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 2015  giugno 11 Giovedì calendario

STORIA TRISTE DI CORAZON, PARTITA 27 ANNI FA DALLE FILIPPINE E MORTA A ROMA TRAVOLTA DA UN’AUTO IMPAZZITA GUIDATA DA UN ROM


In una chiesa troppo moderna e algida, nel caldo afoso di un pomeriggio romano, Corazon Abordo ha festeggiato i suoi 44 anni. Otto giorni prima, il 27 maggio, tornando a casa verso sera dopo dieci ore di lavoro, era stata travolta e uccisa in via Mattia Battistini, nella periferia a ovest di Roma, mentre attraversava la strada davanti alla metropolitana. È morta sul colpo, il cranio fracassato: uccisa da una macchina alla cui guida è stato indicato un minorenne rom, ma la dinamica dell’incidente è ancora misteriosa. Di certo l’auto inseguita dalla Polizia andava a una velocità spaventosa.
Corazon era una colf filippina. Stava tornando da suo marito e dalle figlie dopo un giorno di lavoro, l’ultimo messaggio del cellulare è stato per la primogenita Kim, 15 anni: «Hai preparato la cena? Dai sbrigati, sto arrivando». La ragazza ha preparato la cena nella piccola casa ordinata in via Andrea Barbazza, nel quartiere di Torrevecchia, e ha aspettato seduta accanto alla sorella più piccola richiamando più volte la madre al telefono per capire le ragioni del ritardo inusuale: «Poi un’amica mi ha detto di un’incidente vicino alla metropolitana. Il telefono della mamma continuava a suonare a vuoto e allora ho chiesto a papà di andare a vedere. L’ha trovata distesa sull’asfalto. È l’unico di noi che l’ha vista in quel modo, forse per questo è ancora distrutto» racconta.

Il 4 giugno sarebbe stato il suo compleanno e la famiglia ha deciso di festeggiarla così nella chiesa dove andava a pregare: le figlie sedute in prima fila, ordinate e pettinate con cura, la più piccola con la treccia che le faceva sempre la madre. Il marito Rey Rojas Magsino, 45 anni, gli occhiali neri sulla testa e al collo come portafortuna un ciondolo con il numero 13, porta un grande mazzo di fiori e sussurra: «Sto da schifo, è un dolore troppo grande».
La sua foto incollata su un sostegno di cartone: lei che sorride tra gli oleandri e sotto la scritta a mano: «Justice per Corazon». Una grande dignità nel dolore di questa famiglia che si abbraccia in modo composto: donne anziane che piangono senza fare rumore, giovani con il rosario al collo. A un certo punto tutti intonano «Happy birthday to you». Struggente. Difficile non commuoversi.
«Era una donna bella, anzi bellissima, le fotografie non rendono l’idea di quanto fosse elegante e curata» racconta la signora per la quale ha lavorato per oltre vent’anni in coppia con il marito e che preferisce restare anonima: «Il mio nome non importa, vorrei solo che venisse fuori la persona speciale che era».
Corazon parte a 17 anni da un piccolo paese nelle Filippine, Baco, nella provincia di Oriental Mindoro. In famiglia sono nove tra fratelli e sorelle: «Lei è la grande madre» racconta il maggiore, Ulito, 49 anni «e fin da piccola ci accudiva e pensava alla casa. È stata la prima della nostra famiglia a partire per l’Italia». Accade 27 anni fa. Poi, in un’estate di lavoro a Porto Ercole nei primi anni Novanta, incontra Rey. Si fidanzano e si sposano, e vanno a lavorare come coppia fissa. «Gentili, accudenti, sono stati accanto a mia nonna fino alla fine con affetto vero. Quando morì mia madre i primi fiori furono i loro. Cory era sempre discreta e attenta, prendeva il lavoro con grande serietà. Cercò addirittura di farmi rappacificare dopo un litigio con mio marito».
In parallelo Corazon crea la sua famiglia e nascono due bambine. «La prima, Kim, porta il mio nome, ho assistito anche al parto e la battezzammo con il vestito della nostra famiglia. Mi ha sempre chiamato nonna. Per me è come una nipote».
Kim è una ragazzina dal sorriso timido; in chiesa indossa un paio di jeans, scarpe da ginnastica, lo smalto scuro come tante giovani della sua età. Non piange, con pudore parla della madre come se ancora stesse per tornare a casa: «È la persona più buona e generosa al mondo». Ricorda: «Lavorava tutto il giorno, ma riusciva a esserci sempre. Ogni mattina uscivo presto per andare a scuola, ma alle 7,30 voleva che la chiamassi per dirle che ero arrivata, poi mi telefonava alle due: voleva sapere se avevo mangiato, mi rimproverava se saltavo il pranzo».
Una vita in salita tra fatiche e silenzi: è lei a pensare a tutto. I primi anni non parla bene l’italiano, ma ci tiene a seguire lo stesso le figlie a scuola. Così studia per insegnare loro. «Tornava a casa ogni sera alle 8: ultimamente era stanca aveva problemi di salute. Sparecchiavamo io e mia sorella, lei si sdraiava e guardava le soap-opera filippine, che adorava. Anche l’ultima sera: me la ricordo sul letto davanti a Bridges of love. Le ho dato un bacio veloce quel mattino prima di andare a scuola, dormiva ancora» ricorda Kim.
«Amava l’ordine, era quasi maniacale, sistemava tutto come in una tomba egizia: in piccoli spazi sapeva stipare grandi quantità di cose» continua la signora. «E cucinava benissimo: i suoi involtini primavera erano deliziosi, così le sue minestre con i noodles e il pesce fritto. Ed era sempre attenta alle esigenze degli altri: io sono cardiopatica e lei mi diceva di sedermi, di lasciarla fare: lavorava tanto, con discrezione e con il sorriso. Era facile volerle bene. Con lei se ne è andata una parte della mia famiglia».
Coraggiosa Cory, era diventata cintura marrone di karate e aveva fatto praticare le arti marziali anche alla figlia più grande, mentre la più piccola l’aveva iscritta a danza. Viveva per le sue bambine, per loro era rimasta a Roma quando la famiglia con cui era stata per quasi 20 anni si era trasferita nelle Marche. Per guadagnare adesso faceva l’orario lungo, un massacro di ore incastrate saltando da un posto all’altro. «Ci comprava un regalo ogni giorno: eravamo piene di Barbie e di trucchi» dice la figlia.

