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 2015  giugno 10 Mercoledì calendario

LA FABBRICA MAGICA DI LUCAS


Quando a metà degli anni Settanta George Lucas cominciò a tentare di vendere Guerre stellari alle case di produzione, quella
roba non la voleva nessuno. Era l’epoca di Taxi Driver e di Serpico. A Hollywood trionfavano la realtà e i drammoni provocatori, non l’epopea spaziale da popcorn.
Inoltre, per come lo aveva concepito il giovane regista, Guerre stellari era un film impossibile da realizzare; la tecnologia necessaria per dare vita e visibilità al suo universo non esisteva, punto e basta. Alla fine la 20th Century Fox diede a Lucas 25mila dollari perché terminasse la sceneggiatura – e poi, dopo che American Graffiti aveva ottenuto una nomination all’Oscar come miglior film, diede il via libera alla produzione. Tuttavia la Fox non possedeva più una sezione per gli effetti speciali e Lucas si trovò a dover fare da solo. Si adeguò con facilità: non solo contribuì a inventare una nuova generazione di effetti speciali ma fondò un’azienda leggendaria destinata a cambiare i destini dell’industria cinematografica.
Industrial Light & Magic nacque nell’estate del 1975 in un soffocante magazzino alle spalle dell’aeroporto Van Nuys, nei pressi di Los Angeles. I primi dipendenti furono studenti pieni di immaginazione e dalle dita agili, incaricati di creare le creature di Guerre stellari, navi spaziali, circuiti stampati, telecamere. Non andò tutto liscio, e neppure furono rispettati i tempi, ma il magistrale lavoro di artisti, tecnici e ingegneri novelli di ILM trasportò le platee in galassie molto, molto lontane.
Ora ILM compie 40 anni e, dopo aver realizzato effetti speciali per 317 film, può ben rivendicare di aver avuto un ruolo fondamentale. Senza scordare gli “effetti collaterali”: Pixar è nata come ricerca interna di ILM. Photoshop è stato inventato, nel tempo libero, da un dipendente di ILM. Laggiù, dietro al Van Nuys, sono stati scritti miliardi di righe di codici. Lungo il cammino ILM ha infilato tentacoli nelle barbe dei pirati, ha trasformato un uomo in mercurio, e dominato il botteghino grazie ai suoi dinosauri e ai supereroi creati con il computer. Ciò che caratterizza ILM, tuttavia, non sono un look particolare, un’aura, un tono – questi cambiano di progetto in progetto. È piuttosto l’infaticabile spirito di innovazione di cui parlano tutte le persone intervistate per questa storia orale.

1.
La storia delle origini
«Dimenticate l’Industria e la Luce – questa cosa dovrà essere Magica»

Lucas si era gingillato con l’idea di quella che definiva “un’opera fantasy spaziale” – ed era arrivato perfino a ingaggiare l’artista Ralph McQuarrie per fargli disegnare alcune delle idee – rimanendo però paralizzato dai limiti tecnici.

