Chiara Beria Di Argentine, La Stampa 13/6/2015, 13 giugno 2015
IL MARADONA ITALIANO DELLE GUIDE DA SAFARI
Per nascita Pietro Luraschi - il «Maradona delle guide da safari», l’ha soprannominato un suo cliente inglese - come discendente di tre generazioni d’ingegneri era destinato a seguire le orme di una famiglia che ha lasciato l’impronta fin dai tempi del liberty sui palazzi di Milano. Ma Pietro dopo la laurea al Politecnico, poco convinto di far scorrere la sua vita davanti a un computer e anche per dimenticare un amore svanito, andò a lavorare come volontario a un progetto di ricerca sui leoni nel Tarangire National Park, Nord della Tanzania.
«Soffro molto i distacchi. Quando con la mia ragazza ci siamo lasciati sono entrato in una specie di nube nera. Svegliarsi con i rumori della natura; immergersi in paesaggi intatti e infiniti; i tanti, meravigliosi animali. Quella prima volta in Africa non solo mi ha aiutato a superare il dolore, ma a scoprire e amare la gente e il linguaggio della savana», racconta Luraschi. Lunghi capelli biondi, superfisico non dell’orrido genere palestrato, a 40 anni Pietro Luraschi è la guida di safari italiana più qualificata al mondo.
«Non sono cacciatore e non faccio safari di caccia. In Africa però la vera piaga è il bracconaggio con il traffico illegale d’avorio e di corno del rinoceronte (60 mila dollari al chilo) finanziato dai cinesi». Lasciato il posto sicuro in Italia (suo padre, Beppe, gli disse che l’importante era la sua felicità) dopo aver lavorato anni come manager e guida nelle aree protette più selvagge della Tanzania, dal Ruaha National Park al Selous Game Reserve, portando i clienti quasi tutti inglesi in auto o a camminare ore nel bush («il modo migliore per riattivare i nostri 5 sensi»), l’avventuroso ingegnere affrontò una nuova sfida iscrivendosi in Sud Africa alla prestigiosa Field Guide Association.
Nel 2008 è diventato così il primo italiano a raggiungere la qualifica più alta: il Fgasa Level III, Trails guide e Advanced Riflke Handling. Geologia, botanica, zoologia, astronomia etc. Tante le materie da studiare oltre a imparare a sparare: altro che un banale master in business administration! Ricercatissimo dai clienti, il super ranger che oltre all’inglese parla swahili («L’ho imparato anche per rispetto della popolazione locale») per il governo tanzano istruisce le guide dei safari a piedi e da poco è stato nominato capo istruttore delle 70 guide che lavorano per Asilia Africa, compagnia che possiede 17 campi e lodges tra Tanzania e Kenya. Incarico prestigioso e di gran responsabilità conquistato da Pietro grazie anche al successo del suo ottimo lavoro al Kwihala Camp (6 tende nel Ruaha). «In un anno siamo passati da 250 a 2000 notti con clienti. Su TripAdvisor siamo schizzati dal 6° al primo posto tra i campi in Tanzania. Il segreto? Da bravo italiano ho molto lavorato su ospitalità, qualità del cibo, servizio, atmosfere. Al Kwihala l’aperitivo si prende attorno al fuoco mentre la cena è servita ai tavoli sotto alberi con lanterne appese ai rami. Ma la cosa più fantastica sono gli avvistamenti: 3 volte al giorno diversi leoni, il leopardo a giorni alterni, elefanti e giraffe tutti i giorni. Stupendo, ma un lavoro bestiale: 16 ore al giorno, 4 mesi di fila!». Risultato: Kwihala Camp è stato comprato da Asilia con l’indispensabile ingegnere.
Lui però che, nel frattempo, ha lavorato anche nei campi creati in Kenya dal giornalista Riccardo Orizio e ha tenuto corsi all’Aiea (Associazione italiana esperti d’Africa) ora ha nuovi obiettivi: «Lavorerò per Asilia in Tanzania 4 mesi l’anno ma seguirò sempre di più i miei clienti privati. Ormai ho una certa reputazione!».
L’altra faccia del ranger. Narra di dolori indicibili, sostiene che la paura è «sinonimo d’intelligenza» e si commuove al ricordo di quando, 2 anni fa, attaccato con i suoi clienti da 7 elefanti è stato costretto a uccidere la matriarca del branco («Abbiamo poi scoperto che era stata ferita da un bracconiere») fino a svelare il suo lato più fragile. Niente amori in Africa? Sorride Pietro: «Alla mia età non ho più voglia di certe avventure! Il mio sogno è tornare in Italia. Crearmi una famiglia e avere dei figli senza perdere tutto quello che con passione e fatica ho costruito».
Chiara Beria Di Argentine, La Stampa 13/6/2015