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 2015  giugno 12 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL PD E IL CASO MARINO


REPUBBLICA.IT
MILANO - "Bisogna portare avanti una lotta senza quartiere alla corruzione e alle inefficienze burocratiche" e "contemporaneamente offrire una prospettiva". Il premier Matteo Renzi approfitta della conferenza Italia-America Latina e Caraibi a Milano per ricordare l’impegno del governo contro la corruzione e per le riforme.
Un discorso, quello del premier, che ha visto due passaggi importanti, il primo contro l’euroburocrazia che regna a Bruxelles: "Questo è il tempo della politica con la P maiuscola, non è piu il tempo della tecnocrazia. Questo vale per l’America Latina ma anche in Europa dove l’ubriacatura tecnocratica sta finalmente segnando il passo".
L’Europa, ha aggiunto, "non può essere un semplice insieme di regole e burocrazie a dettare il futuro del nostro continente. A Bruxelles, osserva il premier, si sta cominciando a capire che "l’Europa non crescerà più se continuerà a pensare" che si va avanti "soltanto affidandosi a ricette tecnocratiche".
Poi ha parlato di crescita: "La crescita economica è il modo principale per combattere la povertà e la fame" e "politiche di riforma strutturali in grado di tornare alla crescita" sono un "elemento di fondamentale importanza", ha aggiunto il premier. E ha fatto un riferimento a Expo: "C’è innanzitutto l’idea che l’Expo, che è un grande appuntamento che tiene insieme l’Europa e America Latina, è molto di più, è un ideale: quello di combattere tutti insieme la fame".
Uno dei primi obiettivi che si pone il governo, ha sottolineato il premier, "è combattere per un mondo più giusto dove la crescita economica si accompagni a capacità di offrire opportunità a tutti". Per il presidente del Consiglio occorre "riuscire a mettere in campo nei nostri Paesi politiche di riforme strutturali che siano in grado di far ritornare il Paese alla crescita: è l’elemento di partenza".
Il premier però è voluto intervenire anche sulla questione immigrazione, dopo giorni di durissima polemica da parte della Lega sulla gestione governativa del fenomeno. Pur senza citare direttamente il tema, ha messo in guardia da chi semina paure: "Serve un ideale comune, serve la forza delle idee, non limitarsi a vivacchiare e vivere di paure. Quante persone, nel momento complesso che viviamo, pensano si possa fare affidamento sugli istinti più bassi vivendo di paure, minacce, inquietudini". Concetto reso ancora più chiaro poco dopo quando al centro del suo discorso c’è la globalizzazione: "La globalizzazione non può essere il pretesto per rinchiudersi. Tanti abbaiano alla luna, vivono sulle paure e pensano che la soluzione sia chiudersi a chiave in casa. Non è così".
La conferenza ha vissuto un momento significativo quando il primo quando il premier ha rivolto un tributo all’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, "una giovane donna di 30 anni, capitano delle nostre forze armate, che è tornata dallo spazio dopo 200 giorni". Anche la platea ha tributato un lungo applauso all’astronauta.
Alla conferenza, dove ci sono anche il governatore lombardo Roberto Maroni e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, anche un simpatico siparietto tra il premier e il presidente della Regione Lombardia. Parlando dopo il presidente colombiano Juan Santos che aveva citato i calciatori colombiani attivi in Italia, il presidente del Consiglio lo ha corretto: "Ti sei dimenticato che c’era fino a qualche tempo anche Quadrado: è una cosa
a cui tengo molto perchè giocava nella Fiorentina, che è la squadra migliore del mondo". "Ma questo è un discorso che non possiamo fare qui sennò litigo con Maroni. Una volta più una meno ...", ha scherzato, rivolgendosi al governatore lombardo.

GRILLO
ROMA - "Mafia capitale. Roma è ostaggio di Criminali e politici corrotti. Il pd c’è dentro fino al collo, ma ’ignaro marino’ fa finta di non sentire e intanto gli commissariano il giubileo. #Marinodimettiti". Beppe Grillo affida al suo blog il nuovo affondo contro la giunta capitolina e il sindaco Ignazio Marino.

Il post di Grillo (dove si legge tra l’altro "L’abbuffata a spese dei contribuenti sta per finire"), che annuncia anche una "fiaccolata dell’onestà" per il 27 giugno a Ostia, arriva a poche di distanza dalle notizie pubblicate oggi da Repubblica sull’affidamento della regia del Giubileo al prefetto di Roma. Notizie peraltro smentite da giunta e governo. Il Campidoglio, in un comunicato, fa sapere che "le frasi virgolettate attribuite al sindaco di Roma in alcuni articoli comparsi oggi, a proposito dell’irritazione nei confronti del Governo sull’organizzazione del Giubileo, non sono mai state pronunciate da Ignazio Marino e sono quindi prive di fondamento. A partire da esse, appare dunque del tutto arbitraria la costruzione di qualsivoglia retroscena su misure amministrative che non sono ancora state prese, e su cui Comune e Governo lavorano insieme da tempo".

Sulle stesso tenore le dichiarazioni del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: "Non sono ancora state prese decisioni", ha detto il ministro al suo arrivo al Forum Italia-America Latina e Caraibi a Milano.

Marino intanto incassa anche la solidarietà del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: "Io e il sindaco Marino siamo due amministratori su due posizioni diverse - ha detto al Tg5 - ma stiamo conducendo la stessa battaglia".
















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Argomenti:
mafia capitale
Roma

Protagonisti:
ignazio marino
Beppe Grilo

© Riproduzione riservata
12 giugno 2015
by Taboola
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9 commenti

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2 ore fa
Claudio Santini
O Marino sapeva e avrebbe dovuto denunciarli tutti e subito (consiglieri, assessori, presidente e sua personale segretaria) o hanno fatto tutto sotto il suo naso ha sua insaputa. In entrambi i casi si deve dimettere nel primo perché colluso o silente, nel secondo per manifesta incapacit­à.

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2 ore fa
aquilaofthenight
Sotto il suo naso non hanno fatto niente, è stato eletto il 12 giugno 2013, anzi è da quando che è stato eletto che si è ingrippata la macchina della corruzione...

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2 ore fa
aquilaofthenight
C’è chi fa fiaccolate e chi lavora nelle istituzioni con i fatti per combattere la corruzione, vedi: ecoreati, legge anti corruzione con pene e prescrizioni più lunghe, l’agenzia Cantone... Anche Marino e Zingaretti stanno facendo il loro lavoro al riguardo. Elezioni? Ogni cosa a suo tempo...

