Cosimo Cito, la Repubblica 10/6/2015, 10 giugno 2015
CAMPRIANI E LE MINI OLIMPIADI: «STRESS E MEDAGLIE: SI FA SUL SERIO»
Niccolò Campriani, campione olimpico in carica della Carabina tre posizioni, è in partenza per Baku.
CHI vince i campionati europei è campione europeo. Chi vincerà i Giochi europei sarà...?
«Non l’ho ancora capito».
Cosa?
«Sa, non ho ancora ben chiaro quando saranno le mie gare. So solo che saranno quattro, tre individuali, una a squadre».
Non è da lei, questa approssimazione.
«La creatura che vedremo nascere a Baku è piuttosto curiosa: difficile darle un nome, una collocazione, capire e immaginare cosa potrà essere».
Se avrà un futuro, anche.
«Se sarà, dovrà diventare un’alternativa vera agli Europei dei vari sport, forse sostituirli».
Gli Europei di tiro a segno sono già alle spalle: marzo scorso, lei argento. E qui, a Baku?
«È una gara, e come tutte le altre gare voglio vincerla. Perché una medaglia è una cosa bella, accende i riflettori in qualche modo sugli sport minori. Prendiamo Baku 2015 come un’occasione per far parlare di noi, per apparire in tv».
Lei è anche ambasciatore di questi Giochi: difficile farle dire quello che forse andrebbe detto?
«Diamo a Baku l’occasione di farsi vedere al mondo. So che hanno costruito impianti fantastici. In particolare, il tiro a segno sarà in un compound stabile e non verrà smantellato, come accaduto a Londra. Bello che accada in un paese che non ha una tradizione nel tiro».
Cosa sa dell’Azerbaigian?
«Che è un paese in prepotente ascesa, con un Pil in crescita, grandi possibilità date dal petrolio, dal gas: presto un grande gasdotto unirà Baku al Salento».
Sa che è governato dalla stessa famiglia, gli Aliyev, dal 1993?
«So che lo sport non deve chiudere gli occhi, ma nemmeno dobbiamo esagerare».
In che senso?
«Che spesso ci si dà compiti che non sono nostri. Noi siamo lavoratori con una responsabilità precisa nei confronti dei nostri corpi d’appartenenza, del Coni, dei nostri tifosi. A volte ci piacerebbe fare di testa nostra, avere libertà di coscienza e non sempre è possibile. Così sarà tra un anno, a Rio: sappiamo delle disparità sociali che ci sono in Brasile. Sapevamo delle violenze cinesi in Tibet, ma Pechino è stata occasione per i cinesi di aprirsi al mondo, accendere i riflettori sulle proprie debolezze. Ora, forse, la Cina è un posto migliore, grazie anche al 2008. Speriamo che accada la stessa cosa a Baku. Ci sono differenze enormi tra i pochi ricchissimi e i milioni di poverissimi, me ne sono accorto, ma noi dobbiamo fare al meglio quello che sappiamo fare».
C’è un’interrogazione presso il Parlamento europeo per chiedere alle grandi istituzioni dello sport di negare i grandi appuntamenti sportivi ai paesi in cui ci sono discriminazioni dei diritti umani.
«Opportuna, assolutamente, ma è anche opportuno un ragionamento politico sulla consistenza morale di taluni dirigenti sportivi, sulla loro indipendenza. Chi assegna attraverso il proprio voto una grande manifestazione sportiva a un paese deve innanzitutto essere una persona libera da condizionamenti, di provata integrità. Prima viene questo».
Dal punto di vista sportivo, che giornate saranno?
«Gare, e poi la vita del villaggio, una cosa che chi non è mai stato atleta non potrà mai provare. La possibilità di confronto con la meglio gioventù d’Europa. Quell’aria, da sola, vale la fatica di essere atleti, vale lo stress della gara, vale l’impegno di anni. Imparerò qualcosa anche a Baku, lo so».