Carlo Riva, PrimaComunicazione 5/2015, 9 giugno 2015
FONTANA SVELATO
[Luciano Fontana]
Di lui si diceva difettasse del physique du rôle, qualità ritenuta indispensabile a un grande direttore. Troppo semplice, troppo schivo. Niente bizze. Niente urlacci. La high society, poi, non sa nemmeno dov’è di casa. Come può uno così anche solo immaginare di conquistare la direzione del Corriere della Sera? Appena il nome di Luciano Fontana era apparso nella lista dei possibili successori di de Bortoli, la domanda retorica e futile aveva preso a ondeggiare con petulanza nei salotti milanesi (e non solo). C’era chi arricciava il naso, chi allargava gli occhi e chi sbuffava con l’aria di quelli che la sanno lunga: quello lì direttore? Figuremess! E invece ecco che lui, Luciano Fontana, uomo schivo e modesto (il che non vuol dire mite), ha conquistato il titolo. I colleghi, terrorizzati all’idea che arrivasse qualche castigamatti dal di ‘fuori’, hanno tirato un sospirone di sollievo la cui eco è arrivata fino ai laghi.
Per capire come le opinioni sulle persone siano la cosa più variabile dopo la meteorologia contemporanea, bastava vedere Fontana aggirarsi con compatta serenità a Borgo La Bagnaia dove il 22 e il 23 maggio si è celebrata la nona edizione di ‘Crescere tra le righe’, l’appuntamento dell’editoria promosso da quel genietto di Andrea Ceccherini, presidente dell’Osservatorio Permanente Giovani-Editori. Tutti a farglisi intorno, gettandogli ai piedi sorrisi e ammiccamenti come fiori davanti alla statua di un santo. Un coro di apprezzamenti e di io-lo-conosco-bene. Una carovana di elogi sullo stile sobrio, lo stesso che qualche settimana prima consideravano un handicap. Lui, in camicia bianca e aria da sufi, si muoveva benevolo ma senza la minima prosopopea.
La sua nomina è stata ufficializzata il 23 aprile dall’assemblea del nuovo Cda di Rcs MediaGroup dove i sostenitori hanno avuto la meglio contro chi aveva puntato (Mediobanca, Della Valle, Tronchetti Provera) su altri candidati, tipo Mario Orfeo o Carlo Verdelli, inalberando la bandierina della ‘discontinuità’. Tocca ora a Fontana accomodarsi sulla storica poltrona dopo il lungo addio di Ferruccio de Bortoli: nove mesi di passione per l’editore, alle prese con una grana via l’altra e che ora doveva mettere mano a una questione tutt’altro che simbolica e che riguardava appunto la scelta del Grande Timoniere. Più che il timone, però, Fontana sa reggere bene il manubrio della bicicletta, con la quale è sempre arrivato al giornale di buon mattino, berrettino calato sulla fronte, ansioso di compulsare con scrupolo tutti i giornali e presentarsi alla riunione di redazione ben preparato, dimostrando – se mai ce ne fosse stato bisogno – di essere uno che sa il fatto suo. Basti vedere come è intervenuto nelle nomine del vertice del giornale.
Le nomine – La prima a veder riconosciuto il ruolo crescente che ha avuto nel quotidiano è Barbara Stefanelli, promossa vice direttore vicario. Cinquantenne, milanese, germanista di formazione e già vice direttore dal 2009, Stefanelli ha prima curato il lancio dell’inserto culturale La Lettura e poi dato vita al blog collettivo La270ra, roba di femmine ma a cui è consentito l’accesso anche ai maschi del Corriere. Per non dire che Stefanelli è stata anche la madrina di Solferino28anni, altro blog dedicato ai giovani italiani, e ‘InVisibili’, fondato sulle questioni legate al mondo della disabilità. E si è data molto da fare intorno all’organizzazione degli eventi legati al ‘Tempo delle donne’. Confermati alla vice direzione Daniele Manca, sempre con delega all’economia, ruolo che ricopre dalla primavera del 2009, e Venanzio Postiglione, salernitano di 48 anni, da un quarto di secolo a Via Solferino. Postiglione era entrato ancora ventenne nella Scuola di giornalismo della Rcs diretta da Manlio Mariani e come giovane cronista si diede un gran daffare tra l’allora nascitura Lega Nord, la promettente Forza Italia e le inchieste di Mani Pulite, per poi essere tra i fondatori del dorso milanese del Corriere. Tra l’altro Postiglione eredita da Fontana la delega ai rapporti sindacali e toccherà a lui vedersela con il nuovo Cdr eletto il 21 maggio e formato da Biagio Marsiglia (che dopo aver saltato un giro ritorna nell’organismo sindacale), Isidoro Trovato, Martino Spadari a Milano, Mario Sensini e Monica Sargentini a Roma, dopo che il precedente era decaduto per le dimissioni di Rita Querzé (la sua lettera su Primaonline.it).
