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 2015  giugno 10 Mercoledì calendario

BERETTA: «RIPARTO DAI GIOVANI»

«Lapis much el fa spegasc». Traduzione dalla lingua straniera (il milanese) all’italiano: «La matita spuntata fa sgorbi». Mario Beretta in una vecchia intervista raccontò che la frase era tra le preferite di suo papà. Via alla parafrasi con il calcio: «Se il presidente vuole disegnare la formazione al posto dell’allenatore, la squadra diventa uno scarabocchio». Mario Beretta a 55 anni sulla carta è un allenatore italiano disoccupato, come i tanti di questi giorni, da Montella a Prandelli passando per Ancelotti. In realtà sta in una categoria a parte: è l’unico che ha scelto di cambiare lavoro per mettersi ad allenare i ragazzi. Dal primo luglio sarà il responsabile del settore giovanile del Cagliari. A ognuno la sua interpretazione. Cattiva: dopo il fallimento del Siena e l’esonero a Latina, ha rifiutato lo stress. Romantica: è ripartito dal calcio più bello, quello dei ragazzi.
Mister, qual è l’interpretazione autentica?
«Mi sono stufato delle dinamiche di prima squadra. Le società fanno decidere il meno possibile agli allenatori, la pressione è sempre maggiore».
Un esempio?
«Ho letto che Florentino Perez andava nello spogliatoio di Ancelotti all’intervallo. Non si può fare né al Centro Schuster, la mia prima squadra, né al Real Madrid».
Tre parole per spiegare che cosa vuole fare Beretta a Cagliari.
«Condivisione. Uniformità. Coerenza. Vorrei che gli allenatori lavorassero insieme, faremo almeno una riunione a settimana per confrontarci. Se un tecnico passa dagli Allievi agli Esordienti, non deve vederlo come una retrocessione».
Queste però sono teorie che si sentono spesso nei settori giovanili. Lo farete davvero?
«La differenza è che al presidente Giulini interessa più formare giocatori che vincere campionati. Proveremo a farlo davvero, portare un giocatore in prima squadra sarà la mia salvezza, o addirittura la mia Champions League».
Ma lavorerà più o meno di prima?
«Secondo me di più, però non avrò lo stress del risultato. L’assillo dei tre punti ti porta a stravolgere il tuo modo di pensare: sono contento di non averlo più. Soprattutto la stagione di Siena, un anno fa, è stata molto dura mentalmente. So che dovrò dire addio alle speranze di... fare carriera e allenare una grande, ma non mi pesa».
Quali obiettivi per il Cagliari? Crescere tanti Sau, attaccanti tecnici e rapidi in stile Barcellona?
«Una scuola di esterni... non sarebbe male. Più concretamente, vorrei crescere brave persone, portare tanti Pulcini in Primavera e qualcuno anche in prima squadra. Non mi piacciono i club che cambiano metà rosa ogni anno».
Parentesi di calcio di alto livello. Quale è stata la squadra più forte mai affrontata?
«Ricordo un Juve-Parma nel 2005-06. Buffon; Zambrotta, Cannavaro, Thuram, Balzaretti; Mutu, Emerson, Vieira, Nedved; Del Piero, Ibra. In panchina Trezeguet e Camoranesi».
E in panchina Capello.
«Capello, Mourinho, Ancelotti. Fino a pochi anni fa un allenatore saliva un gradino alla volta. Non facciamo riferimenti ma... non si poteva arrivare in un attimo a una grande».
Lei da ragazzo voleva i capelli lunghi e il signor Panzera, il suo allenatore, glieli faceva tagliare. Che si fa con i ragazzini capelloni?
«Buona questa. Mi sa che dovrò guardare anche queste cose: via i capelli e soprattutto i piercing».
E agli allenatori che cosa vietiamo?
«La tattica, tanto per cominciare. Ho visto squadre Pulcini che facevano il fuorigioco e no, non è proprio possibile. Io una volta, da giovane, provai a portare la lavagna nel prepartita. Il mio responsabile del settore giovanile me lo proibì: troppa tattica, lavagna nello sgabuzzino. Ora dovrò farlo io».