Mattia Feltri, La Stampa 12/6/2015, 12 giugno 2015
L’IMPROVVISA SCOMPARSA DEI GARANTISTI
Sono scomparsi i garantisti. Ma proprio tutti. Ed erano tanti, e per vent’anni avevano detto a mitraglia e un po’ a casaccio cose come circuito mediatico giudiziario, o giustizia a orologeria, toghe rosse. Illustravano le mire politiche della magistratura e si chiedevano perché ogni governo che il cielo mandava in terra cadesse per mano d’inchiesta. A sinistra li chiamavano «garantisti pelosi», e forse in parte ci avevano preso, e anche a noi veniva il sospetto ma lo ricacciavamo indietro nella speranza che votassero leggi ad personam per reagire in modo un po’ balordo e un po’ genuino alle decine di processi al loro leader, Silvio Berlusconi. Sui giornali prossimi al capo del centrodestra si discuteva di deontologia e ci si interrogava sulla moralità delle intercettazioni pubblicate a getto, compiaciuti, e con quel tocco d’indignazione buono a escludere risvolti melliflui. Ci si chiedeva se fosse un tradimento della professione fare la buca delle lettere delle procure, domanda evaporata ora che i guai riguardano un altro premier e il sindaco di Roma di centrosinistra: i verbali riempiono pagine e dettano titoli, con l’eccezione del Foglio, dove si continua a dubitare del sistema e si fa campagna sul libro Einaudi con cui l’ex sostituto procuratore generale di Firenze, Piero Tony, individua i risvolti politici dell’azione della magistratura.
Ma non è più aria. Sono disinteressate innanzitutto le legioni berlusconiane, prevale una recente fiducia nelle indagini preliminari, i due capigruppo a Senato e Camera di Forza Italia, Paolo Romani e Renato Brunetta, hanno chiesto le dimissioni di Ignazio Marino e di Nicola Zingaretti (governatore del Lazio) perché «emergono infiltrazioni criminali e collusioni»; Mara Carfagna emette sentenza e chiede «pene severe» dopo rapida lettura dei quotidiani: «Il quadro che emerge giorno dopo giorno in merito alla vicenda di mafia capitale è inquietante e giustamente disgusta i cittadini, ma indigna profondamente anche chi fa politica in modo onesto»; Giovanni Toti, neopresidente ligure, rivede la filosofia della presunzione d’innocenza e dagli avvisi di reato trae opinione che debba andarsene anche Matteo Renzi; Daniela Santanchè lavora di sillogismo e cioè Ignazio Marino sapeva, ed è colluso, o non sapeva, ed è tonto, e pertanto non c’è scampo alle dimissioni. Finiti i garantisti. Ma non si tratta di estinzione, più probabilmente di letargo: un giorno o l’altro arriverà una Boccassini a risvegliare antichi furori.