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2 ore fa
Claudio Santini
Ci sono meno di 100 persone in carcere in Italia per corruzione, a che servono pene più lunghe se neanche scontano le pene attuali, il problema è che è molto difficile condannare per corruzione, servono più strumenti di indagine, invece nel ddl "Anticorruzione" tali strumenti sono diminuiti. Quindi aumenteranno pure le pene, ma condannare per corruzione diventerà quasi impossibile. Per non parlare delle regole sugli Appalti che sono concepite proprio per favorire la corruzione, che non sono state toccate.

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1 ora fa
aquilaofthenight
Mi risulta il contrario. Sia i magistrati in generale che lo stesso Cantone parlano di passi in avanti. Lo stesso Di Maio e Di Battista non hanno potuto far meno di riconoscerlo, appieno sugli ecoreati e ritenendoli piccola cosa quelli sull’anticorruzione rispetto ai loro strabilianti provvedimenti che avrebbero prodotti se governassero da soli... come se il PD governasse da solo ...

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31 minuti fa
sandros
Infatti, non penserai che fanno le leggi che poi consentono di farsi arrestare.

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2 ore fa
sandros
Ma quando mai . . . . dopo tutto ciò che sta venendo fuori, hanno paura, anzi certezza, di non essere rieletti per cui la poltrona sarà difficile che la mollino.

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3 ore fa
antoniop1984

"Il prossimo 27 giugno il MoVimento 5 Stelle scenderà in piazza ad Ostia per una grande fiaccolata dell’Onestà.
Non sono invitati coloro che hanno contribuito a distruggere uno dei più grandi Municipi della Capitale.
In queste ore esponenti del clan Spada hanno espresso pubblicamente il loro sostegno al M5S. Ebbene, del loro sostegno non ce ne facciamo nulla. Lo respingiamo al mittente.
E mentre altri si fanno pagare cene e campagne elettorali, gli ricordiamo che, al contrario, il MoVimento 5 Stelle ha un preciso codice etico e morale e crede fermamente che Ostia debba tornare in mano ai cittadini onesti. Cari Spada, ci pare evidente che voi non possiate essere i benvenuti alla nostra fiaccolata

La lotta alla mafia e alla criminalità è uno dei nostri punti fermi, è nel nostro DNA."


Ovviamente i giornali e le tv si son ben guardati da pubblicare questa parte dell’articolo di Grillo

PROFILO DI GABRIELLI

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Franco Gabrielli, lo Sbirro Capitale Ecco chi è il nuovo prefetto di Roma
Franco Gabrielli
È uno Sbirro poche chiacchiere e nessun distintivo, niente ostentazione e molta ambizione, culto della riservatezza e qualche leggendaria incazzatura pubblica, come quando litigò con l’allora sindaco Gianni Alemanno sui centimetri di neve a Roma o quando ha strigliato «gli infami» che avevano ironizzato sull’impresa impossibile di rialzare la nave Concordia dai fondali del Giglio.

Prudente, sempre una radio accesa in ufficio, musica italiana, cantautori, Claudio Baglioni, rilassa e protegge le conversazioni, non si sa mai. Permaloso, occhio a quello che si scrive di lui, non replica con lettere e telefonate ma se lo ricorda dopo mesi di distanza: «Lei mi ha paragonato a Antonio Conte imitato da Crozza. Un’immagine ag-ghiac-cian-te!». E sì che con l’attuale ct della nazionale condivide la fede juventina e la funzione: il commissario. A Conte è toccata la Nazionale dopo il disastro dei mondiali brasiliani, a lui toccherà il commissariamento di Roma alla vigilia delle prove più difficili. I prossimi sviluppi dell’inchiesta Mafia Capitale che angosciano i palazzi del potere romano. E il Giubileo di papa Francesco che si annuncia da numeri record e ad altissimo rischio terrorismo.

Franco Gabrielli, 55 anni, toscano di Viareggio, è stato nominato una settimana fa prefetto di Roma dal governo Renzi dopo una carriera tutta in ascesa, dalla Digos e dall’anti-terrorismo alla guida del Sisde (il servizio segreto civile, oggi Aisi) alla protezione civile del difficile dopo-Guido Bertolaso. In una città che vive in un clima di surreale sospensione. Nell’attesa di una Tangentopoli romana, con gli stessi meccanismi di quella milanese. Nel 1992 tra l’arresto di Mario Chiesa e le prime manette per i politici passarono tre mesi. Sembrava un cataclisma locale e invece venne giù la Prima Repubblica. A Roma, quattro mesi dopo l’inizio di Mafia Capitale, è ripartito il tam tam. La paura irrazionale di nuovi arresti. Liste di nomi che circolano incontrollabili.
Ignazio Marino e Franco Gabrielli
Ignazio Marino e Franco Gabrielli

Notti da incubo per la classe politica capitolina, per un’ondata che potrebbe coinvolgere la regione Lazio presieduta da Nicola Zingaretti e la giunta comunale del sindaco Ignazio Marino. Due importanti esponenti del Pd sotto attacco della destra: Francesco Storace si esibisce nelle profezie e passa alle conseguenze politiche con richiesta di dimissioni per il presidente della regione. E poi il municipio di Ostia commissariato, con il mini-sindaco del Pd Andrea Tassone costretto a lasciare. Giornalisti sotto scorta (Federica Angeli di “Repubblica”), omertà, il litorale romano che sembra uscito da un capitolo di Gomorra.

Il vulcano Roma sembra sul punto di esplodere, alla vigilia dell’Anno Santo che rappresenta per l’Italia un’occasione da non perdere, soprattutto se il risultato dell’Expo di Milano dovesse essere inferiore alle previsioni.

Per prevenire il botto alla vigilia di Pasqua Matteo Renzi ha accelerato la nomina di Gabrielli a prefetto di Roma. Una scelta gradita e perfino caldeggiata da Marino. Ma che nei fatti si tradurrà in un commissariamento del sindaco. In una capitale che negli ultimi mesi ha vissuto un commissariamento dopo l’altro. Il Pd, il partito più forte, è commissariato, dal presidente del Pd Matteo Orfini, e i suoi vertici sono stati azzerati. Nella giunta Marino l’uomo forte è un ex magistrato, l’assessore alla Trasparenza Alfonso Sabella, in crescita di popolarità al punto da impensierire il sindaco, denuncia «la macchina amministrativa fuori controllo» e i burocrati sensibili alla corruzione più dei politici. E c’è la sentinella della legalità venuta dal Sud che sorveglia dal tribunale di piazzale Clodio, il procuratore capo Giuseppe Pignatone.

