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 2015  giugno 13 Sabato calendario

IL MOLISE SPENDE PER IL PERSONALE DIECI VOLTE PIÙ DELLA LOMBARDIA: LO SCRIVE COTTARELLI IN UN LIBRO CHE DIMOSTRA L’INUTILITÀ DELLE REGIONI

È davvero grande il rammarico che si prova leggendo il saggio in cui Carlo Cottarelli ha condensato i risultati dell’anno di lavoro trascorso a Roma come commissario alla spending review («La lista della spesa»; Feltrinelli). Pagina dopo pagina, anche chi non è pregiudizialmente ostile a Matteo Renzi, si rende conto che il premier tuttofare ha buttato alle ortiche un’occasione d’oro per tagliare sul serio gli sprechi della spesa pubblica. Una volta tanto, c’era l’uomo giusto al posto giusto, un economista competente ed esperto, con alle spalle 25 anni al Fondo monetario a setacciare i bilanci degli Stati membri. Un tecnico di prim’ordine, scelto da Enrico Letta, e quasi certamente per questo inserito da Renzi nel novero degli infedeli da ostacolare, o cacciare. Un vero peccato.
Quando fu chiamato la prima volta, Cottarelli rispose che l’incarico non lo interessava. Anzi gli sembrò strano, perché (spiegò all’allora ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni) la figura del commissario alla spending review non esiste in nessun altro Paese al mondo. Ma, di fronte alle insistenze, accettò di prendere un congedo triennale dal Fondo monetario e di trasferirsi in Italia, con l’avvertenza che, dopo un anno, avrebbe valutato se restare o no per altri due. L’ostilità di Renzi, manifestata pubblicamente più volte con tono irridente, lo convinse a levare le tende per tornare al Fmi. I risultati ufficiali del suo lavoro, tenuti nel cassetto per mesi dal governo, sono stati pubblicati in primavera. Documenti ponderosi, non sempre di facile lettura.
È invece un libro per tutti, e «non per gli specialisti», quello appena giunto in libreria, in cui Cottarelli spiega «la verità sulla spesa pubblica italiana e come si può tagliare». Un’autentica miniera di informazioni preziose, che i suoi successori, Yoram Gutgeld e Roberto Perotti, scelti da Renzi, farebbero bene a non sprecare se davvero vogliono tagliare almeno 10 miliardi di sprechi entro il 2016, come lo stesso Gutgeld ha ribadito al convegno dei giovani industriali di Santa Margherita Ligure. Gli sprechi da tagliare sono ben più consistenti, e Cottarelli valuta che «la spesa pubblica italiana, nonostante i tagli realizzati dal 2010 in poi, eccede quello che ci possiamo permettere di almeno due punti e mezzo di pil, ovvero circa 40 miliardi».
Tra gli interventi possibili, illustrati nel libro, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Prendiamo gli enti locali. Tra i grandi capitoli di spesa, le Regioni sono al terzo posto (con 138 miliardi), dopo gli enti previdenziali (primi, con 320 miliardi, quasi metà della spesa pubblica al netto degli interessi), e le amministrazioni centrali dello Stato (al secondo posto, con 190 miliardi). Dei 138 miliardi spesi dalle Regioni ogni anno, Cottarelli precisa che 109 miliardi riguardano la sanità, che vale circa l’80% dei budget regionali. Se ne deduce che per tenere in piedi le Regioni, ogni anno servono quasi 20 miliardi, destinati a stipendi e vitalizi da nababbi, auto blu a go-go, costose sedi di rappresentanza sparse per il mondo e rimborsi di spese criminali (se ne occupano decine di procure, ormai). Che in questi 20 miliardi si annidino degli sprechi da tagliare, è solo un eufemismo. Sono le Regioni in quanto tali che andrebbero abolite, come Italia Oggi ripete da tempo: tesi che, in parte, ha cominciato a fare breccia anche tra alcuni politici e governatori.
Alcuni sprechi sono ormai intollerabili. Sulla base dei bilanci regionali 2014, scrive Cottarelli, la spesa per il personale varia da un massimo di 177 mila euro per mille abitanti in Molise a un minimo di 19.800 euro in Lombardia. Il fatto che in Lombardia si spenda un decimo del Molise si può giustificare solo in parte con il fatto che ogni Regione, anche se piccola, deve dotarsi di sedi e di personale proprio per il Consiglio regionale e per la Giunta. «Ma differenze di queste dimensioni sono difficilmente spiegabili, se non in termini di differenze di efficienza», scrive Cottarelli. Che aggiunge altri dati: mentre la Liguria spende per il personale 37.500 euro per mille abitanti, la Calabria ne spende 63.700, quasi il doppio, mentre l’Abruzzo arriva a 94.400 euro, due volte e mezzo più della Liguria, pur essendo una regione più piccola. Quanto alle Regioni a statuto speciale, sottolinea Cottarelli, «di solito sono più spendaccione di quelle a statuto ordinario».
C’è poi lo scialo delle sedi. Le venti Regioni ne hanno una in ogni provincia, del tutto inutili. Come sono inutili la sede a Tirana della Regione Puglia, le sedi a Bruxelles «ridondanti e costose», più le rappresentanze all’estero presso le Camere di commercio, a cui le Regioni pagano l’affitto. In confronto, Comuni e Province fanno la figura di enti virtuosi. I primi, dopo i tagli già subiti, rappresentano appeno l’8% della spesa pubblica nazionale, mentre «le bistrattate Province», scrive Cottarelli, «viste da molti come la causa di tutti i mali della finanza pubblica, rappresentano poco più dell’1% (9 miliardi) della spesa nazionale, in rapida discesa». Insomma, per tagliare gli sprechi era meglio abolire le Regioni. Mentre Renzi le ha promosse a pilastro del nuovo Senato. Un errore che costerà caro, e ostacola il taglio delle tasse. Una sciagura.
Tino Oldani, ItaliaOggi 13/6/2015