George Lucas (fondatore): Sapevo che l’azione sarebbe stata velocissima, con molte panoramiche e questa gigantesca battaglia spaziale alla fine. Solo che i quell’epoca non potevi farlo. E così pensai: «Dobbiamo risolvere questa cosa».
Steven Spielberg (regista, produttore): George disse: «Risolverò questa cosa mese dopo mese».
Lucas: Assumemmo un gruppetto di persone – molti ragazzini, per lo più. Pochissimi di loro avevano già lavorato in precedenza su dei lungometraggi.
John Dykstra (supervisor degli Effetti Visivi): Incontrai George alla Universal. Voleva che Guerre stellari paresse girato con un mirino ottico della seconda guerra mondiale, per avere un senso di connessione intima con l’azione.
Lucas: Trovammo un capannone a Van Nuys, nei pressi dell’aeroporto di Los Angeles. Ci chiedemmo: «Come la chiameremo, ’sta cosa?». Eravamo all’interno di una zona industriale. Stavamo costruendo gigantesche macchine per fotografare, e da qui venne “Light”. Alla fine dissi: «Lasciamo perdere Industrial e Light – dovremo essere Magic. Altrimenti faremo un film che nessuno vorrà».
Dykstra: Il capannone doveva essere sui 120 metri quadrati e puzzava come un armadietto da palestra. Ci faceva un caldo d’inferno. Se illuminavamo un modello con 6000 watt, arrivavamo ad avere 55 °C, lì dentro.
Lorne Peterson (modellista e model shop supervisor): Riempimmo di acqua fredda un grosso serbatoio. Nelle pause ci immergevamo lì dentro.
Steve Gawley (creatore di modelli/supervisore): A volte ce la squagliavamo con il sacchetto del pranzo e tre mazze da golf, nella pausa. In un’ora riuscivamo a fare sei o sette buche, ma tra una e l’altra correvamo.
Peterson: Non riuscivamo a girare molto alla svelta.
Dykstra: Era un numero di scatti impossibile, non esisteva ancora nessuna delle attrezzature o dei procedimenti usati per produrre il film. Era un lavoro pazzesco. Ci volle quasi un anno solo per fare funzionare la telecamera.
Lucas: Il budget complessivo del film era di 9.999.999 dollari. Il budget degli effetti speciali era di 2 milioni. Solo la telecamera ci sarebbe costata 400mila dollari.
Dykstra: Costruimmo telecamere con ogni sorta di tecnologie strane. Costruimmo computer. Studiammo e realizzammo la nostra elettronica partendo da zero.
Peterson: George non era soddisfatto quando tornò dall’Inghilterra, dove era andato a girare.
Lucas: Dovevamo fare 800 riprese. Avevano impiegato un anno e un milione di dollari e avevamo in mano solo una singola ripresa – un cannone che faceva boom, boom, boom. Dissi: «Okay, almeno siamo partiti». Era l’agosto del 1976. Il film uscì nel maggio 1977.

2.
Una casa nuova
«Siamo qui per fare cose»

Il film fu un successo immediato. E la promettente azienda di effetti speciali di George Lucas traslocò nel Nord della California.

Lucas: Prima mi ero abbastanza disinteressato alla questione, perché ero davvero scoppiato. Ma poi cominciai a dire: «Accidenti, potrei fare dei sequel». Trovammo un posto a San Rafael e cominciammo a trasferirci.
Spielberg: In Kerner Street.
Cary Phillips (supervisore della ricerca e sviluppo): Kerner era veramente un postaccio. Però era permeato da questa sensazione di «siamo qui per fare cose».
Dykstra: Non mi interessava andare a San Francisco. Non ero stato invitato.
Dennis Muren (direttore creativo): Telefonai al produttore di George, Gary Kurtz. Mi disse di aver avuto paura di parlare con me perché pensava che fossi in combutta con John. E io gli dissi: «Non è così. Mi piacerebbe venire».
Peterson: Quarant’anni dopo...
Spielberg: L’essere vivente che vanta il maggior numero di Oscar attualmente è Dennis Muren.
Muren: L’Impero colpisce ancora è stato il film più difficile che io abbia mai fatto. Ci è toccato addestrare la gente a fare cose che noi stessi sapevamo fare a malapena.
Lucas: Il grosso problema con l’Impero fu Yoda. Facevamo volare navi spaziali; ma non sapevamo come rendere reale una creatura alta poco più di mezzo metro, per non farla sembrare un Muppet.
Ron Howard (regista, produttore): Nella prima visita, mi sembrava di essere un bambino ammesso al laboratorio di Babbo Natale al Polo Nord.
Spielberg: Era un gran posto, per passarci il tempo: scienziati del suono pazzi, scienziati degli effetti visivi pazzi, e tra una ripresa e l’altra andavamo a sparare fuochi d’artificio M-80, facendo tremare l’intero quartiere. Era il parco giochi più divertente che avessi mai visto.

3.
L’era del computer
«Non capivo cosa dicesse. Ero stupefatto»

Steven Spielberg, amico di Lucas, fu il primo esterno che divenne cliente di ILM. Quell’epoca vide anche l’inizio del passaggio di ILM agli effetti digitali.

