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 2015  giugno 10 Mercoledì calendario

RICORDI DIGITALI

Milano 1808. Il violinista e copista Giovanni Ricordi (1785-1853) firma contratti con diversi teatri della città che gli concedono i diritti su alcune parti degli spartiti che realizza. Lui copia la musica e viene pagato in parte con i diritti a diffonderne dei brani. È il momento della storia in cui comincia a fiorire l’editoria musicale. La Milano di primo Ottocento è un luogo vivace, in cui nobili, prelati ma anche borghesi iniziano a fare musica in casa. Nel secolo precedente la musica si faceva soprattutto nei palazzi, nelle chiese e nei teatri privati.
All’inizio dell’Ottocento, grazie anche alla diffusione di strumenti musicali pratici e trasportabili come la spinetta, il clavicordo e poi il fortepiano, i ricchi borghesi possono intrattenere gli ospiti con musiche per accompagnare il canto o la danza. Aumenta quindi la richiesta di spartiti stampati e nasce un’industria. L’innovazione tecnologica degli strumenti diventa anche innovazione delle tecniche di stampa degli spartiti e delle prime pratiche di marketing per venderli a un pubblico sempre più variegato. Le prime acquisizioni di Giovanni Ricordi diventano il seme da cui nascerà la più antica industria musicale italiana: quella del melodramma.
Passo passo dopo passo, Ricordi penetra sempre più nella scena milanese: nel 1825 acquisisce l’intero catalogo del Teatro alla Scala (che aveva già 47 anni di spettacoli messi in scena) e si assicura tanta grande musica a venire da Rossini, Mercadante, Donizetti e Bellini fino a Verdi e Puccini. Fondamentale per lo sviluppo industriale di Casa Ricordi la data del 1840: con l’opera di persuasione svolta dallo stesso Ricordi, il governo austriaco stipula una convenzione con il Regno di Sardegna per tutelare gli autori e le loro opere. L’Italia non è ancora unita ma ha la sua prima legge sul copyright. Man mano che Ricordi cresce e che le generazioni si susseguono, l’archivio aziendale si riempie di documenti. A oggi, nella sede milanese dell’Archivio Storico Ricordi, si contano 7800 partiture manoscritte, 15mila lettere, 10mila libretti d’opera, 10.200 tra bozzetti di scenografie, figurini di costumi, tavole e attrezzi per la messa in scena. E poi stampe, manifesti e fotografie. La varietà del materiale che si è andato accumulando nel tempo parla dell’industrializzazione del melodramma. Le opere di Verdi, per fare solo un esempio, vengono vendute a pacchetto: un teatro nordamericano compra l’Otello completo di partitura, scenografie, costumi e note di regia dello stesso Verdi. Insieme alle partiture viaggiano anche i bozzetti per gli scenografi, i figurini per i costumisti e tutte le istruzioni per gli attrezzisti. L’opera italiana diventa industria e invade il mondo, non solo con la musica e il canto, ma anche con un’estetica e un’intera cultura del teatro. «In queste stanze della Biblioteca Braidense», mi dice Pierluigi Ledda, il 32enne direttore dell’Archivio Storico, «sono contenuti i documenti che ci permettono di ricostruire questa fantastica storia in ogni sua parte. E si tratta proprio di materiali vivi, non di cimeli del passato. Un archivio come questo è fatto per essere aperto al mondo e non solo a un pubblico ristretto di accademici». Che tipo di progetti
