Stefano Boldrini, La Gazzetta dello Sport 14/6/2015, 14 giugno 2015
DOV’È FINITO MARIO?
Qualcuno, come scrisse Carlo Levi, si è fermato a Eboli. Mario Balotelli l’ha presa più alla larga, arenandosi a Manaus, sulle rive del rio delle Amazzoni: il 14 giugno 2014, esattamente un anno fa, firmò il suo ultimo gol con la maglia della Nazionale, nella gara con l’Inghilterra, vinta 2-1 dall’Italia. Era l’alba del Mondiale azzurro in Brasile, ma era già il tramonto. Dopo quel 2-1, arrivarono le sconfitte con Costa Rica (0-1) e Uruguay (0-1). L’Italia tornò a casa, salutando il torneo dopo la fase eliminatoria per la seconda volta di fila. Saltarono i vertici del nostro calcio: si dimisero il presidente federale Giancarlo Abete e il commissario tecnico Cesare Prandelli. La vecchia guardia della squadra accusò i giovani. L’imputato numero uno aveva un nome e un cognome: Mario Balotelli.
Le disavventure al Mondiale lasciano sempre il segno. Il disastro tedesco del 1974 ispirò il romanzo Azzurro tenebra di Giovanni Arpino. Se un giorno qualcuno vorrà raccontare quanto è accaduto in Brasile, Mario Balotelli sarà il protagonista. Non sarà facile trovare la sua collocazione e neppure dargli un nome: sicuramente non il «Bomber» come fu ribattezzato Gigi Riva e neppure il «Golden Boy», come Gianni Rivera. Forse Marione, accostandolo a Giorgio Chinaglia, Giorgione, che passò alla storia di quel mondiale per il «vaff…» a Valcareggi al momento della sostituzione nel match con Haiti.
Mario non ha mandato nessuno a quel paese. Al contrario: sono stati in tanti a spedircelo dopo un torneo di cui, a parte il gol di testa all’Inghilterra, si ricordano di lui le occasioni mancate con Costa Rica e il gossip a tutta fanfara con Fanny. In due anni, mondo capovolto per Balotelli: da eroe della semifinale europea contro la Germania a immagine del fallimento brasiliano. Si pensava che Mario avesse toccato il fondo. Sbagliato: il peggio doveva ancora arrivare.
È avvenuto a Liverpool, dove Mario è approdato nell’agosto 2014, dopo un’operazione di mercato che va considerata, cifre alla mano, un capolavoro del suo agente, Mino Raiola: venti milioni di euro nelle casse del Milan ed ennesimo contratto importante per il giocatore. Il debutto in casa del Tottenham, il 31 agosto, con il 3-0 a favore dei Reds, pareva il preludio della rinascita. Dopo la partita, Mario s’intrattenne a lungo sul piazzale dello stadio degli Spurs con Sturridge, il bomber con il quale Balotelli avrebbe dovuto fare sfracelli a Liverpool. Una coppia perfetta, sulla carta. I problemi fisici hanno invece rovinato la stagione di Sturridge e guai di varia natura hanno fatto vivere a Balotelli la sua peggior annata di sempre. Il gol in Champions al Ludogorets, il 16 settembre, una semplice parentesi.
In Nazionale, dopo una prima convocazione con il nuovo c.t. Antonio Conte, indietro tutta dopo l’infortunio-non infortunio di novembre. Una ritirata su tutta la linea, peggio di una Caporetto, con il colmo di una squalifica per un post infelice di contenuto anti-semita su un social network. Clamoroso: lui, assurto un giorno a rango di simbolo della nuova Italia, attraverso le parole dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, caduto in modo rovinoso su un tema delicato come quello del razzismo. Uno scivolone figlio, come sempre, della leggerezza eccessiva di chi non prende mai sul serio la vita.
A Liverpool, Balotelli è stato un disastro. I numeri lo inchiodano: 28 presenze e 4 gol, di cui uno solo in campionato, al solito Tottenham, il 10 febbraio 2015. Una rete che illuse tutti, tifosi compresi: vuoi vedere che Balotelli si è risvegliato? Contrordine, compagni: il lungo sonno è ricominciato. Mario ha chiuso l’annata in tribuna, tra uno sbadiglio, una febbre passeggera e l’aria di chi pensa «ma che ci faccio io qui?». Prigioniero del suo contratto e delle sue lune, sparito dal radar del football che conta, dimenticata la Nazionale, Mario sta trascorrendo la sua estate in Italia, tra sussurri di gossip che hanno riportato in copertina Fanny e battute che non fanno ridere. «Non parlo più l’italiano», avrebbe detto qualche giorno, assistendo a un match del fratello Enock. Il problema di Mario è che non parla più il linguaggio universale dei tempi moderni: quello del calcio.