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 2015  giugno 12 Venerdì calendario

L’INDUSTRIA CULTURALE NON CONOSCE CRISI

La cultura non teme la crisi: le imprese italiane che nel periodo 2012-2015 hanno investito in creatività hanno visto crescere il loro fatturato del 3,2% (contro il -0,9% delle altre aziende) e anche l’export ne ha tratto beneficio, visto che le esportazioni della filiera culturale sono aumentate del 4,3%, mentre il resto del sistema produttivo si è fermato allo 0,6% per cento. Tendenza che si conferma quest’anno, con il 48,1% delle imprese culturali impegnate sul fronte export, quota che scende al 21,6% tra le aziende che negli ultimi tre anni non hanno investito in creatività.
Lo spiega il rapporto “Io sono cultura - L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” messo a punto dalla Fondazione Symbola e Unioncamere con la collaborazione della Regione Marche e di Friuladria , presentato ieri a Roma. Il rapporto ha analizzato quattro macro-settori: le industrie culturali propriamente dette (cinema, musica, editoria), quelle del patrimonio storico-artistico e architettonico (musei, siti archeologici, biblioteche, archivi), le industrie creative (architettura, artigianato, design), delle performing art e delle arti visive (convegni, fiere, rappresentazioni artistiche).
Un panorama di 443mila imprese (il 7,3% dell’intero sistema) in grado di generare il 5,4% della ricchezza prodotta nel nostro Paese, ovvero 78,6 miliardi di euro. Cifra che arriva a 227 miliardi (il 15,6% del valore aggiunto nazionale) se si considera l’effetto moltiplicatore generato dalla filiera culturale: ogni euro prodotto dalle imprese creative è, infatti, in grado di attivare 1,7 euro in altri settori.
Tutto questo con ricadute positive sull’occupazione, perché l’industria culturale dà lavoro a 1,4 milioni di persone ( il 5,9% del totale ), che diventano 1,5 milioni (il 6,3%) se si considerano anche gli addetti delle istituzioni pubbliche e del no profit.
La parte della Penisola più dinamica è il Centro, dove l’industria culturale e creativa produce un valore aggiunto di 19,9 milioni, il 6,3% dell’economia di quel territorio. In particolare, è il Lazio (con il 7% di valore aggiunto prodotto) a insediarsi al primo posto della classifica regionale, seguita dalle Marche, che invece conquistano il posto più alto del podio per gli occupati: il 7,2% dei lavoratori è, infatti, impegnato nella filiera culturale. A livello provinciale, quella di Arezzo vince su entrambi i versanti: prima per il valore aggiunto generato dalla cultura (il 9,3% di quello locale) e per gli occupati (il 10,8% del totale dei lavoratori della provincia).
«È moralmente dovuto e costituzionalmente giusto investire in cultura», ha commentato il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini. Che ha aggiunto: «Dobbiamo fare sistema, perché l’intervento pubblico da solo non basta. Il Governo è convinto di questo. Ora aspettiamo l’apporto dei privati».
«Bisogna integrare le politiche culturali- ha aggiunto Ermete Realacci, presidente di Symbola - all’interno di quelle industriali e territoriali». È però necessaria, secondo il presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello, «una politica nazionale che valorizzi gli intrecci tra i vari ambiti della cultura».