Paolo Baroni, La Stampa 13/6/2015, 13 giugno 2015
NEL BORGO FRANCESE CHE FA SCUOLA: «COSÌ GESTIAMO LE SCORIE NUCLEARI»
Gilles Gerard, quando nel 1992 il governo francese scelse la zona dell’Aube per realizzare il suo secondo deposito nazionale di stoccaggio di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità, era contrario e, da vicesindaco del Comune di Epathemont, convinse il sindaco di allora, che invece la pensava esattamente all’opposto, a consultare la popolazione. Risultato: oltre 80 per cento di «no». Negli anni Gerard però si è dovuto ricredere. «Eravamo ignoranti, per noi il nucleare era identificato con Hiroshima», ammette. Oggi i numeri si sono ribaltati al punto che «l’80% della popolazione è a favore, perché l’impianto realizzato dall’Agenzia nazionale che gestisce i rifiuti radioattivi (Andra), qui ha portato sviluppo e lavoro».
Epathemont è un Comune piccolissimo, appena 180 abitanti, ed è il nucleo abitato più vicino al deposito. Tanta agricoltura, mucche rosse al pascolo, distese infinite di campi coltivati a grano, boschi verdissimi di querce e i vitigni dello champagne ad un tiro di schioppo. Un piccolo paradiso verde a Sud-Ovest di Parigi. La casa più vicina è ad appena 500 metri di distanza. Ovviamente nessun problema di sicurezza, nessun problema di inquinamento, nessun problema in assoluto complice una densità abitativa che noi italiani ci sognano, appena 11 abitanti per chilometro quadrato. Dal 1992, l’anno dell’entrata in servizio dell’impianto, nessun incidente. E nessun effetto sull’ambiente esterno, monitorato ogni anno per un raggio di 15 chilometri attraverso 12 mila controlli di ogni tipo, ambientali, biologici, chimici e perfino meteorologici, che arrivano sino alla selvaggina e al miele prodotto dalle api. Insomma misure di sicurezza assolute, come i criteri internazionali scelti per individuare il sito, controlli rigidissimi e trasparenza come impone un tema delicato e potenzialmente di forte impatto sulla popolazione interessata come il nucleare. «Il segreto – spiega Gerard – è fare sempre qualcosa di nuovo per rassicurare la popolazione. Non bisogna mai lasciarla nel dubbio». E la cosa pare funzionare, tant’è che ora la zona dell’Aube si candida ad ospitare il terzo di deposito nazionale.
La struttura del sito dell’Aube nei fatti è il modello a cui si ispira anche l’Italia, che in Europa è rimasto l’unico Paese a non avere ancora approntato un impianto del genere. Anzi, spiegano alla Sogin, la società pubblica incaricata di smantellare le vecchie centrali atomiche italiane e di gestire i rifiuti radioattivi, «il nostro avrà un livello di sicurezza maggiore». Nel gioco delle matrioske di protezione l’impianto italiano avrà infatti un «contenitore» in più. I prodotti delle attività quotidiane di medicina nucleare, dell’industria e dei centri di ricerca e quelli provenienti dallo smantellamento dei vecchi impianti ora sparpagliati in una infinità di siti verranno infatti prima inseriti in fusti d’acciaio o contenitori di calcestruzzo riempiti poi di malta cementizia. Saranno trasportati al deposito nazionale e quindi inseriti e di nuovo cementati in moduli di calcestruzzo speciale che a loro volta saranno poi posti in grandi celle di cemento armato. Una volta riempiti questi contenitori superschermati saranno sigillati, impermeabilizzati e infine ricoperti con più strati di materiale opportuno per prevenire infiltrazioni d’acqua trasformandosi così in verdi collinette.
Dove verrà collocato il deposito italiano? La decisione finale sarà presa solamente fra molti mesi, il conto alla rovescia però è iniziato. Martedì prossimo scade infatti il termine di 60 giorni entro il quale la Sogin deve consegnare ai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo gli ultimi approfondimenti. Quindi dopo le verifiche del caso su studi, migliaia di pagine di relazioni e centinaia di cartografie dovrebbe arrivare l’ok alla diffusione del primo elenco di siti idonei e alla presentazione del progetto preliminare del nuovo impianto. L’elenco è ovviamente top secret, ma in base ai criteri internazionali applicati si può dire già ora che la Valle d’Aosta non sarà interessata, per ragioni altimetriche che escludono tutti le zone sopra i 600 metri, così come gran parte della Pianura padana, in questo caso per ragioni geologiche. Tutto il resto d’Italia invece sarà presente e l’elenco conterrà diverse decine di aree.
La road map prevede poi una consultazione pubblica aperta a enti locali, mondo scientifico, associazioni ambientaliste, cittadini per raccogliere osservazione ed aggiornare il piano che quindi verrebbe varato in maniera definitiva ad inizio 2016. Di qui ad allora alla Sogin si aspettano che Regioni e Comuni si facciano avanti manifestando il loro interesse ad approfondire il progetto. «Mi aspetto un’ampia adesione – spiega il direttore della Divisione deposito nazionale, Fabio Chiaravalli –. Perché abbiamo una grande fiducia nel sistema che è stato approntato per arrivare alla decisione finale». «Tutto trasparente, tutto pubblico, tutto vigilato dai comitati locali, mai nessun segreto, così si deve procedere», conferma Patrice Torres, giovane direttore del Centro industriale dell’Andra nell’Aube. Chiaravalli sarebbe felice se arrivassero «almeno due manifestazioni d’interesse». Si tratta di «condividere una scelta nell’interesse del Paese – aggiunge –. Gli incentivi? Ci saranno e saranno pure molto ricchi, ma questa sarà l’ultima cosa. Perché un impianto del genere porta innanzitutto sviluppo, crescita, tanto lavoro».
In Francia ai 21 Comuni del comprensorio dell’Aube sono stati destinati da subito circa 10 milioni di euro ed ora beneficiano di circa 2 milioni di euro di entrate fiscali in più all’anno proprio grazie alla presenza sul loro territorio dell’Andra. Il progetto della Sogin, di partenza, prevede un investimento di 1,5 miliardi: 650 milioni per la progettazione e la costruzione del deposito nazionale, 700 milioni per le infrastrutture interne ed esterne e altri 150 per realizzare un Parco tecnologico, altra «miglioria» rispetto alla Francia, che prevede un centro di ricerca aperto a collaborazioni internazionali e attività nel campo del decommissioning, della gestione dei rifiuti radioattivi e dello sviluppo sostenibile. A regime il polo occuperà circa 700 persone mentre la realizzazione dell’impianto darà lavoro a circa 1500 persone per quattro anni. Avvio ipotizzato dei cantieri il 2019, impianto in funzione nel 2024.
Paolo Baroni, La Stampa 13/6/2015