La copertina dell’Espresso di questa...
La copertina dell’Espresso di questa settimana
Nella città dei quattro commissariamenti il più significativo è lui, Gabrielli. Perché la sua presenza alla prefettura al posto di Giuseppe Pecoraro rappresenta l’impegno diretto di Renzi nella tempesta romana. Tra il premier e l’ex capo della protezione civile negli ultimi mesi è nato un rapporto solidissimo. Toscano, cattolico, dinamico, in polemica con i critici, i giornalisti, «i gufi» sembrerebbe possedere tutte le qualità del renziano perfetto. E invece altri sono i percorsi e i fili biografici che bisogna riannodare per capire perché lo sbirro Gabrielli è diventato il volto in ascesa di questa nuova Repubblica made in Firenze.

Il primo sponsor si chiama Renzo Lusetti, deputato di lungo corso con una carriera tutta democristiana. Nel 1982 è un ragazzo di 24 anni, allievo a Reggio Emilia del futuro cardinale Camillo Ruini, già impegnato nel movimento giovanile della Dc, si trova in vacanza a Cinquale, provincia di Massa Carrara, gli hanno parlato bene del quasi coetaneo Gabrielli, lo va a trovare. Fanno amicizia, è l’anno dei Mondiali di Spagna, la finale la vedono insieme a casa di Gabrielli, festeggiano con Sandro Pertini che si sbraccia nel teleschermo. Due anni dopo si giocano la loro partita, conquistare la leadership dei giovani democristiani che non celebrano un congresso da anni. Congresso combattutissimo, a Maiori, sulla costiera amalfitana. Candidati sono Lusetti, Luca Danese (nipote di Giulio Andreotti) e il veneto Mauro Fabris (futuro capogruppo dell’Udeur di Mastella). Vince il demitiano Lusetti, dopo giorni di risse. A un certo punto fanno irruzione i carabinieri, richiamati dalle urla di alcuni delegati che protestano per le liste manipolate. A rassicurarli che è tutto in ordine c’è il giovane viareggino che sarà capo della Digos di Roma e del servizio segreto civile.
Renzo Lusetti e Guido Bertolaso
Renzo Lusetti e Guido Bertolaso

Gabrielli è l’organizzatore della squadra di Lusetti, il capo staff. Il regista di alcune trovate ad effetto: la crociera Giò-Boat a bordo dell’Achille Lauro. Le cene di autofinanziamento con il segretario della Dc De Mita. Le bibbie portate a Mosca di nascosto. Nel gruppo ci sono l’avvocato di Ferrara Dario Franceschini, il responsabile dei rapporti con i giovani democristiani europei Enrico Letta, il giovanissimo Angelino Alfano, figlio del vice-sindaco di Agrigento. Nomi che Gabrielli ritroverà nella sua second life da alto funzionario dello Stato. Ma tra gli amici di quel tempo mai persi di vista il più influente è ora il pisano Simone Guerrini, successore di Lusetti alla guida dei giovani della Dc alla fine degli anni Ottanta. Dopo una carriera alle relazioni istituzionali di Finmeccanica, oggi è consigliere ascoltatissimo e braccio destro di Sergio Mattarella al Quirinale.

Anche per Gabrielli poteva spalancarsi una carriera politica di alto livello, deputato, ministro. Se non fosse per quell’altra passionaccia. Quell’altra ambizione. Comandare, controllare, conoscere. «Se vinco il concorso mollo tutto e faccio il poliziotto», aveva avvisato gli amici di corrente.

Nel 1990 lascia la politica e entra in polizia. A Imperia e poi a Firenze, nel 1993, l’anno della strage di via dei Georgofili. Un segugio. Un culo di pietra che lavora maniacalmente per intrecciare informazioni, dati, schede telefoniche, numeri di cellulare. Alla guida dell’anti-terrorismo dopo mesi di indagini sgomina le cellule dormienti delle nuove Brigate rosse che hanno assassinato Massimo D’Antona e Marco Biagi.

Un’operazione che gli vale il primo scatto di notorietà e poi il grande balzo, la nomina alla guida del Sisde nel 2006. A designarlo è il secondo governo Prodi, a Palazzo Chigi il sottosegretario competente è Enrico Letta con cui i rapporti di amicizia non si sono mai interrotti.
Gianni Letta
Gianni Letta

Gabrielli si muove per crearsi una base di potere, rapido, spregiudicato, forse troppo. Dura poco, due anni dopo il governo Berlusconi lo elimina. A richiamarlo in servizio è un altro Letta, Gianni, nel momento più drammatico, il giorno del terremoto dell’Aquila, il 6 aprile 2009, diventa prefetto della città devastata. Poche ore dopo è in campo a coordinare i soccorsi. Con il capo della protezione civile Guido Bertolaso, di dieci anni più anziano, sono vite parallele: tocca a Gabrielli sostituirlo alla protezione civile quando l’uomo in giubbotto scivola nelle inchieste sulla Cricca. E tra qualche mese spetterà a lui gestire il Giubileo straordinario, come fece Bertolaso nel Duemila.

C’è chi fa notare che Gabrielli è un anti-Bertolaso per modalità comunicative, via le magliette dentro la giacca e la cravatta e soprattutto via le deroghe e le emergenze e ritorno al rispetto formale delle regole, ma in realtà i due si assomigliano per un certo piglio autoritario, per l’uso dei media, per la considerazione di sé, per la tenacia con cui costruiscono la loro immagine e il loro successo.

L’esperienza dei due anni arrembanti alla guida del Sisde è servita, oggi Gabrielli è più attento a gestire la sua scalata. «La Concordia gli ha cambiato la vita», racconta un suo amico. In quei trenta mesi all’isola del Giglio ha assaporato la potenza della comunicazione, una conferenza stampa ogni due ore nei momenti clou per dimostrare l’esistenza dello Stato nella procedura di rimozione della nave affidata ai privati, e si è fatto scoprire da Renzi con cui aveva avuto una violenta polemica nel 2010 quando una nevicata a Firenze aveva spezzato in due la penisola. L’amicizia con Letta poteva consegnarlo a un destino da rottamando. Invece il premier stravede per lui, al punto da sceglierlo per la missione più delicata: Roma.
Nicola Zingaretti
Nicola Zingaretti

Roma vacilla. Roma trema. Roma viene giù. Roma è un pozzo di veleni senza fondo. La prima fase dell’inchiesta Mafia Capitale ha puntato sugli uomini legati alla giunta Alemanno e alla destra post-fascista, ma gli ultimi sviluppi giudiziari toccano il Pd che governa il Comune e la Regione.

