Giulia Crivelli, Il Sole 24 Ore 11/6/2015, 11 giugno 2015
EXPO TRAINA IL LUSSO MADE IN ITALY
Le previsioni per i prossimi dieci anni confermano la resilienza del lusso, un settore che anche nello scorso anno, pur avendo rallentato la sua corsa, è cresciuto, in barba a scossoni valutari e crisi geopolitiche. Secondo lo studio presentato ieri da Boston Consulting Group (Bcg) in apertura del 7° Luxury Summit del Sole 24 Ore, il Cagr del lusso tra il 2008 e il 2014 è stato del 5% e il trend proseguirà nella prossima decade. «Sarà una crescita diversa, trainata non più dall’espansione dei network retail ma dallo sviluppo organico», ha sottolineato Antonio Achille, partner e managing director di Bcg. Partendo da questa e altre considerazioni alcuni protagonisti del lusso made in Italy hanno portato ieri il loro punto di vista sul presente e futuro delle rispettive aziende e del settore più in generale.
«La sfida per i prossimi anni sarà far crescere la redditività più velocemente dei ricavi», ha spiegato Michele Norsa, ceo di Salvatore Ferragamo, una delle poche aziende che anche nel 2014 e nel primo trimestre è cresciuta a doppia cifra. Nel periodo gennaio-marzo i ricavi sono arrivati a 327 milioni (+10%) e l’ebitda è salito del 16%. Ma il dato più interessante è legato ai monomarca della maison fiorentina quotata a Piazza Affari: «Negli ultimi 60 giorni le vendite nei negozi di Milano, Venezia, Roma e Firenze sono cresciute e doppia cifra – ha detto Norsa –. Si tratta sicuramente di un effetto Expo, che non accenna a diminuire, anzi».
Soddisfatto del sell-out dei monomarca anche Gian Giacomo Ferraris, amministratore delegato di Versace: «Il negozio della Galleria Vittorio Emanuele, a Milano, ci ha dato grande visibilità e sta performando benissimo». Archiviato con successo il turn around e grazie all’ingresso del fondo Blackstone con il 20% del capitale, Ferraris ha confermato l’obiettivo di arrivare al miliardo di ricavi entro il 2018. Nel 2014 il fatturato di Versace è arrivato a 548,7 milioni (+16,9%) e l’utile netto a 26,3 milioni (+27%). «Raggiunta quella dimensione, lo sbocco naturale sarà la Borsa, è un percorso condiviso da tutta la mia squadra con la famiglia Versace e in particolare con la signora Donatella», ha detto Ferraris.
Pensare alla Borsa è invece «prematuro» per Antonio De Matteis, amministratore delegato di Kiton, 107 milioni di ricavi nel 2014 e un ebitda del 15%. «Non siamo ossessionati dalla “doppia cifra”, anche perché vogliamo mantenere intatta la qualità sartoriale e artigianale, che ci ha fatti conoscere in tutto il mondo – ha spiegato De Matteis–. Le priorità sono altre: abbiamo investito nei giovani, creando una scuola interna per sarti e abbassato così l’età media dai 55 anni del 2000 ai 37 attuali. Saremo sempre made in Italy e diamo valore a chi fa parte della grande famiglia Kiton. Il costo annuo di un sarto per noi è di 41mila euro, contro i 26mila dei nostri principali concorrenti nella sartoria maschile».
Raggiunto il traguardo dei 5o0 milioni di ricavi, per Ermanno Scervino è il momento di rafforzare il retail, ha invece spiegato Toni Scervino, ceo dell’azienda toscana. «Siamo nati 15 anni fa e finora ci siamo concentrati sul prodotto e la costruzione del marchio, senza mai tradire il legame con il made in Italy. Adesso è il momento di importanti investimenti nel network retail all’estero, che alla fine dell’anno conterà 50 negozi nel mondo». Tra le aperture principali Mosca e Miami-Bal Harbour, il department store con la più alta resa a metro quadro degli Stati Uniti.
«La nostra fabbrica è il nostro orgoglio, più di ogni altra cosa, compresi i negozi», ha detto Giuseppe Santoni, ad dell’omonima azienda marchigiana di calzature, che ha chiuso il 2014 con ricavi per 70 milioni (+18%). «Lo spirito è quello dato da mio padre, quando nel 1975 diede vita all’azienda, ma siamo proiettati nel futuro e abbiamo già brevettato molte nuove tecniche per migliorare le lavorazioni tradizionali – ha aggiunto Santoni –. Poi c’è la parte creativa e per alcune rifiniture ci rivolgiamo ad allievi delle scuole d’arte. Siamo però aperti a partnership e ad ampliare sempre l’orizzonte, come nel caso di Iwc, la maison di alta orologeria per la quale produciamo i cinturini, o di Rubelli, l’azienda di tessuti di lusso che ha reso alcuni dei nostri modelli da donna unici».
Sulla centralità del retail ha infine insistito Marco Pirone, amministratore delegato di Louis Vuitton in Italia. «Negli ultimi anni, anche a livello globale, abbiamo puntato non tanto su nuove aperture ma sul rinnovamento e ingrandimento dei negozi esistenti. Con un obiettivo molto chiaro: rendere la permanenza all’interno delle boutique più piacevole e appagante, indipendentemente dall’acquisto».
Nel nostro Paese Vuitton ha 19 punti vendita («come in Francia», ha ricordato Pirone) e ogni giorno sono 11mila le persone che vi entrano. «Lo sforzo è quello di analizzare, con la massima grazia e rispetto possibili, le informazioni su chi viene e compra. E di creare spazi unici, come le Maison di Roma e Venezia, che sono anche luoghi per eventi culturali. O i resort store come Forte dei Marmi: negozi di dimensioni ridotte dove, speriamo, nessuno si senta intimidito e che ci faccia raggiungere nuovi clienti».
Giulia Crivelli, Il Sole 24 Ore 11/6/2015