Sandro Modeo, La Lettura - Corriere della Sera 14/6/2015, 14 giugno 2015
SE IL TUO CERVELLO VEDE DOPPIO LA REALTA’ DIVENTA SIMMETRICA
Un libro già classico del saggista Michael Shermer (Homo Credens, appena tradotto per l’editore Nessun Dogma) inquadra il nostro cervello come una potente macchina di bias (auto-inganni) adattativi. Pervasivo a ogni livello (dall’ideologia politica a quella economica, di ogni orientamento), quel ventaglio di schemi predefiniti si coagula in pregiudizi marmorei soprattutto nell’ambito religioso: tanto che Shermer apre il libro con l’esito di un sondaggio Harris Poll del 2009, in cui gli americani delle tre principali religioni-confessioni (cattolici, protestanti, ebrei) rivelano la loro credenza, tra l’altro, nella sopravvivenza dell’anima e quindi nell’aldilà (71%), nel paradiso e nell’inferno (75 e 61%) e persino nella reincarnazione (20%), con l’evoluzione darwiniana relegata, per la cronaca, al 45%.
In un capitolo specifico, Shermer riconduce il permanere della credenza nell’«altro mondo» al mix di diversi pattern emotivo-cognitivi radicati, da quello dualista (la separazione mente-corpo), a quello «intenzionista» (l’estensione indefinita nel tempo del nostro Sé e del relativo schema corporeo come «agenti» intenzionali). A rigore, andrebbe aggiunta la propensione a proiettare l’assetto simmetrico del nostro organismo nella rappresentazione del mondo esterno: proiezione avvertibile, nel caso specifico, non solo nella polarità di base aldiquà/aldilà, ma anche nella topografia dell’oltretomba (paradiso/inferno, col purgatorio come tarda «mediazione» medievale) e nelle antitesi teologiche (Dio/Satana e Cristo/Anticristo, quest’ultima oggetto del nuovo libro di Marco Vannini, Mondadori).
La simmetria – nella variante del doppio e della copia – spiega del resto anche uno dei connotati profondi del rapporto aldiquà/aldilà: il riverberarsi, trasfigurato, del primo nel secondo, con una proiezione che conferisce ai vari aldilà i caratteri delle culture e dei contesti che li hanno prodotti. Per verificarlo, basta leggere un eccellente libro collettivo (Il mondo che verrà, Sei editrice, introduzione di Marina Sozzi) esteso a tutte le religioni, da cui emergono tante rifrazioni e specularità: quelle ebraiche (con la Gheenna infernale ispirata alla valle di Hinnom, area di Gerusalemme gremita di lebbrosi e di fuochi per bruciare i rifiuti); quelle islamiche (con la poligamia-misoginia estesa a un paradiso con le famose vergini «dai grandi occhi neri»); e quelle cinesi di influenza buddhista (dove inferno e paradiso sono «burocrazie» gestite da demoni-giudici e da «impiegati» d’ufficio). Anche qui, si potrebbe integrare il quadro con la Cerveteri etrusca, dove la planimetria della necropoli riflette quella della polis, e i vani delle tombe ricalcano quelli delle case.
Ma il libro della Sei va oltre. Seguendo lo sviluppo dall’ambivalenza dolorosa dell’Ade omerico (tra un’oscurità depressiva e il chiarore del Prato degli Asfodeli) alle visioni dei grandi monoteismi (tra la radiance dei paradisi-giardini e l’horror-splatter degli inferi), mostra come l’aldilà abbia sommato nel tempo alla riflessione psicologica sulla mortalità la «compensazione» etico-morale, con punizioni e premi come deterrenti/incentivi per la condotta nell’aldiquà. Mentre ripercorrendo il tracciato «scettico» dal disincanto antico (vedi gli epicurei o il sarcasmo di Luciano) a quello scientifico-illuminista, evidenzia come la dimensione ultraterrena si sia ormai ripiegata in una lettura allegorico-interiore, la stessa che emerge dall’indagine riportata da Shermer, dove la pulsione più all’angelico che al demoniaco tradisce uno slancio insieme poetico e patetico, tra Frank Capra e Ghost.
Non tutti gli aldilà immaginati oggi, però, sono così privati e socialmente neutrali, come mostra l’islam radicale con i suoi terroristi suicidi. Qui la promessa paradisiaca è l’architrave di una visione non tanto arcaica, quanto – con la sua accecante coerenza psicotica e nonostante il tecnomarketing che la avvolge – fuori dal tempo e dalla storia.Una visione che – a lungo alimentata dai calcoli sbagliati e dall’arroganza dell’Occidente – ha eletto proprio nell’ideologia oltretombale una forma quasi invincibile di «concorrenza sleale».