Leonardo Maugeri, Il Sole 24 Ore 10/6/2015, 10 giugno 2015
UN’INTELLIGENCE PIENA DI FALLE
Gli Stati Uniti sono arrivati al G7 di Monaco all’indomani dell’apertura di nuove ferite nel proprio sistema di intelligence, così vitale per garantire al paese un’effettiva leadership mondiale. Pochi giorni prima, un attacco di hackers aveva messo a nudo i dati personali di quasi 4 milioni di dipendenti pubblici americani, rivelando la vulnerabilità dei pur potenti apparati di controllo informatico gestiti dall’intelligence statunitense. Ancor prima, le autorità del paese avevano fortemente limitato il potere della stessa intelligence (in particolare della National Security Agency, Nsa) di intercettare in modo incontrollato le comunicazioni tra cittadini americani, prevista dal Patriot Act. Un potere al centro di infinite polemiche, non solo perché attentava alla libertà individuale di ogni cittadino, ma perché nel tempo si era rivelato inefficace. Quest’ultimo è l’aspetto chiave che lega i due eventi. Perché un sistema di intelligence ipertrofico, capace di “catturare” ogni conversazione, email, passaggio su internet in qualunque angolo del pianeta, è risultato incapace di anticipare attentati (come quello alla maratona di Boston nel 2014), segnalare per tempo la crescita di organizzazioni destabilizzanti (come l’Isis), bloccare attacchi informatici (come quello di pochi giorni fa) e molto altro ancora?
Naturalmente, non tutto è così negativo. Spesso i successi dell’attività di intelligence non si conoscono, perché consentono di debellare minacce prima che si materializzino senza che la cosa trovi spazio sui media. Al contrario, la portata degli insuccessi diventa subito visibile.
Resta il fatto che le stesse autorità degli Stati Uniti sanno bene, e da molto tempo, che la loro gigantesca intelligence ha troppe falle perché è dominata dal caos. Un caos stratificatosi negli anni e di cui è difficilissimo venire a capo.
Ci sono ben 17 agenzie federali negli Stati Uniti che si occupano di intelligence, da quelle più famose, come la Cia, Fbi e Nsa, a quelle poco conosciute del ministero del tesoro e dell’energia. Formalmente, l’intero sistema è una sorta di confederazione di stati indipendenti retto dal Direttore della National Intelligence, figura nominata direttamente dal Presidente degli Stati Uniti. Fino al 2004, era il Direttore della Cia a cercare di coordinare questo immenso sistema. Cercare è il verbo giusto, perché nessuno è mai riuscito a coordinare l’attività delle agenzie di intelligence e del mondo parallelo che ruota intorno a esse, costituito da centinaia di organizzazioni statali e società private a cui vengono appaltati specifici servizi coperti da segreto di stato.
Nel complesso, esistono oltre 1.300 organizzazioni statali e circa 2.000 società private che svolgono attività di antiterrorismo, sicurezza nazionale e intelligence, e oltre 850.000 individui che detengono il nulla osta di massima sicurezza. Il bilancio complessivo per le attività di sicurezza nel 2012 e nel 2013 si è attestato su circa 53 miliardi di dollari, ma non comprende il Programma di Intelligence Militare, che secondo molti esperti ne vale altrettanti. Nel timore di danneggiare la sicurezza nazionale, il governo non ha mai accettato di rivelare come questa immensa massa di denaro sia ripartita tra le varie agenzie. Solo nel 2007 il Direttore della National Intelligence rivelò che circa il 70 percento del budget complessivo di sicurezza andava a contractors privati per l’acquisto di tecnologie e servizi (tra cui quelli di intercettazione).
Troppe organizzazioni, troppe gelosie reciproche, troppe persone che fanno lo stesso lavoro, troppi rapporti di intelligence che nessuno ha tempo di leggere, visto il sovraccarico di informazione. Condividere e cercare di accorpare l’informazione rimane una chimera, poiché nessuna agenzia o organizzazione vuole rinunciare a un pezzo del suo potere d’informare, da cui dipende in parte anche il budget di cui potrà disporre in futuro. Questa necessità fa sì che le agenzie collaborino solo a parole, ma in realtà non mettano in comune molte informazioni -quelle che possono valere meriti cospicui e consolidare alleanze decisive presso le alte sfere. Ogni anno, infatti, ciascuna agenzia ha bisogno di presentare il suo budget e ottenerne l’approvazione, in un contesto di accesa competizione con le altre agenzie che potrebbero strapparle fondi e competenze. Sulla carta, pertanto, ciascuno deve far valere competenze speciali; nella realtà, le competenze non bastano senza alleanze con singoli politici, a loro volta interessati a avere accesso e influenza su settori dell’intelligence da cui possono ricavare servizi utili.
Ne deriva un sistema di intelligence iper-competitivo nella sua ipertrofia, le cui parti sono interessate a mantenere aree troppo compartimentalizzate che producono un eccesso di informazione su tutto, senza che molte informazioni chiave vengano confrontate, filtrate e distillate. Il tutto appesantito da una fede eccessiva nella tecnologia che finisce per aumentare il sovraccarico informativo.
La tecnologia, infatti, ha dato la possibilità di intercettare milioni di telefonate, email, movimenti sospetti, informazioni private su ciascun individuo, ma non ha aumentato le capacità neurologiche di chi deve analizzare la mole infinita di tracce, indizi e notizie. Così, magari, l’informazione captata per via tecnologica arriva, ma è sepolta tra mille altre informazioni e interpretazioni a cui nessuno riesce a dare un senso compiuto o un ordine di merito. È come vedere la foresta potendo distinguere solo qualche albero, ma con bassissime probabilità di individuare quello malato che potrà infettare tutti gli altri. In altri termini, la ridondanza (uno dei principi base della teoria dell’informazione) di informazione aumenta il livello di disattenzione costituendo il terreno ideale, peraltro, per chi voglia disinformare, diffondendo notizie plausibili – ma false – che servono solo a creare nuove piste e confondere quella vera, fino a sommergere quest’ultima di detriti informativi.
Molti presidenti hanno cercato di risolvere questo problema, soprattutto dagli anni Novanta in poi, quando l’avvento delle nuove tecnologie ha messo in ombra i vecchi sistemi basati sulla human intelligence (gli uomini sul campo che raccoglievano informazioni), in parallelo con il declino del ruolo della Cia e la crescita di influenza di altre agenzie di intelligence. Fino a oggi, tuttavia, nessuno ci è riuscito.