possono permettere a questi materiali di essere conosciuti, apprezzati e usati da un pubblico più ampio? «Si tratta di mettere in rete un’enorme quantità di dati proveniente da migliaia di supporti diversi: ogni documento, dalla pagina autografa di un grande maestro al manifesto pubblicitario, dal contratto alla lettera aziendale, è il tassello di un grande ecosistema culturale. I mezzi digitali di oggi ci permettono di far dialogare tra di loro i dati più diversi: dalle vendite degli spartiti alle riprese degli spettacoli in giro per il mondo. Dare voce a tutti questi aspetti diversi, anche minimi e quotidiani, di un’opera d’arte ci farà ricostruire davvero la dimensione popolare che aveva il melodramma nell’Italia dell’Ottocento». Già, l’immensa popolarità delle opere di Verdi e Puccini, le cui arie venivano cantate ovunque già il giorno dopo la prima, annullando qualunque distanza tra alto e basso, tra colto e popolare, tra ricchi e poveri. A pensarci bene, le riduzioni delle arie per piano e voce, che Ricordi stampava e vendeva in fascicoletti, sono il vero antenato del 45 giri. Non esistendo ancora la musica registrata, ti portavi a casa lo spartito del brindisi de La traviata o del Va, pensiero per suonarlo, cantarlo e condividerlo con gli amici. Era un modo per possedere la musica prima che la tecnologia avesse imparato a venderla sotto forma di disco in celluloide o in vinile. E la storia del successo della musica diventa anche la storia del primo star System internazionale: foto autografate, calendari, cartoline, tutto quello che oggi chiamiamo merchandise Casa Ricordi inizia a metterlo a punto nell’Ottocento. «La nostra sfida ora è quella di digitalizzare e rendere tutto fruibile in chiave di web semantico», spiega Ledda. «Più che un semplice catalogo online serve uno strumento che ci permetta di entrare anche nel contenuto, per esempio, delle lettere. E che faccia dialogare tra di loro database diversi». Gli spartiti, la posta e gli artisti giravano il mondo nell’Ottocento, proprio come oggi. Quindi ogni documento va geolocalizzato, oltre che taggato cronologicamente. Il sistema di tag, poi, deve essere più aperto possibile e gestito anche dal basso, dagli utenti stessi. «Quello che ho in mente è un sistema simile a quello della British Library o a quello della piattaforma online Discogs». Ledda confessa di essere un appassionato collezionista di musica e un assiduo utente di Discogs. Da semplice database di musica elettronica nato nel 2000, Discogs si è trasformato, grazie al lavoro degli utenti, nella più grande banca dati (e di compravendita online) di dischi in vinile di ogni genere. «Il database di Discogs è così preciso e affidabile perché è stato creato dagli utenti», spiega Ledda, «che hanno saputo formarsi lo strumento di ricerca più adatto ai loro bisogni. Solo muovendoci così il nostro patrimonio di dati potrà davvero aprirsi all’esterno e vivere». Dal 1994 l’Archivio Storico Ricordi è entrato a far parte della multinazionale tedesca Bertelsmann.
Helen Müller, head of Corporate History, mi ribadisce l’importanza che ha l’archivio per il conglomerato tedesco: «Per noi è importantissimo che il patrimonio di Casa Ricordi resti in Italia e non sia smembrato», mi spiega al telefono, «ed è altrettanto importante che oltre a conservare i propri contenuti per le generazioni future sia in grado di proiettarli nel presente attraverso la digitalizzazione dei contenuti e la condivisione».