Lucas: Realizzammo I predatori dell’Arca perduta e poi E.T. E a quel punto mi resi conto che potevamo tentare di creare un’azienda vera e propria.
Muren: Furono due anni senza Guerre stellari. Facemmo altri cinque film. Il drago del lago di fuoco segnò il momento in cui riuscimmo a fare apparire più realistica che mai l’animazione in stop motion, sfumando i contorni.
John Knoll (responsabile creativo): Il drago sembrava vivo. Come avevano fatto?
Muren: Avevamo un drago in miniatura, e lo programmammo a bassa velocità invece di un avere un animatore che muoveva un fotogramma alla volta. Questo ci fruttò un Technical Achievement Award. Lo chiamammo “go motion”. Un sacco di gente ancora oggi lo considera il miglior drago della storia.
Ed Catmull (presidente di Pixar): George voleva portare dentro l’industria una tecnologia avanzata e mi chiamò. Era l’occasione della mia vita.
Lucas: Diedi vita a quella che chiamai “divisione computer”: Ed, Alvy Ray Smith, e un gruppo di tizi del Mit che Ed conosceva.
Catmull: Mi unii a loro nel luglio 1979. Per i primi mesi lavorai usando l’ufficio di George, tanto lui era a Londra a girare l’Impero.
Lucas: Diedi a Ed una lista di cose che volevo: un sistema di editing digitale, un computer destinato solo alla grafica – il Pixar. La prima cosa che facemmo fu un pezzettino di Star Trek II, trasformando un pianeta arido in un pianeta fertile.
Catmull: Volevamo mescolare immagini generate al computer e azioni dal vivo. Le sequenze più epocali furono quelle di Piramide di paura e di The Abyss.
Spielberg: John Lasseter creò lo shot di Piramide di paura, quello in cui il cavaliere templare salta fuori da una vetrata di una chiesa e aggredisce il prete.
Bill George (supervisore di VFX): Con l’uomo fatto di pannelli di vetro colorati si ebbe uno strabiliante assaggio della direzione presa dalla computer grafica.

Era evidente che la computer grafica era in grado di fare magie – ma se Lucas vedeva il computer Pixar come il modo di far combattere a Yoda duelli con la spada, Catmull e la sua squadra lo volevano usare per realizzare film di animazione. Alla fine le due divisioni si separarono: ILM conservò la tecnologia ma vendette la divisione computer a Steve Jobs, come Pixar. Nel frattempo la statura e le possibilità di ILM continuavano a crescere; l’azienda non solo irrobustì l’impero di Guerre stellari con Il ritorno dello Jedi, ma si occupò degli effetti speciali di Ritorno al futuro, di Cocoon, dei Goonies e di molti altri film di successo degli anni Ottanta.

James Cameron (regista, produttore): Se volevi realizzare un kolossal, ti rivolgevi a loro.
Charlie Bailey (modelli e miniature): Per Howard il papero lavorammo oltre 100 ore alla settimana. Ogni piuma doveva essere rifinita con molta attenzione con forbici chirurgiche – ci sono persone che vantano la qualifica di “piumatori”.
Knoll: Nel tempo libero lavoravo a un’idea con il mio fratellone, un ingegnere informatico. Alla fine quell’idea si è evoluta in Photoshop.
Howard: Che trasformazioni ci toccò fare, per Willow...
Lucas: Nella sceneggiatura, una capra si trasforma in animali di ogni genere, e alla fine in una donna anziana.
Howard: Immaginavo che la cosa si sarebbe fatta con protesi e dissolvenze e stacchi. Dennis Muren un giorno disse: «Potremmo far risultare un po’ più continue le trasformazioni. Non le realizzeremo con la macchina da presa, ma con il computer». Non avevo idea di cosa diavolo stesse dicendo. Ero totalmente confuso.
Cameron: Nel 1988 comincio a girare The Abyss. C’era una sequenza che avevo immaginato ma non riuscivo a concretizzare – lo pseudopodio. Dennis Muren era curioso ed eccitato. Ci aiutò a realizzare questo personaggio dalla superficie molle: che fluiva, si spostava con questo movimento ondulato, ed era assai complesso. Fu un momento di svolta nella storia degli effetti speciali.

