Luca Ricolfi, Il Sole 24 Ore 14/6/2015, 14 giugno 2015
A CHE PUNTO SONO LE RIFORME CHE CONTANO
A sedici mesi dal suo insediamento, il governo Renzi è alle prese con le prime difficoltà politiche vere. Per difficoltà “vere” intendo difficoltà sulle quali l’esecutivo rischia di essere travolto: legge sulla scuola, gestione degli immigrati, questione morale. È abbastanza chiaro, infatti, che è all’incapacità di convincere gli italiani su questi tre punti che va attribuita la recente emorragia di consensi verso il Pd. Non occorrono indagini particolarmente sofisticate per immaginare quel che può essere successo alle ultime elezioni regionali: il malcontento degli insegnanti (e dei pensionati?) ha alimentato il flusso verso l’astensione, l’incapacità di gestire l’ondata migratoria ha alimentato il flusso verso la Lega, l’incapacità di rinnovare la politica e moralizzare il Pd ha tenuto alto il consenso al Movimento 5 Stelle.
È piuttosto probabile che queste tre grandi questioni terranno banco sui media ancora per parecchi mesi. Eppure, con tutto il rispetto per scuola-immigrazione-moralità, ho l’impressione che non è su di esse che si giocherà il futuro dell’Italia. Non si giocherà sulla scuola, perché il progetto de “La buona scuola” è di una modestia culturale sconcertante, e l’opposizione ad esso non è sicuramente in nome di un progetto più alto. Non si giocherà sull’immigrazione, perché non è certo l’invasione degli stranieri che sta tenendo in scacco la nostra economia (durante la crisi gli stranieri hanno contribuito a sostenere il Pil più di quanto abbiano fatto gli italiani). Non si giocherà sulla moralità perché i costumi di un popolo e della sua classe dirigente, se mai cambieranno, lo faranno nel periodo medio-lungo, non certo nel breve volgere di una legislatura.
Ovviamente ognuno può avere a cuore le questioni più diverse, su cui condurre le battaglie personali più appassionate, ma temo che la battaglia dell’economia sia di gran lunga la più importante, se non altro perché condiziona la possibilità stessa di combattere con successo tutte le altre. Spiace dirlo, visto che i temi dell’economia sono quasi sempre assai tecnici, e comunque immancabilmente aridi, incapaci di scaldare i cuori e mobilitare i sentimenti. Eppure, sarebbe meglio per tutti che non li si snobbasse troppo. Noi navighiamo su un transatlantico che sta imbarcando acqua nei locali-macchina, ma sembriamo interessati solo a quel che avviene in coperta, dove si chiacchiera, si prende il sole e si fa ammuina, indifferenti al duro lavoro di chi sta tentando di tappare le falle e far ripartire i motori.
Qualcuno prova a convincerci che le falle sono state riparate, e che i motori sono di nuovo in funzione. Forse è un po’ presto per dirlo. Certo i segnali positivi non mancano, specie sul versante del mercato del lavoro. Ma si tratta di segnali ancora deboli, che riguardano prevalentemente l’aumento delle ore lavorate e la riduzione di quelle di cassa integrazione.
Lo stesso Renzi, intervistato qualche giorno fa, ha onestamente riconosciuto che la crisi non è affatto finita e che, per dire che ne siamo fuori, dovremo aspettare il momento in cui avremo ricostituito tutti i posti di lavoro (circa 1 milione) distrutti in questi lunghi anni.
La domanda vera è: abbiamo fatto e stiamo facendo tutto il possibile per riparare le falle e riaccendere i motori della crescita?
Temo che la riposta sia no. Perché si possono riversare milioni di parole sui media, si possono fare i discorsi più alati ed entusiasmanti, si possono enunciare le migliori intenzioni e i più bellicosi propositi, ma poi i dati dell’economia sono lì, impietosi, a raccontare un’altra storia. La produzione industriale fluttua (ad aprile è addirittura diminuita). Il debito pubblico continua a crescere, sia in assoluto sia in rapporto al Pil. L’ultimo dato Istat sui conti delle Amministrazioni pubbliche (quarto trimestre del 2014) non segnala alcun miglioramento rispetto a un anno prima, anche trattando il bonus da 80 euro come una minore entrata anziché come una maggiore spesa. La spending review è in grave ritardo, molte misure immaginate dal commissario Cottarelli sono rimaste lettera morta, il rischio di un aumento dell’Iva e delle tasse sui carburanti è tutt’altro che scongiurato. Lo spread dei titoli pubblici italiani è in aumento da inizio anno, e venerdì ha sfiorato i 140 punti base, vicino al massimo degli ultimi 6 mesi.
I tempi di pagamento della Pubblica Amministrazione, che fin dal 2012 avrebbero dovuto finalmente adeguarsi alla regola europea (30 giorni, massimo 60 in casi eccezionali) restano abbondantemente al di sopra dei 100 giorni. Le regole fiscali continuano a cambiare a un ritmo vorticoso, mentre della de-burocratizzazione dell a Pubblica amministrazione non si avverte alcuna traccia.
Insomma, anche se qualcosa è cambiato (nei bilanci dei lavoratori dipendenti, con gli 80 euro, e nei bilanci delle imprese, con la decontribuzione), il cammino da compiere è ancora lunghissimo. Non so se siamo solo al 10% del tragitto, come ha ipotizzato Squinzi, ma è certo che venti anni di inconcludenza riformista non si recuperano in un amen. Finché le tasse e la spesa pubblica corrente non saranno scese di almeno 2-3 punti di Pil, finché la Pubblica Amministrazione avrà il volto della disorganizzazione e dell’arroganza, finché la giustizia civile e quella amministrativa continueranno a gettare sabbia negli ingranaggi dell’economia, dubito che il transatlantico Italia sarà in condizione di riprendere una navigazione sicura.
In questa situazione, capisco che il governo sia preoccupato della propria sopravvivenza, e sia quindi impegnato innanzitutto a disinnescare le due peggiori figuracce del momento, ovvero lo scandalo di Mafia capitale e il caos degli sbarchi. E tuttavia penso che, se vuole salvarsi dalla marea populista e dallo tsunami anti-immigrati, dovrà anche convincerci di conoscere la rotta, e di essere in grado di raddrizzare la nave. Perché, sul transatlantico Italia, ufficiali che rubano e passeggeri senza documenti sono senza’altro problemi seri, che devono essere affrontati senza girarci intorno, ma la vera emergenza è laggiù, sotto coperta, dove continua a entrare acqua e i motori non si decidono a ripartire.
Luca Ricolfi, Il Sole 24 Ore 14/6/2015