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 2015  giugno 16 Martedì calendario

BRUGNARO, L’IMPRENDITORE LEGHISTA E UN PO’ GRILLINO

Il candidato che manda nella palude definitiva il Pd a Venezia non solo dice «mi piace Renzi», ma alla domanda che gli facciamo a un certo punto, camminando con lui che ci prende sottobraccio in Ca’ Farsetti - insomma, l’anno scorso alle europee lei lo votò, il premier? - risponde «può darsi, il voto è segreto». Con un grande sorrisino, a confermare quanto ha raccontato in un’altra occasione Renzi stesso: di «un certo Brugnaro» che gli aveva proposto una candidatura per il Pd; cosa di cui non si fece niente. Ora Brugnaro la racconta così: «Avevo fatto a tutti, a Renzi, alla Lega, questa proposta di apparentamento: trovate un nome, non per forza me, per un governo di unità nazionale a Venezia». Nessuno lo filò, neanche Matteo.
Ora evidentemente Brugnaro - nel day after del successo con cui ha sbancato Venezia e la sua sinistra, in preda alla storica tendenza suicidio, altro che nuovo renzismo - si gode questa rivincita. Ha avuto i soldi e l’incredibile capacità comunicativa per imbastirla, e si diverte, molto. «Marino aveva detto che se vinceva Casson avrebbe fatto un patto per la cultura: e perché, con noi no? Pisapia? Ha solo riempito Milano di immigrati, e sull’Expo non ha fatto niente». Alterna idee e proposte anche astute a sparate incredibili, ma da personaggione, uno strano mix di mito-imprenditoria e mitopoiesi, «partito del fare» e «siamo il partito del lavoro», leghismo e persino grillismo soft. L’imprenditoria alla berlusconiana si svela quando gli si chiede dei suoi conflitti d’interessi, Brugnaro è imprenditore con interessi nel lavoro, nel vetro, nell’edilizia, nella vela, nel basket, nei servizi: «Solo chi non fa non ha conflitti d’interesse. Solo i parassiti non hanno conflitti d’interesse. È molto meglio essere campagnoli che parassiti. Io il conflitto d’interessi lo risolverò dichiarando preventivamente tutte le mie proprietà e interessi; ma scusate, puoi dare del ladro a qualcuno solo dopo, non prima che ha rubato».
Il leghismo è quando annuncia: «Chiederò a Renzi e Zaia di venire qui a Venezia dove organizzeremo una Conferenza internazionale sui migranti. Magari se adottiamo nei territori, nelle regioni, una linea un po’ più decisa (oh, l’uso dell’eufemismo, ndr), forse possiamo andare anche a chiedere qualcosa in Europa». O quando si esalta, «la sicurezza e il decoro sono la priorità, basta con chi vomita in giro, basta con l’accattonaggio, non andiamo più a misurare la tendina al commerciante, andiamo a rompere le scatole a chi rovina la città».
Poi c’è però, anche, un grillismo scaltrissimo, quando annuncia cose come: «Io per fare il sindaco non prenderò un euro, devolverò tutto a un fondo per le persone bisognose»; oppure quando comunica: «Ci sono 70 milioni di buco, voglio cominciare vedendo dove vanno a finire i 37 milioni elargiti ogni anno dal Comune in spesa sociale. E eventualmente tagliare». O quando dice ai vigili, che qui nella sala consiliare paiono sanamente terrorizzati, «ehi, dovete sorridere sempre, sempre, ai cittadini, voi siete lì al loro servizio, non viceversa»; o ancora, quando spiega «aprirò dieci tavoli per la partecipazione democratica dei veneziani ai progetti imprenditoriali coordinati dal Comune. E i lavori saranno trasmessi in streaming».
Ecco. Naturalmente, il tutto realizzato con la logica del «partito del fare»: «Apriremo una grande financial (dice così, testuale), un’agenzia per lo sviluppo con soldi privati e pubblici». Per «non demonizzare le grandi navi», per «portare a termine le grandi opere e il corridoio 5», per fare l’agognato (dai costruttori) regolamento edilizio, per togliere la ztl a Mestre, «magari per ricomprarci dalla Cassa depositi e prestiti l’ospedale al mare», o portare le major del cinema al Lido, «voglio una Mostra che duri tutto l’anno». Ma poi anche per fare cose semplici come «un pronto soccorso a Pellestrina, il canaletto per andare da Burano a Tessera, o il wifi al Lido, dove non prende niente...»,
Insomma, bisogna dirlo: un fenomenale ircocervo, che già di per sé drena voti di sinistra, di destra pura, e anche di Movimento cinque stelle. E Casson?, gli chiediamo infine. «Non mi ha chiamato, spero di sentirlo, io mi auguro che resti a Venezia, a collaborare per la città che ama, che non torni a Roma...». Sa usar la clava, imprenditore-leghista-e-quasigrillino; ma anche il fioretto.