4.
Una banda di outsider
«Facevamo tutto quello che cazzo volevamo»

The Abyss fu il “primo appuntamento” di Cameron con ILM. Il secondo sarebbe stato la più grossa scommessa di computer grafica nella storia di Hollywood.

Cameron: Terminator2 fu il film più costoso mai prodotto fino a quel momento, centrato su quel tizio di metallo liquido. Stavamo facendo con un effetto CG uno dei due protagonisti di un film da 100 milioni di dollari. Una cosa da far tremare le vene dei polsi.
Stefen Fangmeier (supervisore VFX): La divisione grafica era piccola, e lo spirito pionieristico. Si inventava tutto strada facendo.
Mark Dippé (producer VFX): Facevamo quel che cazzo volevamo. Eravamo di ILM e la gente ci rispettava.
Lucas: Steve Williams aveva una moto e giocava a hockey e tutti volevano essere come lui. Spaz e Dippé erano tipi bislacchi, stravaganti, che se ne uscivano con tecnologie nuove e idee brillantissime.
Steve “Spaz” Williams (supervisore VFX): Con la mia cornamusa facevo le serenate alle macchine, così non andavano in crash.
Dippé: Robert Patrick, che impersonava il T-1000, acconsentì a farci da marionetta. Gli toccava stare lì, come crocefisso, mentre gli addetti al trucco gli dipingevano addosso tutte quelle righe in modo che noi potessimo ricreare tutto al computer. Gli digitalizzammo la faccia!

5.
Il digital divide cresce
«Lo Stop motion come procedimento è estinto»

Il lavoro di Terminator 2 stava terminando quando arrivò Jurassic Park. Sarebbe diventato lo spartiacque tra i giorni dell’antichità e il futuro dei byte.

Phil Tippett (fondatore del Tippett Studio): Dopo l’Impero aveva creato il Tippett Studio. Jurassic Park fu il frutto di una collaborazione tra Tippett e ILM.
Jim Morris (ex presidente ILM): Phil avrebbe creato i dinosauri in stop motion, e noi li avremmo inseriti nelle scene con gli attori.
Williams: E noi dicemmo: «Ma perché diavolo non facciamo tutto in CG?».
Dippé: Ma non ci diedero il via libera.
Williams: Un giorno Muren e Kathleen Kennedy (tra i produttori di Jurassic Park, ndr) entrarono nella mia stanza mentre su un grande monitor si vedeva camminare il T-Rex. E la Kennedy si bloccò e disse: «Cosa è questa roba?». E io: «Niente, sto solo facendo un po’ di esperimenti».
Dippé: Mostrarono la demo a Steven.
George: C’era il T-Rex che dava la caccia ai raptor.
Lucas: Il provino sconvolse tutti. La gente gridava.
Spielberg: La fluidità della corsa era tale che non erano possibili paragoni. Dissi solo: «Ebbene, lo stop motion come processo è estinto».

6.
L’alluvione
«Una volta che hai il digitale, le possibilità sono infinite»

Dopo Jurassic Park la computer grafica cominciò a espandersi ovunque, progetti un tempo ritenuti impossibili divennero possibili. Per Lucas questi progetti erano i prequel di Guerre stellari, a lungo immaginati ma mai realizzati.

