince la Bundes sia con la squadra maschile che con quella femminile. Un successo reso più emozionante dal modo in cui è arrivato: sorpassato il Wolfsburg all’ultima giornata, dopo che mai il Bayern era stato da solo in vetta alla classifica. Come a dire: la prima volta non si scorda mai...
Signora Manieri, come si trova in Germania e cosa l’ha spinta a trasferirsi a Monaco?
«Bene: qui ho finalmente trovato il mio equilibrio. Ho deciso di trasferirmi a Monaco per mettermi in gioco e crescere sia sotto il profilo professionale, confrontandomi con il miglior campionato al mondo, sia sotto quello umano: ero curiosa di conoscere un’altra cultura e imparare una nuova lingua».
Ha ancora molte difficoltà con il tedesco?
«All’inizio, ma ora va meglio. So dire bene “Deutscher Meister” (campione di Germania): nulla suona meglio».
Quali sono le differenze nella vita di tutti i giorni di una giocatrice in Italia e in Germania?
«Qui non ci sono pregiudizi: siamo atlete e veniamo riconosciute come professioniste anche dal pubblico che è in continuo aumento: firmiamo autografi, facciamo foto e spot pubblicitari, veniamo invitate nelle trasmissioni sportive... La qualità della vita è proporzionata agli stipendi, c’è la possibilità di vivere molto bene. Ci si allena tutti i giorni con qualche doppia seduta, ma la differenza con l’Italia è nella qualità del lavoro: qui siamo seguite da fior di professionisti. In Germania ci sono idee, progetti e investimenti, c’è la passione per il calcio femminile. In Italia siamo ancora ciechi. Sono venuta a Monaco per dimostrare qual è il valore delle donne. Qui siamo considerate una risorsa umana. Io però continuerò a battermi per il calcio in rosa in Italia».
Il calcio femminile in Italia potrà mai essere come quello in Germania?
«Siamo molto indietro. In Italia si tratta di calcio dilettantistico, in Germania no. Dobbiamo staccarci dalla lega dilettanti e creare un organismo di governo autonomo all’interno della Figc. Fondamentale è la collaborazione delle società professionistiche affinché nei vari club si inserisca il settore femminile fin dalle giovanili. Maschi e femmine devono poter usare le stesse strutture. Bisognerebbe investire sulla qualità e sulla competenza dello staff tecnico, in cui non devono mancare presenze femminili, importantissime nella comunicazione con le ragazze. Il tutto andrebbe poi sostenuto inviando nelle scuole le calciatrici per far capire alle bambine che, nonostante i pregiudizi, si può giocare a calcio».
A proposito di pregiudizi, il presidente della nostra lega dilettanti. Felice Belloli, riferendosi al movimento calcistico femminile ha parlato di “quattro lesbiche”. L’ha ferita?
«Non voglio dare importanza al nostro caro presidente che, viste le sue considerazioni, penso sia una persona sofferente. Ho imparato che quando una persona critica si sta guardando allo specchio, probabilmente quindi parlava di se stesso. Preferisco pensare a quello che ho fatto in campo».
Cosa ha provato al fischio finale della partita che è valsa il titolo?
«Finita la nostra partita il Wolfsburg stava ancora giocando: stava 1-1 col Francoforte e con un gol ci avrebbe scavalcato. Io però ero contenta perché noi, vincendo, sapevamo di essere arrivate almeno seconde e quindi in Champions League, che era il nostro obiettivo. Improvvisamente è arrivata l’ufficialità: eravamo campionesse. Non sapevo cosa fare: ero incredula ma felice, tanto felice: piangevo e ridevo nello stesso momento. È stato meraviglioso».
Come si spiega le difficoltà degli altri italiani (Immobile, Donati, Caldirola) che giocano in Bundes?
«È un campionato molto difficile. Si corre tanto, quindi dal punto di vista fisico è stressante e poi qui c’è un altro tipo di mentalità rispetto a quella che c’è in Italia. In Germania il livello è più alto e penso sia più difficile riuscire a conquistarsi un posto da titolari».
Si sente con qualcuno di loro?
«No, non ho rapporti con nessuno dei tre. Mai neanche una telefonata».