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 2015  giugno 13 Sabato calendario

IL RAGIONIERE INGLESE

Chi ha lavorato con lui alla SG Warburg di Londra, la prestigiosa investment bank che fu poi comprata da Ubs, se lo ricorda bene. L’inglese John Cryan, che ci era arrivato nel 1987 dopo essersi laureato a Cambridge e aver mosso i primi passi in Arthur Andersen, era uno nei radar. A pranzo mangiava sempre in un modesto pub a due passi dall’ufficio e si sedeva al solito posto, sulla solita poltrona di vecchia pelle inglese.
E quando doveva viaggiare lo faceva rigorosamente in seconda classe.
Sarà dunque, anche sotto questo profilo, un cambiamento epocale quando a fine giugno il 54enne Cryan si insedierà alla guida di Deutsche Bank, alla cui testa c’era il brillante 52enne inglese di origini indiane Anshu Jain, banchiere vestito con completi da mille dollari e abituato a spostarsi solo col jet aziendale. Il traumatico passaggio di consegne avvenuto in cima alle due torri di Francoforte nel consiglio d’amministrazione di domenica 7 giugno segna una nuova tappa per quella che è la più grande banca tedesca e una delle maggiori dell’Eurozona. Jain lascia la poltrona che condivideva dal 2012 con il 66enne tedesco Jurgen Fitschen secondo la formula «doppelspitze», ossia «doppia cima», che fu coniata allora per giustificare la ripartizione delle deleghe dopo il precedente decennale regno monocratico di Josef Ackermann.
Jain e Fitschen abbandonano (il secondo lo farà formalmente l’anno prossimo) perché hanno perso il consenso degli azionisti, a partire da quelli principali, come lo sceicco del Qatar Hamad bin Jassim Al Thani, entrato in Deutsche Bank l’anno scorso col 6% tramite l’aumento di capitale da 8 miliardi di euro.
D’altronde nei tre anni della doppia guida il titolo è rimasto pressoché fermo (ma negli ultimi cinque anni ha perso quasi il 50% del suo valore) mentre concorrenti europei come Ubs o Barclays hanno messo a segno un rialzo dell’80 e del 60% rispettivamente. Solo un mese prima del ricambio l’assemblea di bilancio aveva registrato il voto contrario del 40% dei presenti, cosa mai avvenuta nella storia di Deutsche Bank. E il nuovo piano quinquennale annunciato dai due co-ceo, che prevedeva risparmi per 3,5 miliardi di dollari, non aveva incontrato il gradimento degli investitori perché erano stati forniti dettagli solo generici sull’azione di taglio dei costi.
Numeri alla mano, nei tre anni del duo Jain-Fitschen il roe dopo le tasse dell’istituto è stato dello 0,5% nel 2012, del 2% nel 2013 e del 2,7% nel 2014, decisamente peggio dei concorrenti. Non solo; lo scorso aprile la banca aveva dovuto pagare una stratosferica multa di 2,5 miliardi di dollari per lo scandalo della manipolazione del Libor da parte di un gruppo di trader e altri 55 milioni erano stati sborsati alla Sec americana per aver nascosto le perdite ai clienti durante la crisi finanziaria. Infine le notizie del coinvolgimento della filiale russa di Deutsche Bank in una storia di riciclaggio e Fitschen finito sotto processo per le vicende legate al crack dell’impero mediatico del tycoon tedesco Leo Kirch. Ma è stato lo scandalo del Libor a far accendere i riflettori su Jain da parte della BaFin, l’authority bancaria tedesca, che, seppur non contestandogli fatti specifici, indicava che in quanto capo dell’investment banking era responsabile de facto di quanto avvenuto nelle sale trading della divisione global finance guidata da David Nicholls.
Jain, che mangia vegano e che dopo tre anni ancora non aveva imparato il tedesco a sufficienza, era il vero uomo forte di Deutsche Bank: ex Merrill Lynch, è stato per 17 anni capo del corporate e investment banking, che ha macinato profitti milionari per la banca, pari fino al 75% degli utili globali, ma che nel 2008 provocò pure perdite per 8,5 miliardi. I suoi mentori furono i famosi capi dell’investment banking londinese della banca, Edson Mitchell e Michael Cohrs, che fecero carriera sotto il regno di Ackermann. A prendere in mano la situazione e a decidere l’improvviso ricambio, sotto la pressione dei grandi azionisti, è stato il presidente del consiglio di sorveglianza di Deutsche Bank, Paul Achleitner, ex direttore finanziario di Allianz e in stretti rapporti coi poteri forti tedeschi, a cominciare dalla cancelliera Angela Merkel. Proprio lui due anni fa aveva inserito Cryan nel board della banca quando il manager aveva lasciato la carica di direttore finanziario di Ubs. E qualcuno disse che già allora Achleitner lo aveva segretamente candidato alla guida, se la formula «doppelspitze» non avesse funzionato. Scalati i gradini di Ubs, Cryan ne è diventato uno dei più capaci investment banker (è stato unico advisor, ad esempio, nell’azzeccata campagna vendite di asset da parte di Abn Amro nel 2007) e nel 2008 è stato nominato cfo. Al di là del fatto che parla tedesco ed è presidente per l’Europa di Temasek, il fondo di Singapore, è stato scelto da Achleitner perché nei suoi tre anni da cfo ha tagliato per ben 1.300 miliardi di dollari i costi di Ubs quando la banca svizzera, colpita da svalutazioni per 48 miliardi di dollari, fu salvata dallo Stato.
Tutte cose che servono adesso, visto che Deutsche Bank deve, oltre che ridurre i costi, decidere se e quanto proseguire nel business dell’investment banking e deve cedere Postbank, grande braccio nel retail banking comprato da Ackermann per la stratosferica cifra di 6 miliardi di dollari. Perché il problema della banca è anche, a fonte di un core tier 1 salito dal 6 all’11,1% nel giro di tre anni grazie a due aumenti di capitale, consolidare una crescita degli utili minacciata da un rapporto cost-income del’87% lo scorso anno, decisamente peggiore dell’obiettivo del 65%. Un puzzle difficile da risolvere. Può farcela solo uno maniaco, forse fin troppo, dei dettagli, come Cryan. Non sarà sfavillante come Jain, ma si sa che i grandi banchieri di oggi sono più ragionieri che stelle.
Andrea Giacobino, MilanoFinanza 13/6/2015