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 2015  giugno 16 Martedì calendario

IL MAESTRO DI RENZI LASCIA TUTTO

Dopo averne parlato da tempo col presidente Mattarella e con Matteo Renzi, stamani lascio il mio incarico di governo e, fra qualche settimana, lascerò il mio seggio in Parlamento, per iniziare una nuova avventura professionale nel settore privato. Era tempo di cambiare, di rimettersi in discussione, di ripartire».
Il commiato del sottosegretario agli Esteri, Lapo Pistelli (di cui non sono parente) dimessosi per andare a lavorare all’Eni, è arrivato ieri, via Twitter e Facebook. Qualcuno ha visto, anche in quelle poche righe, una sottile polemica per aver indicato il capo dello Stato col titolo e quello del Governo con nome e cognome. Altri hanno messo in relazione l’abbandono con le dimissioni, recentissime, di Enrico Letta, al quale Pistelli è legato da una lunga amicizia e dalla comune militanza nel Movimento giovanile Dc, corrente di Base, quella di Ciriaco De Mita e quella di suo padre Nicola, enfant prodige della sinistra del partito, direttore di un giornale che fece scuola, Politica, e morto giovanissimo in un incidente stradale nel 1964, quando lui, Lapo, aveva pochi mesi.
Se due più due fanno quattro, dice qualche retroscenista, Pistelli che se ne va a poca distanza dall’abbandono, questo sì molto polemico, di Letta, ce n’è abbastanza per parlare di un boicottaggio di Renzi, in un momento non facile per il suo governo, a causa del non esaltante risultato delle regionali, bissato dai ballottaggi che hanno segnato le perdite di Venezia ed Arezzo da parte del Pd. Non che fra Lapo e Matteo il rapporto fosse idilliaco, intendiamoci. Né d’altra parte può esserlo fra un maestro che si trova superato, alla velocità della luce, dall’allievo. La storia è nota, Lapo, fiorentino del Galluzzo, classe 1964, aveva lanciato Matteo, giovane di Incisa Valdarno (Fi), classe 1975, nell’agone politico dove lui era arrivato prestissimo.
Quando la Dc stava rantolando, primi anni ’90, Pistelli, brillante laureato alla Cesare Alfieri, la storica facoltà di Scienze politiche, aveva riunito intorno a sé un sacco di giovani, dando vita al Centro toscano di documentazione politica e al giornale Righe e punti. Sono ipercritici coi vertici nazionali, invitano a Firenze, Leoluca Orlando Cascio che, in quei giorni, spara a zero su Giulio Andreotti e va al Tg 1 delle 20 a dire a Giovanni Falcone di aprire i cassetti delle inchieste di mafia. I primi a fare il salto nella politica politica sono Lapo e Giacomo Billi, anche lui classe 1964, figlio di un dirigente Dc: eletti trionfalmente in consiglio comunale nelle amministrative del 1990, in una battaglia a colpi di preferenze contro due altri giovanotti cattolici, i ciellini Raffaele Tiscar, oggi vicesegretario di palazzo Chigi, e Alberto Tirelli, oggi capo della segreteria del sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi.
A Pistelli danno l’assessorato alla Pubblica istruzione a soli 28 anni nella giunta pentapartita che si forma, con Beppe Matulli, ras della sinistra dc, deputato, che segue con soddisfazione i giovanli leoni demitiani affermarsi. Renzi è uno dei tanti che frequenta il centro, va alle riunioni e si fa zittire dai più vecchi. Quando la Dc si volatilizza, Pistelli e Billi, col Ppi alleato della sinistra, fanno strada: nel 1996, Lapo è alla Camera con l’Ulivo e nel 1999, Billi diventa assessore al personale al Comune di Firenze. Quello stesso anno, i due pensano che, per dare continuità al gruppo, sia il caso di lanciare alla guida del Ppi fiorentino, quello scout vivace, che coi Comitati Prodi s’è dato molto da fare: Renzi appunto, che, a 24 anni, diventa segretario del Ppi della città gigliata. L’asse tiene fino a quando Pistelli, nel 2004, va a Strasburgo, eurodeputato, e la Margherita, di cui Renzi è diventato segretario, nel quadro dell’alleanza di centrosinistra, lo candida alla guida della Provincia.
È, questo, il momento in cui il sodalizio scricchiola: Billi ha già fatto un passo indietro, andando a far carriera in una multinazionale farmaceutica, anche perché si è sposato con Gaia Checcucci, brillante esponente di Alleanza nazionale a Firenze, Pistelli sta all’europarlamento, e Renzi trasforma quella che sembrava una sinecura politica, la Provincia di cui diventa presidente, in un trampolino, costruendo, giorno dopo giorno, la sua visibilità politica nazionale. Lo strappo avviene nel 2008, quando il neo-Rottamatore, che ha già pestato i calli a tutti gli ex-Ds, si mette in testa di correre per il comune. Apriti cielo: tutta la sinistra del Pd gli dice a brutto muso di aspettare il suo turno e pure l’antico capo, Pistelli, gli fa sapere che non se parla, anzi che quelle primarie vuol correre anche lui.
La discesa in campo dell’eurodeputato farà dire a molti osservatori che per «il ragazzo», come Renzi viene definito con scherno, non ci sono più chance, perché, si fa notare, la sua base è la stessa di Pistelli. Anzi qualcuno arriva a pensare che la mossa di correre alla primarie del più vecchio dei due sia fatta proprio per metterlo fuori gioco, o almeno da assicurare un ballottaggio, che sarebbe scattato se nessuno dei candidati avesse raggiunto il 40%. Ma Renzi stravince. Con 15mila e passa voti, raggiunge il 40,52% e poi si fa votare come sindaco. Lapo non la prende benissimo, tanto che nelle primarie 2012, è schieratissimo con Pier Luigi Bersani. Eppure, quando Matteo giubila Enrico (Letta), e va a Palazzo Chigi, mantiene Lapo alla Farnesina, dove era sottosegretario. Ma quando c’è da sostituire Federica Mogherini, andata alla Commissione, di fare Lapo ministro, come qualcuno consiglia, il premier non ci pensa affatto, meglio Paolo Gentiloni, renziano doc.
D’altra parte, quando a maggio 2014, c’era stato da andare a prendere i bambini congolesi adottati dai genitori italiani, la ribalta era tocca a Maria Elena Boschi, che pure si occupava solo di riforme. A Lapo, il maestro del Centro di documentazione, che andava a seguire fra il pubblico del Salone dei Duecento in Palazzo Vecchio ai consigli comunali, Renzi aveva riservato giusto la passarella sudanese di luglio, per andare a prendere Meriam, la cristiana perseguitata per apostasia. E forse, più che le strategie lettiana, dietro il passo indietro di Pistelli, c’è una carriera precoce e la consapevolezza che, con un Renzi destinato a durare, ché ché se ne dica, sarebbe stata comunque dura.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 16/6/2015