Nell’ultima settimana in Regione si è dimesso il capo di gabinetto di Zingaretti Maurizio Venafro, uomo-chiave per venti anni dei governi locali del centrosinistra. E a Ostia è saltato il presidente del X municipio Tassone: non è una vicenda locale perché nel Pd è scattata la caccia ai dossier, molto ambito e ricercato quello sui voti di preferenza raccolti dai singoli candidati nelle tre competizioni elettorali di fine 2012-inizio 2013. Le parlamentarie, le primarie per scegliere i candidati del Pd alla Camera e al Senato. Le elezioni regionali del febbraio 2013. Le elezioni comunali di maggio. È tutto da dimostrare uno scambio di favori e di voti. Ma i riscontri dell’inchiesta Mafia Capitale raccontano di una classe politica, di destra e di sinistra, asservita ai boss locali. Un inquinamento degli appalti che arriva fino ai piani alti. Nella Capitale il marcio arriva a sfiorare il potere nazionale.

Al prefetto di Roma, per un vuoto normativo della legge Severino, spetta un campo di intervento che va ben al di là del raccordo anulare. Poteri di commissariamento sulle opere pubbliche decise a Roma, come il Mose o l’alta velocità, poteri di sanzione su casi di omessa trasparenza e di conflitti di interessi.

In più, è in arrivo il Giubileo che non richiederà grandi opere pubbliche ma un’azione minuziosa e capillare sul tessuto della città. Gabrielli lo sbirro è pronto a esercitare fino in fondo i suoi super-poteri. Figura centaura, a cavallo tra la politica e gli apparati di sicurezza, più che a un Bertolaso di era renziana assomiglia a quello che fu il prefetto Vincenzo Parisi nel passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica: l’uomo che custodiva i segreti, il capo della polizia, che è la poltrona più desiderata da Gabrielli. Ma prima ci sarà da gestire il terremoto di Roma.

INTERNI
La scelta del governo pronto il decreto per commissariare il Giubileo straordinario
Le competenze di Marino affidate al prefetto Gabrielli Ieri l’esame, il sì al prossimo consiglio dei ministri
IL RETROSCENA
GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA. Bisogna lavorarci ancora un po’ ma è quasi tutto pronto per la nomina di un commissario al Giubileo che comincia l’8 dicembre e finisce nel novembre del 2016. Fino a qualche giorno fa il ruolo era rivendicato con forza e senza alcuna apertura a soluzioni differenti da Ignazio Marino. Adesso è cambiato tutto e Matteo Renzi si prepara a scegliere un’altra persona affiancandola al primo cittadino nella gestione di un evento planetario. La scelta cadrà sul prefetto di Roma Franco Gabrielli. Non è un cambio di linea rispetto alla blindatura di Marino nel pieno della bufera di Mafia capitale. Ma è la presa d’atto che il chirurgo ha bisogno di aiuto, non può gestire pressioni fortissime, lavoro di trasparenza che va avanti e contemporaneamente tutti gli atti di una vetrina mondiale come l’Anno Santo.
Già ieri gli uffici di Palazzo Chigi avevano preparato il decreto della presidenza da varare nel pomeriggio descrivendo gli ambiti del commissariamento. Nel testo non si facevano nomi e quindi non si escludeva che potesse essere lo stesso sindaco a guidare la macchina giubilare. Si descriveva una figura di «raccordo operativo» legata all’appuntamento. Il decreto è saltato all’ultimo momento e con esso l’inserimento nel dl enti locali dei fondi per gestire il Giubileo. Un piccolo giallo. Alcuni dicono che la norma non fosse perfetta, quindi da riscrivere. Altri immaginano un Marino furioso per questo primo concreto scollamento tra la sua posizione e la posizione del Partito democratico. Proprio mentre l’inchiesta travolge il Campidoglio. La verità è che il Pd sta provando a convincere il sindaco ad accettare un sostegno. «E’ nel suo interesse condividere le responsabilità», spiegano a Largo del Nazareno.
La partita è tutta nelle mani di Renzi e Marino. Persino Matteo Orfini, nuovo capo del Pd romano che decide la linea giorno per giorno con il premier, sta fuori dalla vicenda. Renzi, da ex sindaco, difende le prerogative del collega, ma a Roma si è superato il livello di guardia. E una collaborazione o meglio una coabitazione temporanea potrebbe essere una buona idea. Anche perchè Marino ha rapporti ottimi con Gabrielli, a differenza del gelo che era sceso con il predecessore Pecoraro. Insomma, lavorare insieme può diventare accettabile anche per un sindaco che si sente sotto assedio per colpe non sue, ma di tutto ciò che lo circonda.
La decisione politica è presa ma quella “tecnica” ancora no. Questa è la vera causa del rinvio di ieri. Per gestire il Giubileo il comune, poi, si aspetta risorse che sfiorano i 500 milioni. Soldi che non verrebbero messi dallo Stato ma stornati dalla copertura del debito della Capitale e in parte (90 milioni) dalla cessione di alcuni immobili alla Cassa depositi e prestiti. Perchè a gestire denaro del Campidoglio non dovrebbe essere il suo primo cittadino? Una simile scelta non suonerebbe come un commissariamento tout court di Marino? E’ un dubbio che attraversa anche il vertice dell’esecutivo e del Pd. Assomiglierebbe a una sconfessione dello scudo alzato finora a difesa del chirurgo. L’altro problema investe direttamente Gabrielli che dovrebbe recitare due parti in commedia: commissario al Giubileo, ovvero il fulcro dell’azione amministrativa del prossimo anno, e prefetto chiamato a scegliere come girare il pollice nell’arena romana stabilendo entro luglio se il consiglio comunale va sciolto per mafia o no.
Nei prossimi giorni il nodo verrà sciolto, il decreto sarà ripresentato e arriveranno i soldi per l’Anno santo. Orifini annuncia una pulizia totale del Pd romano. Verranno chiusi le sezioni sospette, ripartirà un tesseramento ipercontrollato. Nel frattempo la giunta Marino deve andare avanti. «Lo avevamo già deciso e già detto: l’amministrazione Marino deve andare avanti e gli sviluppi confermano la nostra lettura», spiega Orfini alla direzione locale. Il pres- sing dei grillini però cresce. Ogni giorno una protesta, riunioni del consiglio paralizzate dalle contestazioni dei consiglieri 5 stelle. «Il M5S pensa tante cose simpatiche e strampalate - dice Orfini - . Noi stiamo governando la città perché questo ci hanno chiesto i cittadini. Loro dovrebbero essere più presenti sul fronte antimafia. Noi stiamo governando Roma e la stiamo governando bene, stiamo cercando di risolvere i problemi e quando si voterà vinceremo ancora una volta le elezioni in questa città».
Ma il problema c’è tutto, ammette Orfini. «Il Partito democratico ha invece una responsabilità piuttosto grande nel non essersi reso conto in questi anni di quanto stava accadendo nella città. Era un partito che pensava più allo scontro interno e ad organizzare filiere». Ci sarebbe voglia di scontro anche adesso. L’intervista di Marino a Repubblica è stata accolta con fastidio dall’ala renziana che fu vicina a Rutelli. «Quando il sindaco dice “il mio nemico è stato il Pd di Roma” dovrebbe fare nomi e cognomi. Sono accuse generiche e inaccettabili», dicono alcuni di loro. Il punto è che oggi non ci si possono permettere polemiche e rotture. «Serve il massimo di unità», dice anche un esponente della minoranza come Gianni Cuperlo. Mai come adesso il futuro dell’amministrazione capitolina è nelle mani di Renzi.



