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 2015  giugno 14 Domenica calendario

ORA D’ARIA

Buona l’idea del Pd di istituire una scuola quadri, tipo quella del Pci alle Frattocchie, per “formare una nuova classe dirigente” che rimpiazzi al più presto quella momentaneamente accampata fra Rebibbia e Regina Coeli. Restano solo da trovare i docenti giusti, e il guaio è che anch’essi stanno al gabbio. Ma, applicando alla lettera il garantismo di Renzi secondo cui i politici indagati o condannati in primo grado possono restare al proprio posto fino alla condanna in Cassazione, sono utilizzabili anche quelli: magari durante i primi permessi premio, o trasportando direttamente i discepoli in carcere per le lezioni nell’ora d’aria. Prendete Salvatore Buzzi: era un renziano di ferro (“A me me piace Matteo Renzi, che cazzo vuoi eh? Tu devi di’, alla Renzi, siamo diventati tutti renziani”), ma già si preoccupava di trovargli un degno erede. E l’aveva individuato in Giordano Tredicine, rampollo di una famiglia di caldarrostai divenuta monopolista delle bancarelle di tutta Roma, dunque consigliere comunale di centrodestra: “C’è Giordano che è un porco – diceva all’altro maestro di vita Massimo Carminati – li mortacci sua, Giordano ce li ha tutti i vizi!… Glielo dico sempre: ‘A Giordà, se nun t’arestano, diventerai primo ministro’… Me fa: ‘Perché, me possono arestà?’. ‘Li mortacci tua, te possono arestà sì!’…”. Tipico discorso moralista e giustizialista che farebbe infuriare Giuliano Ferrara e altri: perché mai un arrestato non potrebbe diventare premier?
Se c’è una lezione da trarre da Mafia Capitale è proprio questa: in Italia non solo gli arresti non costituiscono un handicap, ma fanno curriculum. L’anno scorso Buzzi parla con Giovanni Campennì, imparentato – secondo il Ros – con la famiglia ‘ndranghetista dei Mancuso di Limbadi: “Ahò Giovanni, senti, c’è da dà ‘na mano a Alemanno in campagna elettorale… È un amico ed è stato pure in galera… mo’ gli lascio i numeri tuoi così te faccio chiamà”. Campennì: “Me chiama Alemanno? Lascia perdere (ride)”. Buzzi: “Vabbè però è ‘n amico nostro… poi è stato pure in galera, Alemanno, aiutamolo no?”. C: “Galeotto puru?”. B: “Sì, s’è fatto sei mesi dentro, quindi…”. C: “Sei mesi? Como quanto a mia feci allora?”. B: “Vedi, ha fatto come a tia…”. E la circostanza risollevò subito le quotazioni dell’ex sindaco agli occhi del ruspante calabrese. Era successo nell’autunno dell’82, quando una prodigiosa congiunzione astrale fece ritrovare nella casa circondariale di Rebibbia Alemanno, Carminati, Andrea Munno, Peppe Dimitri e Salvatore Buzzi. Alemanno era dentro per una molotov lanciata contro contro l’ambasciata dell’Urss.
Carminati, Dimitri e Munno per le loro imprese nei Nar. Buzzi perché aveva massacrato con 34 coltellate un suo collega bancario e socio di truffe e s’era beccato 25 anni. Alemanno, Dimitri e Buzzi dividevano la stessa cella. Gli altri due li incontravano in cortile. Fecero amicizia. Poi si persero di vista. Divenuto deputato di An e poi ministro dell’Agricoltura, Gianni si ricordò di Dimitri e gli affidò una consulenza, durata poco perché di lì a poco Peppe morì. Buzzi intanto si era buttato a sinistra, nel Pci-Pds-Ds-Pd, con la coop rossa 29 Giugno, e fu subito scambiato dai compagni “garantisti” per un fulgido esempio di reinserimento sociale (dalla coop si faceva pagare appena 25 mila euro al mese).
Quando poi Gianni divenne sindaco, Buzzi andò a trovarlo e gli rammentò i bei tempi andati. Abbracci, baci, ma soprattutto affari e malaffari rosso-neri. Anche perché il compagno Buzzi aveva infilato fra i soci della coop rossa il camerata Cecato fra i soci. Anche Munno si era buttato nel mondo dell’impresa, infatti tornò dentro nel ’94, stavolta non più per una modesta aggressione, ma per usura, ricettazione, truffa e ricettazione di dollari falsi. E quando uscì riprese a vincere appalti in Campidoglio. Ma fu purtroppo tagliato fuori da Mafia Capitale: era più efficace Spezzapollici, “uomo del fare” 2.0, di nuova generazione.
E oggi tutti a cadere dal pero: “Chi l’avrebbe mai detto”. L’idea che uno che viene da Rebibbia vada tenuto a debita distanza, o almeno esaminato con prudenza onde evitare ricadute, è roba da giustizialisti forcaioli, putribondi figuri sempre lì a moraleggiare, gente che sarebbe capace di non invitarti più a cena se viene a sapere che hai un paio di ergastoli sul groppone, o di chiederti la fedina penale prima di lasciarti le chiavi di casa. Per fortuna la politica italiana è il regno della fiducia: infatti Luca Odevaine, con le sue condanne per droga e assegni a vuoto, era diventato vicecapo di gabinetto della giunta Veltroni, capo della polizia provinciale della giunta Zingaretti e infine membro del Coordinamento nazionale richiedenti asilo del governo Renzi, con magri stipendi che arrotondava con i 5mila euro al mese che gli passava la gang di Mafia Capitale. Respinto l’anno scorso dagli Usa come turista indesiderato per i suoi precedenti penali, si pensava che si fosse cambiato il cognome (in realtà si chiama Odovaine) all’anagrafe per nasconderli meglio. Invece, sentito dai pm, ha spiegato che non era mica per quello: anzi, averne di precedenti penali. Intanto il Ros ha scoperto che fra i “legali (si fa per dire) rappresentanti” del consorzio d’imprese che ha vinto l’appalto truccato del Cara di Mineo, almeno cinque hanno subìto condanne, o arresti, o indagini per i più svariati reati. E se dirigevano il traffico di un affare da 200 milioni non era malgrado quei precedenti, ma grazie ai medesimi.
Nasce così una nuova categoria giuridica, quella dell’“illegale rappresentante”, che è tempo di istituire con apposito decreto, possibilmente prima che Buzzi, Carminati e Tredicine strappino la prescrizione e corrano alle primarie per Palazzo Chigi. Poi si provvederà a sostituire l’ora legale con l’ora d’aria.
Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 14/6/2015