Andrea Montanari, MilanoFinanza 13/6/2015, 13 giugno 2015
CHI HA PAURA DI NETFLIX?
Da ottobre l’Italia non sarà più la Cenerentola europea della televisione del futuro. Perché dopo mesi di annunci, sbarcherà sul mercato Netflix, la società californiana nata nel 1997, che offre un servizio di noleggio di dvd e videogiochi via internet ma soprattutto, dal 2008, un’offerta di streaming online on demand in abbonamento, a prezzi stracciati o comunque concorrenziali.
Un fenomeno mediatico e tecnologico che ha cambiato il modo di vedere, ma anche di produrre, i contenuti tv. Una rivoluzione che non ha paragoni come ha dichiarato il suo fondatore, Reed Hastings, nell’intervista che annuncia l’arrivo in Italia, al mensile Wired. «Per 50 anni abbiamo avuto la televisione lineare, ma ogni cosa ha il suo tempo e prima o poi viene sostituita», ha specificato il numero 1 di Netflix. «La nostra filosofia è come la cucina italiana: usiamo pochi ingredienti e li usiamo bene». Difatti, a tutt’oggi, la società americana produce serie di grandissimo successo planetario come House of Cards, Orange is the new black, Unbreakable Kimmy Schmidt, Bloodlin e Daredavil. Un tesoretto che finora le è valso 45 nomination agli Emmy Award (16 trionfi), 13 ai Golden Globe (due vinti) e due all’Oscar (zero statuette). Insomma, uno spauracchio assoluto per i broadcaster tradizionali, visto che Netflix è radicata in più di 50 Paesi (è assente in Medioriente, Russia, Asia e Africa), conta 62 milioni di abbonati e alla fine dello scorso anno aveva registrato un giro d’affari di 5,5 miliardi di dollari con un mol di oltre 1,1 miliardi e un utile di 267 milioni. Una macchina da guerra. Una cash-cow per i suoi azionisti visti i margini e la profittabilità che spaventa tutti i big mondiali del settore media&entertainment.
Ma è tutto oro quello che luccica? La campagna d’espansione d’Oltreoceano, partita nel 2012 con l’ingresso nel florido mercato inglese (affiancato dalla piccola Irlanda) dove la sola Sky di Rupert Murdoch ha oltre 10 milioni di abbonati e si può permettere di spendere 4 miliardi di sterline per comprare i diritti della Premiere League, sta costando caro al gruppo di Hastings. E se la divisione europea può essere considerata ancora in fase di start-up, e quindi è plausibile che registri perdite, è altrettanto vero che lo sviluppo non è stato così rapido. Perché, dei 62 milioni di clienti, oggi solo 21 milioni, quindi un terzo arriva dai mercati extra-Usa: erano 18 milioni l’anno scorso e 11 milioni due anni fa. Per di più tale espansione - Netflix nel Vecchio Continente, oltre che in Uk, è presente in Scandinavia, in Olanda, Francia, Germania, Austria, Svizzera, Belgio e Lussemburgo e ora oltre all’Italia vuole completare lo scacchiere con Spagna e Portogallo - è stata costosissima e al momento per nulla remunerativa. Analizzando i conti delle attività internazionali (solo per lo streaming) emerge che se i ricavi sono cresciuti dai 142 milioni di dollari del primo trimestre del 2013 agli attuali 415 milioni, è altrettanto vero che l’ebitda è tuttora negativo, 65 milioni di dollari, e non si discosta tantissimo da quello del primo trimestre di due anni fa: -77 milioni. A dimostrazione che l’acquisizione di clientela - passata 7,1 a 20,9 milioni di abbonati - non garantisce margini. Nonostante il fatto che, per esempio in Inghilterra, dove Netflix ha un bacino d’utenza di 3,5 milioni di clienti impiega solo 6 persone, abbassando al minimo la soglia dei costi. Ma evidentemente non basta. Tantopiù che dal suo arrivo in Uk, la piattaforma californiana non ha intaccato la base-abbonati delle tv visto che dal 2012 il 73% dei clienti del suo servizio in streaming aveva ancora attivo un abbonamento alla pay-tv.
Cosa succederà da ottobre quando l’offerta (3.500 titoli in catalogo) sarà disponibile in Italia? Innanzitutto va detto che il nostro mercato ha una atipicità o anomalia rispetto agli altri principali Paesi europei che stoppa sul nascere qualsiasi velleità di altri competitor: dal 2005 conta su due piattaforme tv a pagamento, una sul satellite, Sky Italia, e l’altra sul digitale, Mediaset Premium, che già offrono la gran parte di ciò che Netflix proporrà a prezzi da saldo (lo streaming costerà tra 7,99 e 11,99 euro) rispettivamente con Sky Online e Infinity. E poi in Italia esiste l’offerta di Telecom (Tim Vision), Rai.tv e la piccola Chili. Inoltre, sul fronte del prodotto, va detto che due dei successi planetari della creatura di Hastings, ovvero House of Cards e Orange is the new black sono già stati ceduti a Sky e Premium e quindi non saranno distribuibili dal nuovo arrivato. Sempre su questo filone c’è da considerare che il network di Cologno Monzese, contando sulla library della controllata Medusa Film difficilmente cederà a buon prezzo i diritti delle pellicole di Checco Zalone (recordman con oltre 50 milioni d’incassi nelle sale cinematografiche nel 2013) e del premio Oscar Paolo Sorrentino.
Restando nell’ambito dei contenuti originali va detto che il pubblico italiano preferisce di gran lunga le serie tv e i film doppiati e non con i sottotitoli. E quindi Netflix, per adeguarsi a questa esigenza-necessità, dovrebbe incrementare di parecchio i costi. A ciò va aggiunto che nel Paese con la maggior concentrazione di raccolta televisiva sul piccolo schermo, gli ascolti continuano a premiare i canali generalisti: Rai e Mediaset cumulano il 70% dello share quotidiano. Sky ha il 5,58% e la potente Discovery il 5,64%. Trovare un pertugio in questo ambito sarà difficilissimo.
Dulcis in fundo, non va trascurato lo strategico tema dell’infrastruttura che Netflix dovrà affrontare. Negli Usa, la società consuma più di un terzo del traffico internet in download nelle ore di picco. Per questo ha stretto accordi con Comcast, Verizon, At&t e Time Warner e si è battuto per la net neutrality. Ma in Italia, ancora a fine 2014, la banda larga raggiungeva solo il 55% delle abitazioni, contro il 72% della Germania, l’80% del Belgio o addirittura il 92% della Francia. E se il governo e le telco continueranno a prendere tempo sullo sviluppo tecnologico, sarà davvero dura per Hastings trovare una collocazione alla sua creatura e soprattutto destabilizzare i broadcaster locali.
Andrea Montanari, MilanoFinanza 13/6/2015