Tino Oldani, ItaliaOggi 16/6/2015, 16 giugno 2015
NEL SUD EUROPA LA FIDUCIA NELL’UE CROLLATA DAL 75 AL 25%: LA GENTE VUOLE MENO CHIACCHIERE SUI MIGRANTI, E PIÙ LAVORO
La fiducia nelle istituzioni europee è crollata oltre ogni previsione, soprattutto nei Paesi del Sud. Secondo l’ultimo Eurobarometro, rilanciato dal sito lavoceinfo.it, oggi appena il 25 per cento dei residenti nei Paesi del Sud Europa (Italia, Portogallo, Spagna, Grecia, Cipro) ha fiducia nell’Europa, contro il 75 per cento registrato nel 2008, all’inizio della crisi economica. Ed è probabile che alcuni fatti di questi giorni la facciano precipitare ancora di più. Il blocco dei migranti al confine con la Francia e al Brennero riempiono i tg da mattina a sera e confermano che, dopo tante promesse sulle quote (inizialmente obbligatorie, poi volontarie, ora non si sa), l’Europa non riesce a rispettare neppure una propria agenda. La polizia francese che blocca i migranti sugli scogli a poche centinaia di metri da Mentone, è la prova concreta di un’Europa divisa, che, di colpo, riscopre i nazionalismi. Una Ue dove i governi restano sordi di fronte agli appelli alla solidarietà di papa Francesco, mentre sono più sensibili alle chiusure imposte dalle opinioni pubbliche nazionali.
Di queste divisioni è specchio fedele anche l’intervista al Corriere della sera di domenica in cui Matteo Renzi non solo alza i toni, ma lancia addirittura un ultimatum ai capi di governo europei, minacciando il ricorso a un fantomatico «piano B» (ignoto però nei contenuti, dunque poco credibile), qualora il Consiglio europeo di fine giugno non dovesse scegliere la strada della solidarietà e restasse sordo alle richieste dell’Italia. Il premier lascia intendere che si rischia «una ferita per l’Europa», di messa in gioco della stessa «identità europea». Tutto vero, come Angelo Panebianco gli ha riconosciuto ieri, sempre sul Corsera, con un editoriale che però non risparmia critiche ai governi europei, con una cesura molto netta tra la retorica e le illusioni che per anni hanno accompagnato l’Europa da un lato, e la cruda realtà dei fallimenti politici più recenti dall’altro.
Tra questi fallimenti, l’inconcludenza Ue sulla Grecia, che si trascina da cinque anni, è, per forza di cose, il più eclatante. Tanto da imporre al quotidiano milanese un secondo editoriale sull’Europa che non va, dove il banchiere Lorenzo Bini Smaghi accusa «la miopia Ue che può fare di Atene la Lehman Brothers d’Europa». Alla Grecia e ai migranti si devono aggiungere altri capitoli, in cui l’Unione europea ha dimostrato di procedere a tentoni, dalle sanzioni contro la Russia di Putin alla Libia, dall’estremismo islamico alla governance Ue che non funziona, e che per questo va riformata al più presto.
Su quest’ultimo punto, il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo sarà chiamato a pronunciarsi nel vertice del 25-26 giugno, ma fin d’ora le proposte sul tappeto non sono per nulla esaltanti, visto che variano dalla costruzione di un’Europa a due velocità fino all’idea di un Super Stato europeo», che con i chiari di luna attuali sarebbe solo l’ennesima fuga nell’utopia. Ha ragione Panebianco: se i governi leader dell’Ue vogliono recuperare un’idea d’Europa che sia credibile per i suoi stessi cittadini, devono smetterla di parlare di cose assurde, come «Super Stato» o «scavalcamenti delle democrazie» e altre cose simili, che creano rigetto solo a sentirle, ma concentrarsi su poche cose concrete, e spiegarle bene agli europei.
Tra queste poche cose, aggiungiamo noi, sono fondamentali due obiettivi, che, dopo l’inizio della crisi, sembrano quasi dimenticati: prosperità e lavoro. Sembrano un’ovvietà. Ma lo sono molto meno se si considera che la causa principale del crollo di fiducia nell’Europa, come ha rilevato l’Eurobarometro, risiede proprio nel profondo cambiamento delle aspettative che ciascun individuo nutre verso l’Europa. Tra il 2008 e il 2014, la percentuale di coloro che associano l’Unione europea ai concetti di «prosperità economica» e di «democrazia» è aumentata solo nel Nord, mentre è diminuita nel Centro e nel Sud. Non solo. La percentuale di coloro che associano l’Europa alla parola «disoccupazione» è aumentata in modo significativo dovunque, non solo al Sud, come sarebbe stato logico, ma anche al Nord e al Centro dell’Europa, ritenuti finora meno colpiti dalla crisi. Va inoltre considerato, secondo l’Eurobarometro, che il livello di soddisfazione nella «democrazia in Europa» è sceso un po’ dovunque, dal 60 al 30 per cento.
In sintesi, prima della crisi iniziata nel 2008, il 75 per cento degli europei del Sud dichiaravano di avere fiducia nel Parlamento europeo, nella Commissione Ue e nella Bce. A fine 2013 la percentuale è scesa al 25 per cento. L’Ue è sempre meno associata all’idea di prosperità economica e di democrazia, anzi per un numero sempre maggiore di europei ha finito per diventare sinonimo di «disoccupazione». Con simili premesse, l’Unione europea può recuperare consensi solo se il vertice di fine giugno riuscirà a partorire decisioni semplici e chiare su investimenti, crescita e lavoro. Vale a dire, l’esatto contrario del politichese in voga a Bruxelles e di promesse illusorie come il piano Juncker, l’Europa a due velocità e la cessione di sovranità democratica.
Tino Oldani, ItaliaOggi 16/6/2015