NAZIONALE - 12 giugno 2015
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IL PERSONAGGIO
L’ira del sindaco “Nessuno tocchi i miei poteri così io non ci sto”
GIOVANNA VITALE
ROMA . È nero il sindaco Ignazio Marino quando, alle dieci del mattino, esce da Palazzo Chigi con lo sguardo cupo e gli occhi incollati ai sampietrini che tappezzano la piazza. A Roma ci sono già 25 gradi, ma lui sembra congelato.
Il sottosegretario alla presidenza del consiglio Claudio De Vincenti gli ha appena comunicato ciò che lui non avrebbe mai voluto ascoltare: il governo ha deciso di commissariarlo sul Giubileo straordinario indetto da papa Francesco. E, per sovrappiù, la Ragioneria generale dello Stato non è neppure convinta della legittimità della norma che autorizza il Campidoglio a prelevare dalla gestione separata del debito pregresso i fondi necessari per finanziare i lavori utili alla città. Ergo: dal decreto Enti locali vengono espunti gli articoli relativi alla capitale. Si troverà un altro “veicolo”, assicura il sottosegretario. E soprattutto: un modo diverso per reperire i soldi indispensabili ad avviare i cantieri.
Prova a protestare, il chirurgo dem. A dire che si tratta di una iattura, che l’evento ha una portata planetaria e non solo cittadina, che in gioco c’è l’immagine del Paese, dunque non si può sprecare altro tempo prezioso. De Vincenti cerca di tranquillizzarlo, minimizza: «Non è una decisione contro di te». Gli spiega che sono tutti al lavoro per trovare la migliore soluzione in tempi brevi, ma il sindaco capisce che la partita è chiusa. E lui l’ha persa.
L’idea accarezzata a lungo di poter recitare la parte che nel 2000 fu di Francesco Rutelli, il sindaco del Giubileo, commissario straordinario del più grande appuntamento della cristianità, non potrà realizzarsi. Colpa di Mafia Capitale, ma non solo. «Mi hanno mollato, non si fidano» sibila entrando come una furia a Palazzo senatorio.
Riunisce i suoi. Racconta il contenuto del faccia a faccia. Cerca Matteo Orfini, gli chiede conto, il perché di una decisione che suona come una sconfessione, determinato a scoprire se la linea del Nazareno ma soprattutto di Renzi nei suoi confronti è cambiata. È arrabbiatissimo, Marino, «non posso accettarlo», ripete. Il presidente del Pd si allarma e si precipita da lui. Per farlo ragionare. Spiegargli che non di esautorazione si tratta ma di una precauzione dettata dalla bufera giudiziaria in corso. «Ma così non ci sto», taglia corto il sindaco.
Al Nazareno scatta l’allarme rosso. Marino, asserragliato nel suo studio, si attacca al telefono. Vuole capire se si tratta di uno stop tecnico - specie la partita sui fondi, che tutti però gli garantiscono solo rimandata o di una decisione politica per affossarlo. Il filo diretto con De Vincenti produce il disperato tentativo di reinserire nel decreto almeno le norme per dimezzare i tempi delle procedure di gara. Un contentino. Che però naufraga pure quello.
Marino è sempre più solo. La linea, affidata ai collaboratori più stretti, è: minimizzare. Prima di decidere cosa fare. «Ci sono stati problemi tecnici», precisa a sera Roberto Tricarico, «nella cabina di regia sul Giubileo siede il governo, le riunioni si tengono in Vaticano, a casa del Papa. È una vicenda che non riguarda solo Roma e Marino, ma i rapporti con la Santa Sede». Come dire: rompere ora con Marino significa colpire molto più in alto.
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FIDUCIA
Non si fidano di me.Ora stanno provando a mollarmi. Ma nessuno può toccare i miei poteri. Così io non ci sto

SINDACO Ignazio Marino è sindaco di Roma dal maggio 2013. Guida una giunta formata da Pd e Sel. L’inchiesta Mafia Capitale ha coinvolto vari membri della amministrazione



DI BATTISTA

NAZIONALE - 12 giugno 2015
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L’INTERVISTA/ALESSANDRO DI BATTISTA(M5S)
“Non mi candiderò a Roma sceglieranno i militanti”
TOMMASO CIRIACO ANNALISA CUZZOCREA
ROMA . «Ogni volta che deroghi a una regola praticamente la cancelli», risponde Gianroberto Casaleggio a chi in queste ore propone di fare il grande salto: ottenere il voto anticipato a Roma e candidare uno dei pupilli del direttorio. Quell’Alessandro Di Battista che ha preso in mano la protesta del Movimento 5 Stelle nella Capitale, ma che - secondo il cofondatore non può proporsi al Campidoglio perché deve portare a termine il mandato da parlamentare. «Non dobbiamo confonderci con gli altri - è la linea dettata a Milano - Non siamo un partito, è importante marcare le differenze». Di Battista è alla buvette.
È pronto a candidarsi a sindaco?
«No, non mi candido. Non posso, devo prima finire il mandato. Queste sono le regole del M55 e valgono per tutti noi. Nessuno escluso».
Però tutti - grillini e non - giurano che lei sarà della partita.
«Davvero non posso. Mi piacerebbe, ma da noi funziona così».
Ma questo è un momento particolare. Non le sembra un’occasione storica?
«Abbiamo questa regola. È una questione di serietà, altrimenti non possiamo prendercela con la Moretti che saltella da un posto all’altro. Capisco che a volte magari può essere anche considerato un limite storico, ma siamo fatti così. E poi comunque vedo che loro non mollano».
Pensa che questa giunta possa resistere?
«Se girate Roma la piazza è con noi, ma loro stanno attaccati alle poltrone come le cozze. Più la città è con noi, più Renzi si spaventa e tiene lì Marino per non andare al voto. Anche perché il centrodestra candida Giorgia Meloni, che è un nome forte».
Voi comunque continuerete a spingere per lo scioglimento?
«Ma voi dite che lo sciolgono? Per me dovrebbero, ma se lo sciolgono passa un anno e mezzo prima delle elezioni. E loro non vogliono».
A meno che non lasci Marino.
«Ma l’ha visto Marino come insisteva e polemizzava con Crozza in tv? Lui è proprio così, non c’è niente da fare. Lunedì comunque andremo in Campidoglio a manifestare di nuovo. Stavolta non molliamo la presa. Siamo gli unici onesti».
Oltre all’onestà serve essere capaci, gli errori che imputate a Marino lo dimostrano. È d’accordo?
«Ma se sei onesto e studi...»
E alla fine si candiderà...
«Di Battista sorride e va via».
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Devo finire il mandato,e comunque il sindaco mi pare deciso a restare attaccato alla sua poltrona
GRILLINO Alessandro Di Battista, deputato M5S


