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 2015  giugno 14 Domenica calendario

EISENSTEIN, SESSO E SIESTA

Un ragazzino capriccioso, geniale, maleducato, curioso, pasticcione, entusiasta, con una criniera di capelli scompigliati, un abito bianco al quale tiene molto perché gliel’ha regalato Charlie Chaplin, un paio di scarpe nere alle quali tiene ancora di più perché nessun russo può privarsi delle proprie scarpe, niente calzini, niente cravatta, bretelle rosse, un inglese perfetto pronunciato con pesante accento russo. Un ragazzino che scalpita, volteggia, beve champagne, che lascia catturare la vita vera al suo operatore Eduard Tisse mentre lui si addentra nei cunicoli della miseria e della morte che corrono sotto la città, che porta con sé nelle valigie tonnellate di libri, i propri schizzi erotici e una collezione di cartoline che riproducono celebri dipinti di corpi nudi, che scandalizza potenti e borghesi di ogni latitudine con il suo comportamento eccentrico ed eccessivo, come da copione per ogni artista degli anni Trenta: questo è Sergei Eisenstein, grande padre del montaggio e genio assoluto del cinema, raccontato da Peter Greenaway in Eisenstein in Messico, fantasiosa, complice ricostruzione dei giorni che il regista trascorse, nel 1931, a Guanajuato, la città messicana nella quale era arrivato con la sua troupe e nella quale scoprì i piaceri della siesta, del sesso e dell’amore.
Vero? Falso? È certamente vero che nella seconda metà degli anni Venti, famoso per i suoi primi tre film (Sciopero, La corazzata Potëmkin e Ottobre), Eisenstein viaggiò molto nelle capitali europee, dove incontrò i maggiori intellettuali dell’epoca (Man Ray, Dos Passos, Le Corbusier, Cocteau, Joyce, Marinetti, Buñuel, come racconta vorticosamente nel film, buttando là nomi e giudizi con compiaciuto snobismo, mentre Greenaway dissemina fotografie sullo schermo). Com’è vero che nel 1930 partì per Hollywood con un contratto con la Paramount, che nel 1931 si trasferì in Messico per girare, finanziato dallo scrittore Upton Sinclair, Qué viva México!, e che nel 1932 il contratto venne sciolto.
Poco importa se sia o no autentica la storia d’amore con Palomino Cañedo, sua guida messicana e professore di religioni comparate: Greenaway parte dai dati certi (le fotografie, i disegni, le lettere, i film) per comporre il ritratto di un artista spiazzato e spaesato. Il suo esibizionismo, la sua infantile follia, il suo disarmante abbandono all’amore fanno un tutt’uno con il ritmo instancabile delle sue immagini; l’impeto della Rivoluzione d’ottobre è solo un’altra faccia dell’esultante scoperta del sesso; la malinconica fascinazione della morte si salda con il dolore della perdita. Greenaway (che ha un’enorme ammirazione per l’autore russo) frammenta e frulla tutto con il suo immaginario enciclopedico e, complici il digitale, lo split screen e le partiture di Prokofiev, mescola scene dei film di Eisenstein e cadaveri urlanti nelle catacombe messicane, il rosso, l’arancio e l’azzurro della città e il bianco e nero delle fotografie d’epoca, piani sequenza interminabili e immagini quasi subliminali, date e persone vere e improbabili dialoghi di un amore entusiasticamente adolescenziale: quando la bandierina rossa che celebra l’anniversario della Rivoluzione viene delicatamente inserita nell’ano di Eisenstein, appena sverginato da Palomino, sappiamo di trovarci con Alice nel paese delle meraviglie o, parafrasando con Greenaway il titolo americano di Ottobre, nei Dieci giorni che sconvolsero Eisenstein. E, costruendo quest’omaggio ardito e appassionato, Greenaway ringiovanisce e si rinvigorisce, ritrova lo humor tagliente dei suoi film migliori, il gotico spudorato di Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante, la passione matematica di Giochi nell’acqua, non più sopraffatti dalla meticolosa pedanteria dei film più recenti. Anche lui, come il suo Eisenstein, pare più libero.
Emanuela Martini, Domenicale – Il Sole 24 Ore 14/6/2015