Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 13/6/2015, 13 giugno 2015
L’FMI FRENA, MA OBAMA AVRÀ L’ULTIMA PAROLA
La clamorosa decisione dell’Fmi di lasciare i negoziati a Bruxelles sul debito greco apre, a prima vista, scenari di un possibile allontanamento definitivo del Fondo dal tavolo delle trattative sulla crisi ellenica. La francese Christine Lagarde, direttore generale del Fondo, deve tranquillizzare i Paesi in via di sviluppo che non vogliono più sborsare altri soldi per un terzo salvataggio greco da 30-40 miliardi di euro senza avere, a differenza del 2010, la certezza di ristrutturare il debito “monstre” che viaggia al 177% del Pil (pari a 320 miliardi di euro) mentre dopo tutti quei soldi doveva essere ridotto al 100% del Pil.
L’Fmi ha prestato finora 31,9 miliardi di euro su 240 miliardi di euro complessivi di aiuti ad Atene, ma nel 2012 lo stesso Fondo ha ammesso in un documento interno di aver clamorosamente sbagliato a non pretendere oltre ai tagli alle spese pubbliche e le riforme per la svalutazione interna sui salari anche una riduzione (haircut) del debito che poi venne effettuato solo due anni dopo. I rappresentanti brasiliano ed argentino all’Fmi avvisarono per tempo dell’errore e chiesero che venisse messo a verbale il loro dissenso ma non furono ascoltati.
Oggi l’Fmi sta facendo tattica negoziale quando lascia il tavolo delle trattative, sapendo che la decisione finale non potrà tenere conto delle variabili geopolitiche. In ultima istanza tutti sanno che sarà il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, maggiore azionista dell’organizzazione internazionale, a dire l’ultima parola. E se Washington deciderà che non vuole avere altre crisi aperte in Europa oltre alla crisi ucraina, allora l’Fmi non potrà che applicare la ricetta classica dei salvataggi. Itinerario che prevede tre mosse: 1) mettere i conti pubblici in sicurezza con aumenti delle imposte e taglio delle spese; 2) mettere in equilibrio le partite correnti con una riduzione dei salari (svalutazione interna) e dei prezzi delle merci così da tornare competitivi ed esportare più beni di quanti se ne importino; 3) ristrutturare il debito con una perdita a carico dei detentori dei bond, così da rendere sostenibile il debito nel medio termine. Dato che queste indicazioni sono state applicate finora puntualmente solo fino al secondo punto nel caso greco, e in ritardo per il terzo, questa volta l’Fmi pretenderà che si faccia il necessario per mettere, dopo il terzo piano di salvataggio, la parola fine a una crisi dell’Eurozona che è durata oltre ogni ragionevole aspettativa.
Dominique Strauss-Kahn, quando era direttore dell’Fmi e in corsa per diventare presidente francese, voleva nel gennaio 2010 mettere la parola fine al possibile contagio greco con l’ex premier Giorgos Papandreou, ma fu fermato dalle incertezze del cancelliere tedesco, Angela Merkel, che aveva delle elezioni regionali in vista, e dalle resistenze dell’allora presidente francese, Nicolas Sarkozy, timoroso di un successo internazionale del suo sfidante all’Eliseo. Così si perse tempo prezioso e la palla di neve divenne la valanga da 320 miliardi di euro, più altri 100 del Target 2 e altri 200 di debiti privati di società e banche elleniche, per 600 miliardi di euro in totale, cifra al cui cospetto il default di Lehman Brothers impallidisce per dimensioni.
Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 13/6/2015