Ma, in concreto, come funziona la digitalizzazione di una raccolta di materiali così eterogenei? Anzitutto bisogna fare in modo che il materiale, soprattutto quello cartaceo, sia nelle migliori condizioni possibili. Paolo Crisostomi è il restauratore romano che si sta occupando dell’archivio, il “chirurgo della carta” che studia i documenti e cerca di arginarne il decadimento. «Il materiale cartaceo dell’Archivio Ricordi è tutto otto-novecentesco», mi spiega. «Nonostante possa sembrare strano, la carta più è antica e più è durevole. La pergamena quattrocentesca decade più lentamente della carta dei quotidiani: maggiore è la quantità di cellulosa e più aumenta l’instabilità della carta. Noi quindi ci troviamo davanti a manoscritti unici su supporti che presentano diversi aspetti di degrado. Il nostro ruolo è intervenire e dotare l’archivio di tutti gli strumenti per conservare nelle condizioni migliori i materiali restaurati». La prima operazione che fa Crisostomi, da buon chirurgo, è la diagnosi che avviene con tecniche non distruttive: diagnostica ottica, con microscopi sia a luce visibile che a ultravioletti, e rilevazione dell’acidità dei supporti tramite un Phmetro. «Per le pagine incollate tra di loro dei manoscritti di Puccini, che era il più disordinato dei compositori, usiamo un piccolo endoscopio a luce visibile che ci permette di penetrare all’interno dei due fogli per capire se ci sono pentimenti o parti scritte e poi cancellate da scoprire». Non è una semplice curiosità feticistica: analizzare i manoscritti in ogni loro parte, anche i ripensamenti, le cancellature e le riscritture, offre informazioni preziose sulle modalità di lavoro dei compositori. Con gli scrittidi Verdi, sempre perfetti e privi di cancellature, per esempio, questo lavoro è impossibile. «Noi cerchiamo sempre di intervenire nel modo meno invasivo», spiega Crisostomi. «I materiali estranei che inseriamo nei manoscritti per riparare strappi o lacune devono essere tutti rimovibili ed essere chimicamente neutri e inalterabili, in modo da non interagire con la chimica dell’originale». Per quanto riguarda la digitalizzazione e la gestione online dei documenti, l’Archivio Ricordi si appoggia a Stelf, un’azienda IT di Roma che offre servizi tecnologici avanzati sia nel settore pubblico che in quello privato. «La digitalizzazione è uno strumento necessario per preservare nel tempo l’integrità dell’oggetto fisico e incrementare l’accessibilità dei documenti», ci dice Luca Fiorillo di Stelf. La fase di scannerizzazione è piuttosto delicata: si utilizza il Suprascan Al, uno scanner planetario che consente di digitalizzare documenti di grandi dimensioni anche molto fragili. Grazie a un sistema di ripresa dall’alto, al piano basculante e alla tecnologia Led a luce fredda, il contatto con la carta è ridotto al minimo. Per ogni documento si producono tre immagini: un file Master in formato Tiff non compresso (a 400 o 600 dpi), da cui vengono prodotti poi un jpeg a 300 dpi destinato alla consultazione intranet e un jpeg a 150 dpi (o inferiore) per consentire la leggibilitàdel contenuto tramite un browser web. La parte fondamentale del lavoro di Luca Fiorillo è però quella relativa ai metadati, le tag che rendono reperibili i vari dati: «La strategia vincente di un progetto di digitalizzazione sta infatti nell’accessibilità che passa soprattutto attraverso un uso ottimale dei metadati, una sorta di carta d’identità dei documenti, che ne consente il facile reperimento in internet e nei cataloghi online».
Ma in concreto, tutti questi dati a chi serviranno? «Anzitutto saranno utili a noi», mi dice Pierluigi Ledda. «Per sviluppare app ad hoc che aiutino il pubblico a mettere nel loro contesto storico le grandi opere dell’Ottocento. Con fonti come quelle che abbiamo in archivio si possono costruire infinità di percorsi multimediali per far conoscere e apprezzare l’opera lirica a un pubblico che normalmente se ne sentirebbe escluso».
Raggiungere nuovo pubblico è un mantra per chi oggi si occupa di teatro musicale. Dalle opere in HD al cinema (notevole il lavoro di divulgazione che fanno il Covent Garden di Londra e il Met di New York) all’uso scaltro e inclusivo dei social network che fanno al Teatro alla Scala, lo sforzo che si sta facendo in questi anni è quello di riavvicinare la lirica alla gente. Chi avrà i mezzi linguistici e culturali più giusti per comunicare a un pubblico nuovo la musica cosiddetta colta senza eccessive semplificazioni, avrà vinto questa battaglia. «È proprio in questo senso che gli archivi sono importanti», conclude Ledda. «Offrono tutto il contesto, permettono di ricostruire l’ecosistema culturale in cui questi lavori nascevano e diventavano estremamente rilevanti per il pubblico che li ascoltava». Una rilevanza che non è certo scomparsa: va solo riscoperta.


POSTIT
Ogni anno l’Archivio Storico Ricordi è tra gli organizzatori del Festival degli Archivi Musicali. Un’occasione per fare rete a livello internazionale e condividere talenti e informazioni.
www.festivalarchivimusicali.beniculturali.it