Williams: La tecnologia era ancora in fasce, e a noi toccò l’opportunità di plasmarla – era quell’accidenti di Casper il fantasmino.
Kathleen Kennedy: ILM realizzò uno spezzone di prova per Twister. Portammo le immagini nello studio e appena i nostri interlocutori le videro dissero: «Vogliamo fare questo film». Non c’era ancora una sceneggiatura!
Ben Snow (supervisore VFX): Con Casper (1995) e Twister (1996) arrivammo a circa 100 collaboratori. Per Dragonheart (1996) si arrivò a 200. E con Star Wars - Episodio I (1999) eravamo arrivati ormai a 1000.
George: Nel terzo prequel, quasi tutto, dagli ambienti agli oggetti, fu realizzato al computer.
Muren: Per La minaccia fantasma, George voleva che realizzassimo 2200 shot in un anno e mezzo.
Alex Jaeger (art director): L’azienda è arrivata a oltre 1200 dipendenti.
Gretchen Libby (dirigente responsabile dello sviluppo e della strategia globale): Ci toccò fare spazio ai nuovi arrivati. Ci procurammo delle gigantesche roulotte.
7. L’effetto Bay
«Urla a livello nucleare»

All’inizio degli anni Ottanta, un adolescente di nome Michael Bay ottenne un lavoretto estivo alla Lucasfilm. Due decenni dopo sarebbe diventato il collaboratore più... pratico di ILM.

Spielberg: Michael Bay è il più esigente direttore degli effetti speciali che si sia mai visto. Quando facciamo i film dei Transformers, Michael si accampa alla ILM.
Bay (regista, produttore): Pearl Harbor fu la prima volta che lavorai con ILM.
Jaeger: All’inizio arrivò da noi dicendo cose tipo: «Voglio vedere esplosioni reali, aerei reali, navi reali». Costruimmo una nave da guerra lunga 10 metri con un pontile in teak, ma mentre il modello veniva preparato, ne sviluppammo una versione generata al computer.
Bay: Dopo Pearl Harbor, Lucas mi scrisse un biglietto in cui diceva che a ILM avevamo alzato l’asticella. Poi partimmo con Transformers. Sulla faccia di Commander lavorava un sacco di gente. Ma sembrava un lifting venuto male. Keiji non stava lavorando sulla faccia del Commander, ed ebbe una crisi di nervi.
Keiji Yamaguchi (animatore tecnico): Volevo che Commander avesse l’aspetto di un eroe, e così esplosi: «State insultando l’idea giapponese di animazione».
Bay: Mi limitai a sorridere e dissi: «Fallo tu». Keiji prese l’incarico e sistemò quella faccia. E ci aiutò a capire come prendere quelle 10mila parti e farle trasformare.
Wayne Billheimer (executive producer di VFX): Ci fu un momento, proprio verso la fine della produzione, in cui Bay diede di matto. Era appena tornato da una proiezione con Jerry Bruckheimer e il terzo atto non era completo. Mi chiamò urlando: «Ho appena visto un film che non posso fare uscire, cazzo!». Un urlo tipo esplosione atomica. Non potei fare altro se non mettermi anche io a urlare. E per cinque minuti andammo avanti a sbraitare. Il giorno dopo mi disse: «Be’, ieri quei due urletti sono stati divertenti».
Bay: Loro non ti deludono mai.


8. Alzare l’asticella
«È stata varcata la soglia tecnologica del futuro»

Nel 2005 l’azienda si è trasferita da San Rafael al Presidio di San Francisco. La sua eredità è ben solida, ma dato che le case creatrici di effetti speciali continuano a spedire il lavoro oltreoceano, ILM appare sempre più come una rarità, nel suo mondo. L’età ha anche portato a una maturazione, ma l’ambizione e l’entusiasmo sono rimasti uguali.

