Alberto Mingardi, La Stampa 14/6/2015, 14 giugno 2015
FEDERALISMO, INVOCATO E MAI ATTUATO
Negli ultimi anni, il federalismo è stato accusato di ogni sorta di nefandezze. L’incapacità di decidere del governo centrale ha trovato spiegazione nell’opposizione delle Regioni.
È davvero così?
Il nuovo «Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica» della Corte dei Conti esamina la relazione fra spesa pubblica centrale e spesa locale. Per i 13 anni che vanno dal 2001 al 2014, il rapporto fra spesa dei governi locali e totale della spesa pubblica nel periodo è rimasto sostanzialmente costante. Nel 2001, per ogni 100 euro di spesa pubblica 46 venivano spesi da Roma e 54 dalle amministrazioni locali. Nel 2014, erano 47 e 53. Il picco di anoressia del governo centrale si è avuto nel 2004: su ogni 100 euro di spesa, Roma contava per 43, gli enti locali per 57.
A fine Anni Novanta, il nostro è stato per breve tempo un Paese di federalisti. Un po’ per rintuzzare la minaccia secessionista sventolata dalla Lega. Un po’ perché è difficile considerare un successo il centralismo all’italiana, con Nord e Sud che continuano a divergere 150 anni dopo l’unificazione. Con la riforma del titolo quinto si era compiuto il miracolo. Si «costituzionalizzava» il decentramento amministrativo. Il principio di sussidiarietà entrava nella legge fondamentale dello Stato. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Le «troppe» competenze affidate alle Regioni sono diventate il fantoccio per spiegare le riforme che non si fanno.
La questione cruciale è il flusso delle tasse. Se i quattrini vanno dalla periferia al centro, i governi locali cercheranno di cederne il meno possibile. Tasse e spesa saranno in buona parte «locali». Con un effetto positivo sulla qualità della democrazia: per noi elettori, è difficile valutare che cos’è e a che cosa serve la «politica industriale». Al contrario, è relativamente facile maturare un’opinione sulla viabilità nella nostra città, sulla situazione del manto stradale, sull’efficienza dei nostri ospedali.
Se l’obiettivo della riforma del 2001 era cominciare a «spostare» il baricentro dell’imposizione tributaria, ha fallito. Guardacaso il cosiddetto «federalismo fiscale» prima è stato interpretato come una sorta di operazione di polizia, poi è scomparso dall’agenda politica.
Fatto sta che nel 2012 i livelli di governo locale, per ogni euro speso, incassavano meno di 50 centesimi. Esattamente come nel 2001. L’imposizione fiscale è rimasta nelle mani dello Stato centrale, che poi fa l’elemosina alle altre amministrazioni.
Quando gli enti locali si lamentano dei «sacrifici» stanno contestando il taglio della paghetta: non un taglieggiamento di risorse da loro raccolte. Doveva riavvicinare ai contribuenti tasse e spesa, ma il federalismo in Italia non ha fallito: semplicemente, non c’è mai stato. La Repubblica «decentrata» del 2014 ripartisce la spesa fra centro e periferia proprio come quella «centralista» del 2001. Abbiamo tanti problemi. L’eccesso di federalismo non è tra questi.
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Alberto Mingardi, La Stampa 14/6/2015