DALLA STAMPA DI STAMATTINA
All’ultimo momento il governo ha sfilato dal «paniere» del Consiglio dei ministri il pacchetto speciale per il Giubileo. Per il momento, niente soldi (circa 600 milioni) e niente poteri aggiuntivi (procedure più spedite) da affidare al «commissario» all’Anno Santo, il sindaco di Roma Ignazio Marino. Certo, il mini-decreto è soltanto rinviato, anche perché l’accordo politico è stato già definito, ma la decisione del presidente del Consiglio di soprassedere può essere messa in relazione con una novità che, se si concretizzasse, avrebbe conseguenze clamorose: Renzi ha cominciato a riflettere se resistere in difesa di Marino sia la strategia migliore in termini di immagine per il governo e per il Pd.
Fino a 48 ore fa Renzi sembrava determinato nel seguire la linea da lui stesso decisa: il male minore è difendere Marino ed evitare lo scioglimento del Consiglio comunale di Roma, con conseguente commissariamento. Una strada che rischierebbe di aprire le porte della Capitale alla vittoria del Cinque Stelle. Simbolicamente un viatico verso successivi, magari più ambiziosi traguardi per il movimento di Beppe Grillo.
La cautela di Renzi
Da qualche ora Renzi si è fatto più riflessivo, incerto. Lo scandalo di Mafia Capitale, con un epicentro iniziale concentrato quasi tutto sul centrodestra, ogni giorno sta facendo emergere rivoli avvelenati che coinvolgono nuovi esponenti del Pd. Certo, il sindaco Marino è indicato nelle intercettazioni come un intralcio e in alcuni casi come il nemico numero uno della «cricca fascio-comunista», ma l’allargarsi della cerchia del persone interessate, rende il sindaco sempre più isolato e meno difendibile nella presunzione di totale ignoranza sull’andazzo generale, naturalmente non sui reati.
Marino non molla
Ignazio Marino ha percepito che l’aria attorno a lui potrebbe cambiare, anche se per il momento il commissario del Pd a Roma, Matteo Orfini, davanti alla direzione del partito romano, ha tenuto, sostenendo «che occorre reagire» e che la soluzione, dopo l’inchiesta di Mafia Capitale, «non può essere quella di mandare a casa la giunta Marino, come vorrebbero Buzzi e Carminati». E quanto al sindaco, dopo due anni di corpo a corpo col Pd e con i poteri forti, non ha alcuna intenzione di mollare. Riservatamente spiega che sarebbe illusorio piegarlo con «buonuscite» o con riconoscimenti postumi.
Scioglimento per mafia?
D’altra parte Renzi sa bene che la via del commissariamento è resa assai ostica proprio dalla prevedibile e orgogliosa resistenza del sindaco e, pur attentissimo agli umori e ai sondaggi, si rende conto che lo scioglimento per mafia del consiglio comunale della capitale d’Italia non sarebbe una panacea per il Paese e neppure per il capo del governo.
La paura di nuovi arresti
E così, anche se nessuno lo dice a voce alta, il destino del Campidoglio è sempre più nella mani dei magistrati. Nei giorni scorsi si sono svolti diversi interrogatori e da alcuni verbali potrebbe prendere le mosse la terza ondata di arresti. Nessuno sa nei confronti di chi, ma se i riflettori si spostassero sulla Regione e sulle precedenti amministrazioni, Renzi e Marino potrebbero avere qualche tempo in più per concordare una strategia. Di uscita o di resistenza. Tenendo conto che c’è anche un Giubileo da gestire.
Come sarebbe il decreto
Nei giorni scorsi, sia pure con qualche difficoltà oggettiva nel mettere a fuoco gli strumenti giuridici, il governo aveva scritto le norme che consentiranno di erogare al Comune di Roma più di cinquecento milioni per le spese straordinarie imposte da un Anno Santo, sia pure nella versione soft voluta da papa Francesco. Risorse che si sono concretizzate spalmando in un arco ancora più lungo di anni, il rientro dal poderoso debito accumulato dalle amministrazioni Alemanno e Veltroni.