Dall’ufficio centrale (dove probabilmente verrà sostituito dal suo vicario Luciano Ferraro) passa a una vice direzione Giampaolo Tucci, arrivato a Milano dopo un’esperienza al Corriere di Napoli, dove era approdato dopo un periodo di lavoro all’Unità (sua moglie è Angela Frenda, anch’essa firma del Corriere). Formato in cronaca, soprattutto giudiziaria, ha poi sempre interpretato il ruolo di chi coordina e scandisce i tempi della fattura del giornale.
Mentre Antonio Polito, già direttore del Corriere del Mezzogiorno, anch’egli ex Unità, passato nella redazione di Repubblica, fondatore del Riformista e poi entrato anche lui nel pentolone della politique politicienne (è stato senatore della Margherita), è ora vice direttore con delega su Roma, il che significa avere davvero voce in capitolo sulle cronache di Palazzo e sulle molteplici storie legate alla capitale. A dirla tutta, per quel posto poi attribuito a Polito, se ne era parlato con Massimo Gramellini, vice direttore della Stampa, ma il secco no di John Elkann sostenuto dal nemmeno-a-parlarne di Mario Calabresi, visto che entrambi molto tengono a una firma che calamita attenzione e lettori al giornale torinese, ha gelato ogni ambizione ma non il dispiacere del giornalista, costretto a rimanere al palo per una sfortunata coincidenza: se il suo direttore Mario Calabresi fosse transitato a Via Solferino, sarebbe toccato a lui prenderne il posto a Torino.
Insomma, una doppia fregatura per l’autore di ‘Fai bei sogni’, che solo un paio di anni fa ha venduto più di un milione di copie.
Andando giù per li rami, a Roma troviamo Roberto Gressi (un altro ex Unità), a cui viene affidata la responsabilità della redazione romana la cui prima linea sta per essere falcidiata dai pensionamenti (a giugno lasceranno Marco Cianca, il responsabile della sede, Andrea Balzanetti, capo degli interni, e Maurizio Fortuna, capocronista) ma che rapidamente si vede trasformata da quasi-bottega a grande fucina con nomi di primo piano per presidiare il flusso di notizie e potere che provengono dalla capitale. Fiorenza Sarzanini – macchina da guerra all’interno del Palazzo di Giustizia – vede riconosciute le proprie qualità con i gradi di caporedattore con il coordinamento della giudiziaria, mentre Antonella Baccaro (pugliese d’origine ma romana di formazione, intestataria del forum Supplemento Singolo, che si occupa della vita, dei problemi, delle gioie e dei dolori dei single) si conquista la posizione di caporedattore centrale dove entra anche Armando Nanni, bolognese, ex responsabile dell’economia del Quotidiano Nazionale, e dal 2007 direttore del Corriere di Bologna, carica da cui si è appena dimesso.
Fontana si è concesso un’assunzione di qualità riportando a casa come inviato, editorialista e vice direttore ad personam Federico Fubini, giornalista economico e specialista di Europa cresciuto al Corriere, che solo un paio di anni fa Carlo De Benedetti aveva persuaso con un buon ingaggio a passare a Repubblica. Il soggiorno a Largo Fochetti non ha portato le soddisfazioni professionali sperate e rispondere di sì alla proposta di Fontana deve essere stato un piacere e un sollievo per Fubini.
Questo giro di nomine ha messo in evidenza il numero non indifferente di giornalisti che hanno avuto un passato consistente all’Unità e che adesso hanno ruoli di potere, a partire dal direttore, all’interno del Corriere della Sera, simbolo dei simboli di quella borghesia produttiva a cui un tempo da militanti comunisti avrebbero altrettanto simbolicamente tagliato la testa. Ironia a parte, è la dimostrazione di come ai bei tempi L’Unità seppe qualificarsi come una vera e propria scuola di politica e giornalismo e di come alcuni dei suoi allievi migliori siano riusciti a presentarsi, una volta ripuliti dal passato ideologico, tra i migliori giornalisti sulla piazza.