Gore Verbinski (regista, produttore): ILM costa un po’di più, ma è come una casa farmaceutica: vogliono trovare la cura. ILM ha un settore di Ricerca & Sviluppo. È come lo Xerox Parc o l’Imagineering Disney nel loro periodo d’oro.
Scott Benza (supervisore per l’animazione): Da un punto di vista finanziario nessuno capisce che senso abbia avuto per noi acquistare alcuni dei terreni più costosi di questo Stato, proprio qui nel Presidio. Però George voleva creare un impianto all’avanguardia in un posto che fosse bello per la gente che ci lavorava.
Muren: Siamo dentro un parco nazionale. Roba da pazzi.
Jeff White (supervisore VFX): Dall’ufficio vedo il Golden Gate Bridge. Lo percorro in auto tutti i giorni, e nei nostri film viene distrutto un sacco di volte. Se arriva un mostro, passa per forza da quella parte.
Phillips: Nei miei vent’anni di lavoro qui dentro ci sono state tre volte in cui me la sono quasi fatta addosso pensando alla sfida che stavamo affrontando. La prima è stata la concept art di Star Wars – Episodio I. La seconda Davy Jones in Pirati dei Caraibi: La maledizione del forziere fantasma.
Brice Criswell (senior software engineer): Avevamo bisogno di creare un tipo d’algoritmo procedurale in grado di descrivere i diversi stati emotivi dei tentacoli.
Verbinski: I tentacoli di Davy Jones furono una dura lotta.
Criswell: Si trasformò in un sistema utile per tantissime cose, per esempio per le distruzioni simulate di Avengers.
Joss Whedon (regista di Avengers: Age of Ultron): ILM ha segnato il nostro ingresso nella produzione di film dove tutto è possibile.
Phillips: La terza volta che per poco non me la feci nei calzoni fu quando vidi il concept art del film su cui stiamo lavorando attualmente, Warcraft; è la cosa più straordinaria che abbiamo fatto da quando sono qui dentro.
Guillermo del Toro (regista di Pacific Rim): Quando vado da loro è sempre per questioni di lavoro, però siamo cresciuti tutti con la stessa cultura pop, la rivista Cinefex e i Cheetos. Ci divertiamo come geek con i film dell’orrore di Hammer. Andiamo a fare shopping a San Francisco, per i modellini. Torno sempre a casa con 20 o 30 modellini.
Muren: Ogni volta che ho fatto qualcosa, sono riuscito a convincere me stesso che quell’opera fosse ormai obsoleta. L’ho fatto intenzionalmente. Se l’estate prossima esce un altro film, non voglio che mi torni in mente il precedente, anche se il tema è lo stesso. Tocca a me trovare il modo di renderlo diverso.
Colin Trevorrow (regista di Jurassic World): Una luce intensa dall’alto di solito non dona ai dinosauri, ma in Jurassic World sono molto nudi e agiscono allo scoperto. Abbiamo avuto bisogno dell’incoraggiamento di Dennis perché arrivare a essere disposti a esporli alla luce del sole, senza aggiungere altri effetti mascheranti, contribuisce a far apparire il film intensamente reale.
Lucas: La soglia tecnologica verso il futuro è stata varcata. Siamo passati dal cinema muto al sonoro, e adesso c’è stata una nuova evoluzione. Ora che siamo digitali penso che lo resteremo per almeno mezzo secolo.
Muren: Io non so quale sarà il prossimo passo, ammesso che ci sia. Tutti dicono che sarà l’ologramma. E io dico: «Fatemelo vedere».
Lucas: Tutti dicono: «Oh, non avrete più bisogno di attori, li rimpiazzerete». Non si possono rimpiazzare gli autori. Abbiamo creato dei duplicati, dei cloni, ma non sono capaci di recitare. Sono solo dei computer, santo cielo.
Doug Chiang (executive creative director di Lucasfilm): Hanno tutti l’atteggiamento da “Nessuno lo ha mai fatto, ma facciamolo noi”. Perché no? Se ci deve essere una prima volta, tanto vale essere i primi.
J.J. Abrams (regista e produttore): Ogni volta che lavori su un progetto, loro avranno appena imparato qualcosa grazie al progetto prima del tuo. È affascinante osservare l’evoluzione di un gruppo di persone che sono artisti ma al tempo stesso anche investigatori e scienziati.
Spielberg: Ho sempre pensato che se l’agenzia spaziale l’avesse gestita ILM a quest’ora avremmo già colonizzato Marte.
Lucas: Qualunque cosa facessimo arrivava sempre il momento – poteva essere il primissimo o l’ultimo – in cui dicevano: «È impossibile, non ci riusciremo». E io dicevo: «Questo è il mio lavoro. Il mio compito è quello di farvi fare l’impossibile».