Voleva che studiassero, sognava che Kim facesse l’assistente di volo: «Mi incoraggiava, diceva che ero portata per le lingue» ricorda la ragazza. Ashley, 13 anni, voleva fare l’odontotecnica: «Però la mamma avrebbe preferito che continuasse il liceo scientifico perché era brava in matematica» continua Kim. Ma si può essere pronti a una morte così? «È difficile perdonare. Se almeno si fossero fermati a soccorrerla, lo avrei apprezzato» sussurra. Ulito nei giorni seguenti all’incidente ha provato ad andare al campo rom per incontrare i genitori dei ragazzi dell’auto: «Volevo parlare con la madre, abbracciarla e farle capire cosa si prova quando perdi una persona tanto amata. Non ho potuto: non mi hanno fatto entrare».
Ogni sera nella piccola casa di Torrevecchia gli amici della comunità filippina si incontrano e pregano per lei. «Corazon era molto credente: nella sua borsa ho trovato un rosario, ed è forse il più bel ricordo che ho di lei» dice il fratello. Era Corazon a tenere unita la famiglia e da un anno stava organizzando anche le nozze d’oro dei genitori nelle Filippine. «Saremmo andati a luglio» ricorda Kim «e per la prima volta l’avremmo fatto tutti insieme: mi stava facendo fare un abito elegante, aveva organizzato la festa nei minimi particolari. Ora invece non c’è più niente, tutto è finito».
Festeggiare la famiglia era il suo riscatto e il suo orgoglio, per il battesimo della primogenita aveva affittato un ristorante e invitato la comunità filippina, per i suoi sette anni aveva vestito le bambine di abiti di raso rosa. Come principesse. Aveva lavorato duramente, risparmiato con fatica per questo viaggio. Un viaggio che ora Corazon farà, ma come nessuno poteva immaginare. I suoi genitori l’aspettano. Aspettano quella ragazza che era partita 27 anni fa per l’Italia, per costruirsi un futuro. «Era una donna dolce, una donna perfetta» dice Rey. Poi si infila gli occhiali scuri e scivola via.