Guido Castellano, Panorama 10/6/2015, 10 giugno 2015
SONO STATO TRA LE NUVOLE
Vi siete mai chiesti che cosa accade a un messaggio di WhatsApp dopo che sullo smartphone avete schiacciato il tasto «invia» per spedirlo? Fino a quando è sul display mantiene una sua materialità ma poi, una volta partito, si trasforma in bit che viaggiano alla velocità della luce prima di ricomparire, pochi istanti dopo, sullo schermo del destinatario. Che cosa succede durante il tragitto? Proviamo a seguirlo: dall’antenna del cellulare approda al ripetitore del gestore telefonico; poi scende sottoterra e prosegue velocissimo cavalcando la fibra ottica fino a Cornaredo, alla periferia di Milano.
Qui si ferma per una frazione di secondo: entra in un gigantesco cubo di cemento armato dove, protetti come segreti militari, lavorano migliaia di computer che ogni attimo gestiscono infiniti flussi di dati, incluse le conversazioni su WhatsApp di milioni di italiani. Di lì il messaggio esce e riprende la sua corsa fino a un’altra antenna telefonica, quella più vicina al destinatario della missiva digitale, provvedendo a recapitarla.
Il viaggio è durato meno di un battito di ciglia. Resta da capire come funziona il centro informatico di Cornaredo dove è transitata la conversazione. Ecco, quella sorta di Fort Knox informatica alle porte di Milano è stato appena costruito dalla Ibm. È un data center, ma per chi utilizza internet è il cloud, che in inglese significa nuvola.
Di centri così, in giro per il mondo, Ibm ne ha realizzati 46 investendo 1,2 miliardi di dollari solo nel 2014. Ma quelli interconnessi tra loro che danno vita alla nuvola mondiale sono migliaia. Devono gestire le tonnellate di bit che ogni strumento digitale sforna ogni secondo: documenti, email, foto, video, siti, blog, messaggi, post su Facebook, tweet, informazioni prodotte da computer, smartphone, tablet, sensori, bancomat, carte di credito, automobili, oggetti connessi alla rete. Ogni 24 ore, in tutto il mondo, i cittadini della web generation producono 2,5 miliardi di gigabyte di dati digitali. Se venissero copiati su dischi dvd, se ne formerebbe una pila alta dalla terra alla luna. Tutti i giorni.
«Benvenuto nella nuvola» dice Maurizio Ragusa, direttore cloud di Ibm Italia, mentre apre le porte del data center di Cornaredo a Panorama per una visita esclusiva. Finalmente, quello che sembrava una sorta di spazio virtuale, immateriale, ha un volto. Il cloud non è un posto magico, situato chissà dove nel cyberspazio.
Esiste, ha un indirizzo preciso ed è molto meno etereo del nome che porta. «Il cloud è come una fortezza delle informazioni smaterializzate» spiega Ragusa. «E come ogni fortezza che si rispetti deve essere impenetrabile e indistruttibile» prosegue.
Per questo, varcando la soglia, sembra di entrare in un carcere di massima sicurezza.
Tutta l’area è tenuta sotto controllo da un severo servizio d’ordine. Bisogna sottoporsi a più livelli di autenticazione. Non ci sono finestre. I muri, in cemento armato, sono spessi quasi un metro. Resistono a bombe e incendi. Sul tetto corre una gigantesca griglia di cavi d’acciaio che trasforma l’intero complesso in una enorme gabbia di Faraday. Ai meno esperti in fisica basti sapere che le informazioni che il data center contiene sono al sicuro da qualunque campo elettrostatico esterno: non possono essere cancellate né dalla caduta di un fulmine né da un attentato. E se manca la corrente elettrica? Pur essendo altamente energivoro, il centro è in grado di funzionare anche in caso di blackout sospinto da giganteschi generatori a motore.
Queste strutture, create per essere eterni custodi dei nostri dati, poggiano le loro fondamenta su aree idrogeologiche molto sicure. Come quella di Cornaredo: «Negli ultimi 100 anni non devono avere mai avuto scosse sismiche né subito alluvioni o esondazioni. In più devono essere fuori dalle rotte aeree» rivela Ragusa. Oltre alla sicurezza, elemento fondamentale è la velocità. «Il nostro cloud è costruito esattamente sopra la dorsale internet europea in fibra ottica: i dati viaggiano a 40 gigabit al secondo, 400 volte più rapidamente della migliore connessione al web oggi disponibile ai privati» precisa Ragusa. Tale ampiezza di banda permette di accedere ai dati nella nuvola in maniera istantanea.
«Ma il cloud è molto di più di un enorme archivio digitale» continua Ragusa. «La potenza dei computer contenuti in centrali come questa permette di analizzare in tempo reale i dati trasformandoli in risorse, spingendo il business, rendendo competitive le aziende che lo adottano riducendone i costi».
Sugli armadi lampeggianti connessi a chilometri di cavi in fibra ottica non ci sono i nomi delle imprese che hanno il loro sistema informatico sulla nuvola. Solo sigle in codice. Ma qual è l’identikit di chi usa il cloud? «Tantissime realtà piccole e grandi che decidono di esternalizzare tutto o parte della propria struttura informatica» spiega Ragusa. «Siamo nell’era dell’utilizzo e non più in quella del possesso».
Software, archivio, applicazioni e potenza di calcolo stanno nel cloud. Negli uffici rimangono terminali con cui collegarsi alla nuvola, ma tutto il carico di lavoro lo fanno i server nel data center. «La manutenzione e l’aggiornamento del cloud spetta a noi» spiega Ragusa «mentre le aziende affittano spazi e potenza». Qualche esempio? «La Octo Telematics lo usa per elaborare i dati raccolti ogni giorno da 4 milioni di scatole nere montate sulle auto a fini assicurativi» svela Ragusa. «Milioni di guerrieri digitali frequentano i nostri server per combattere online nei video-game, mentre la compagnia telefonica Wind usa il cloud per realizzare campagne di marketing in tempo reale».
Ma non è finita. «Ecco Watson, il nostro fiore all’occhiello» dice a un tratto Ragusa «Intelligenza artificiale allo stato puro. Diversamente da un computer classico, Watson funziona in modo simile al cervello umano. È capace di imparare da quello che esamina e osserva. In un solo secondo è in grado di leggere l’equivalente di un milione di libri». La sua mostruosa capacità di analisi e in grado di trasformare un impersonale data center in un cervello funzionante. Un genio fatto di bit che aiuta nelle decisioni non solo i manager delle aziende: «Negli Usa 14 istituti di oncologia già oggi si rivolgono a Watson per scegliere le terapie più adatte nella cura contro il cancro incrociando i dati di milioni di cartelle cliniche». Benvenuto futuro.