GRAZIA LONGO SULLA STAMPA
Mentre non si placa la bufera politica sull’ipotesi dimissioni del sindaco Ignazio Marino, dalle carte continuano ad emergere particolari sul ruolo svolto dagli arrestati di Mafia Capitale.
Come dalle dichiarazioni spontanee in carcere di Luca Odevaine, membro del Tavolo di coordinamento nazionale sull’immigrazione, ex vice capo di Gabinetto di Walter Veltroni. Il 27 marzo ha offerto sorprendenti giustificazioni sul perché trafficava con il ras delle cooperative Salvatore Buzzi. Non solo, ha scagliato anche un attacco indiretto (non voluto? non sincero?) contro il sottosegretario Ncd all’Agricoltura Giuseppe Castiglione. Odevaine lo ha fatto a proposito di un emendamento voluto proprio dal partito Ncd che lo avrebbe favorito in qualche misura. «Da Mineo contavo di ottenere 20 mila euro - dice l’ex dirigente a verbale -. E a dicembre, nella legge di Stabilità, è stato aggiunto un emendamento che ha dato tre milioni al Consorzio, diciamo al Comune di Mineo e agli altri Comuni, per fare un progetto di formazione professionale, per dare uno sbocco professionale agli immigrati occupati nel centro».
Giuseppe Castiglione, dal canto suo, respinge qualsiasi «allusione sul mio conto: ho dato mandato ai miei legali per valutare gli estremi per querelare Luca Odevaine e chiunque non si attenga ai fatti e a quanto risulti in maniera incontrovertibile dagli atti».
Odevaine, di fronte al pm Paolo Ielo titolare dell’inchiesta insieme ai colleghi Cascini, Tescaroli e l’aggiunto Michele Prestipino, fornisce una girandola di giustificazioni per respingere le accuse suffragate dalle indagini dei carabinieri del Ros.
«Non avevo poteri»
Innanzitutto insiste nel non definirsi pubblico ufficiale: «Non ho mai ritenuto di esserlo e lo stesso tavolo di coordinamento nazionale cui appartenevo non avevo alcun potere di orientamento dei flussi di immigrati né alcun potere di aprire centri, poteri che appartenevano ad altri».
Non esclude tuttavia che «nel suo intendimento Buzzi mi pagasse anche perché pensava che prima o poi avrei assunto un altro ruolo pubblico, ma questo non dipendeva dalle mie determinazioni». E ancora, la trasformazione del suo cognome? «Non per sottrarmi alla possibilità che le pubbliche amministrazioni verificassero i miei precedenti penali ma per ripristinare il cognome originario della mia famiglia».
Come si giustifica
Le somme che gli sono state versate da Buzzi? Non mazzette, ma «pagamenti di un affitto, anzi subaffitto», ma anche «pagamenti in nero dell’attività che per conto delle sue cooperative, svolgeva la cooperativa di cui io ero espressione amministrativa». Odevaine inoltre nega di «aver mai conosciuto Carminati» e spiega che i flussi di denaro in Venezuela «erano destinati a pagare le spese di un immobile che detengo lì». E i viaggi in Svizzera del suo commercialista? «Intendevo regolarizzare i rapporti con la mia ex moglie venezuelana».
Le dimissioni di Marino
Polemiche intanto intorno al sindaco Marino. La presidente di Fdi Giorgia Meloni iniste: «Si deve dimettere per evitare alla capitale d’Italia l’onta intollerabile di un commissariamento per mafia. Deve prendere atto che è stato eletto anche con i voti determinanti di chi oggi sta in galera. Poi, se vorrà, potrà ricandidarsi e cercare di essere rieletto».
Ma il commissario del Pd romano Matteo Orfini, nella direzione del partito capitolino di ieri sera, ribadisce che «occorre reagire e che la soluzione, dopo l’inchiesta di Mafia Capitale, non può essere quella di mandare a casa la giunta Marino, come vorrebbero Buzzi e Carminati». Secondo Orfini «è difficile raccontare alla città quello che è successo, non ci si può limitare a guardare senza agire, per questo il partito è stato commissariato. Però dobbiamo guardare avanti e sabato comincerà il nuovo tesseramento del Pd romano».


MELI SU CDS
ROMA Matteo Renzi non sembra sottovalutare la situazione, ma non intende nemmeno drammatizzarla oltre misura. Anche perché il premier è convinto, e lo ha spiegato ai fedelissimi prima del Consiglio dei ministri di ieri che «il Nuovo centrodestra non uscirà dalla maggioranza di governo»: «Non ci toglieranno il loro appoggio».
L’inquilino di palazzo Chigi ha riferito che «Alfano sta lavorando per tenere unito tutto il partito», perché effettivamente ci sono delle difficoltà, dal momento che un pezzo di Ncd vorrebbe ricongiungersi già adesso con Silvio Berlusconi. Per questa ragione l’uscita di Matteo Orfini, che ha già anticipato il «sì» del Partito democratico all’arresto di Azzollini è stata giudicata un po’ improvvida.
Il presidente del Pd ha poi fatto una parziale rettifica. La posizione ufficiale è quella che lo stesso premier ha stabilito e che tutti i dirigenti del Pd a lui legati ieri ripetevano suppergiù con le stesse parole: «Prima si guardano le carte e poi si decide, senza fare sconti a nessuno, come non ne abbiamo fatti nemmeno ai nostri parlamentari».
In realtà il «via libera» all’arresto da parte del Pd appare scontato. In questo clima in cui il partito è sempre di più nell’occhio del ciclone per gli scandali romani (tant’è che ieri alla Camera girava addirittura la voce di un possibile commissariamento della capitale) diventa difficile dire di no. Ma in questa fase delicata in cui lo stesso presidente del Consiglio sta lavorando per evitare che il Nuovo centrodestra deflagri non è il caso di anticipare in maniera troppo netta l’atteggiamento futuro del Partito democratico. Si rischierebbe di assistere prima del tempo a quell’esplosione del Ncd che in molti, nel Pd, ritengono inevitabile e che ritengono avverrà solo verso la fine della legislatura, quando una fetta di quel partito andrà con il centrodestra, mentre un altro pezzo, invece, come la ministra Beatrice Lorenzin (ma anche tanti altri), per esempio, sceglierà di restare con Renzi.
Il premier, comunque, è certo che il «governo terrà». Che non ci sarà bisogno del gruppo dei cosiddetti «verdiniani» al Senato per andare avanti. Anche perché, se così fosse alcuni renziani spiegavano ieri che a quel punto, piuttosto che tirare a campare, sarebbe inevitabile passare al piano B. Ossia alle elezioni anticipate. Con l’Italicum alla Camera e il Consultellum al Senato. Anche in questo caso, secondo i calcoli fatti al Nazareno, il Pd avrebbe la maggioranza e il premier avrebbe un folto gruppo di parlamentari che rispondono direttamente a lui.
Ma non è su questa ipotesi, che pure ieri circolava nei capannelli renziani, che ieri il presidente del Consiglio si è voluto soffermare con i suoi collaboratori prima di affrontare la riunione del Consiglio dei ministri, visto che Renzi è convinto di riuscire a «spuntarla». Tant’è vero che ha già fatto fissare per martedì prossimo l’elezione del nuovo capogruppo della Camera (Ettore Rosato).
In quello che si potrebbe definire una sorta di gabinetto di guerra, il leader del Partito democratico ha tirato le somme di quanto sta succedendo e ha delineato le prossime mosse: «Preparatevi, perché sarà ancora molto lunga. Stanno cercando di colpirci con gli scandali e amplificando l’emergenza immigrati, ma noi resisteremo e andremo avanti con maggior decisione di prima. Certo, di errori, nella comunicazione e nell’azione del governo ne abbiamo fatti anche noi, ma ora li abbiamo capiti e quindi siamo pronti a cominciare a dare delle risposte e delle soluzioni alle richieste che ci vengono dagli italiani».
Perciò, per il presidente del Consiglio, «l’unica è andare avanti, con maggiore determinazione di prima sulle riforme».
Quali? Intanto Renzi non ha affatto abbandonato l’idea di riuscire a portare a termine quella della buona scuola. La minoranza del Partito democratico sembrerebbe propensa a non alzare troppo le barricate. «Sia loro che il sindacato — ha spiegato il premier ai suoi — non vogliono accollarsi la responsabilità di non far assumere centomila precari». E pare che anche sulla riforma della Rai la minoranza interna del Pd non presenterà una messe di emendamenti con il solo scopo di bloccare quella legge.
La battaglia campale, dentro il Partito democratico, verrà ingaggiata su un altro terreno, quello della riforma costituzionale. Lì la minoranza punta non solo a far cambiare radicalmente il disegno di legge Boschi, ma anche a farlo rinviare a dopo l’estate. Il presidente del Consiglio è a conoscenza di questo obiettivo e, almeno per il momento, non sembra intenzionato a usare il pugno di ferro.
Adesso gli premono maggiormente altre riforme: «La semplificazione del fisco, la velocizzazione dei tribunali, la riforma della Pubblica amministrazione». E poi l’obiettivo più ambizioso di tutti, quello confidato ai fedelissimi e su cui ha già messo al lavoro un team di esperti: «Trovare il modo di tagliare le tasse».

MONICA GUERZONI SU CDS
ROMA «Il Pd usato come un taxi, le cordate, il tumore delle correnti... Una Roma che somiglia alla Chicago Anni ‘30». Walter Verini azzarda un paragone da brivido e rispolvera le bande che si accordavano per spartirsi il territorio. «E quando non ci riuscivano» ricorda l’ex braccio destro di Veltroni evocando Al Capone, «c’era la strage di San Valentino».
Dopo gli arresti, nel Pd romano è l’ora dei veleni, delle vendette incrociate, dello scaricabarile tra correnti nemiche. E ci si chiede come abbia potuto, il partito che ha nel dna i geni di Enrico Berlinguer, degenerare fino a non vedere quelle mani che trescavano con la destra eversiva e pescavano nel pozzo nero del malaffare. Quali volti, quali storie hanno scandito la mutazione antropologica e favorito le infiltrazioni criminali? Perché, fino a un anno fa, i «dem» non si facevano scrupoli di andare a cena con Buzzi o accettare soldi da lui? Lionello Cosentino, ultimo segretario prima del commissariamento, si difende: «Io amico di Buzzi? Ci conosciamo da vent’anni. Sembra che tutti noi abbiamo avuto rapporti con la mafia, perché nessuno sapeva che Salvatore fosse diventato parte di una banda di ladri. Ma io non ho mai chiesto favori e non ho parenti assunti dalle coop». Qualcuno però i parenti li ha piazzati. Fabio Melilli, segretario del Lazio, chiese allo «spicciaproblemi» di Buzzi, Luca Odevaine, un aiuto per far lavorare la figlia: «Un errore, ma è stata solo una telefonata».
Tessere e voti comprati, iscritti fantasma, risse nei circoli, primarie taroccate con i rom in coda ai gazebo, volanti ai seggi per sospetti brogli... I vecchietti prelevati al centro anziani di Trastevere per votare per il renziano Tobia Zevi e persino i consiglieri che fanno le carte di identità agli elettori in cambio di un voto. E poi, in un crescendo wagneriano, i «dem» sorpresi a braccetto con Carminati e Buzzi, gli arresti, il mesto corredo di favori, pubblici o privati. «Nelle primarie per il Parlamento — denunciò Marianna Madia — ho visto vere associazioni a delinquere». E Roberto Morassut invita il Pd a «presentare ai romani le scuse per questa brutta storia e ripartire da un congresso».
A sentire i renziani è tutta colpa della «grande famiglia» ex ds, i cui pilastri romani (Zingaretti, Bettini, Cosentino, Miccoli...) avrebbero «ucciso» il rinnovamento. «Il Pd in questi ultimi due anni si è occupato troppo di beghe interne, il che ci ha fatto male» è l’analisi di Lorenza Bonaccorsi. Ma il Pd nazionale non c’entra, si sgolano i dirigenti del nuovo corso. E addebitano il decadimento ai segretari capitolini. Il primo fu Riccardo Milana, le cui presunte spese faraoniche fecero accumulare i primi buffi, lievitati al milione e 200 mila euro di oggi. I giornali della destra si esercitano sul tema «manette rosse» e l’ex ds Chiti chiede aiuto a Berlinguer, implorando i compagni di non smarrire quel patrimonio di «onestà e impegno politico non asservito alle corruttele». Troppo tardi. Su 125 circoli del Pd, Orfini ne diversi di quelli «cattivi», perché fittizi o in guerra per il controllo del territorio. C’è chi parla di bande, chi di tribù e racconta di quando Daniele Ozzimo, la ex moglie Micaela Campana e Umberto Marroni facevano incetta di voti al Tiburtino, terra di conquista di Carminati e Buzzi .
Mirko Coratti, l’ex presidente dell’assemblea capitolina in carcere (anche) per corruzione aggravata, è approdato nel Pd portandosi dietro da Forza Italia e Udeur un vistoso pacchetto di voti: 6565 nel 2013. «È entrato quando il segretario era Miccoli, ma il Pd non c’entra — scacciano le ombre al Nazareno — Mirko s’è fatto sempre gli affari suoi». Molti soldi, molte preferenze. Per il Campidoglio ne servono almeno 4000, il che vuol dire da 100 a 200 mila euro. Per il Lazio le spese lievitano. Racconta Tommaso Giuntella: «Mi offrirono di candidarmi in Regione, ma quando mi dissero che serviva anche un milione rinunciai». Buzzi disse di avergli dato 140 voti alle primarie e il presidente dell’assemblea del Pd smentisce: «Mai conosciuto...». Ma i veleni scorrono come il «biondo» Tevere. Gli ex ds accusano la Bonaccorsi di aver imbarcato gli orfani di Coratti. «Cattiverie» smentisce l’onorevole renziana e butta il trasformismo alla vaccinara sulle spalle di «chi non ha governato la vocazione maggioritaria». Alfredo Reichlin è attonito: «Da dove sono saltati fuori i nomi di cui si legge? Il mondo politico che conoscevo, fino a Bettini e Veltroni, non c’è più».
Il degrado comincia nel 2008, quando Veltroni e Rutelli perdono le elezioni e sul tetto di Roma si insedia la destra di Alemanno. Invece di fare opposizione, gli sconfitti trattano con i nuovi arrivati e i loro amici poco raccomandabili. «Hanno avuto paura di perdere le poltrone», geme Ileana Argentin. Parole chiave: consociativismo e spartizione. Sotto accusa la manovra d’aula (poi abolita da Marino) che divideva la torta tra i consiglieri. Tra gli indiziati c’è Umberto Marroni, allora capogruppo, rimproverato da chi non lo ama di «essersi accordato con Alemanno in cambio delle briciole».