Quasi tutti pazzi per lui Tra i giornalisti del Corriere della Sera il nuovo direttore gode di vasta stima (su 306 giornalisti votanti, 250 hanno espresso il loro gradimento e i 45 no, insieme alle 10 schede bianche e una sola nulla, sono considerati l’espressione fisiologica del malumore, nella maggioranza dei casi, di quanti non hanno avuto soddisfazione di questioni personali), e inoltre la sua nomina ha messo fine all’anomalia di una direzione, quella di Ferruccio de Bortoli, la cui fine è stata annunciata nove mesi prima della sua conclusione ufficiale. Un periodo nel quale, come ha rivendicato Fontana parlando alla redazione, il Corriere ha difeso la sua “leadership complessiva e conquistato il primo posto tra i giornali d’informazione, dopo tanto tempo, nell’indagine sui lettori Audipress”.
Per il futuro il nuovo direttore ha insistito molto sulla necessità di sfruttare tutte le opportunità offerte dalle tecnologie (tanto da tenere per sé la delega alla trasformazione digitale), prospettando un intenso lavoro di progettazione editoriale e un cambiamento profondo dell’organizzazione redazionale, innanzitutto dell’ufficio dei caporedattori centrali che presto lavorerà su più turni. In pratica, ogni giornalista dovrà lavorare per più piattaforme e, di conseguenza, una parte importante del lavoro dovrà essere spostata al mattino presto. Tutte novità che dovranno fare i conti con il nuovo piano di sviluppo, preparato dall’amministratore delegato Pietro Scott Jovane, e che il nuovo Cda dovrà presto approvare. Nelle linee generali il progetto prevede, come già abbondantemente annunciato, che il gruppo si focalizzi soprattutto sull’informazione e sullo sport. Ma è soprattutto per quest’ultimo settore che si annunciano le novità più importanti, con una proiezione internazionale che prevede acquisizioni e un’integrazione delle attività italiane e spagnole nell’ambito dell’informazione e dell’organizzazione di eventi. Per quanto riguarda le news, e il Corriere in particolare, anche se le dichiarazioni degli amministratori ne esaltano la centralità nel sistema Rcs, si rischierà nei prossimi mesi di parlare essenzialmente di economie. Al vaglio dei nuovi amministratori, tra l’altro, potrebbe esserci il futuro delle edizioni locali di Bergamo e Brescia, oltre a quello di alcuni supplementi, come Sette e La Lettura.
Non è un caso che incontrando subito dopo la designazione il Cdr, che gli chiedeva il mantenimento dell’organico (327 giornalisti, al 31 ottobre 2015), Fontana abbia preferito sottoscrivere un documento in cui precisava che impegnarsi a farlo “in un momento difficile per il mondo dell’editoria non sarebbe un gesto di onestà intellettuale”. Ha assicurato, invece, che farà “di tutto perché il tema della sostenibilità economica dell’azienda Corriere, un impegno che avremo di fronte nei prossimi mesi, sia affrontato non mettendo a rischio la leadership del giornale, la sua qualità e la forza della redazione”. Impegnandosi, inoltre, “a salvaguardare la centralità della redazione e ad accrescere e valorizzare le professionalità interne”. Questo quindi il quadro nel quale Fontana si è mosso nei suoi primi venti giorni sulla poltrona che fu di Luigi Albertini. Ma chi è questo professionista che, pur essendo da dodici anni ai vertici giornalistici di Via Solferino, è sempre stato all’ombra di giornalisti come Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli, fuori da qualsiasi esposizione mediatica?
Un po’ di storia biografica – Luciano Fontana nasce a Frosinone l’11 gennaio 1959, da famiglia di pochi mezzi. Frequenta elementari e medie in un istituto di suore, dove la mamma lavora come cuoca, mentre consegue la maturità scientifica al liceo Severi, dove la professoressa d’italiano lo incita a intraprendere la strada del giornalismo. D’estate, per mantenersi agli studi, lavora a Fiuggi come portiere in un albergo frequentato, tra gli altri, da molti degli appartenenti alla sua futura categoria, andati a passare le acque con il contributo della Casagit.
Il lavoro estivo continuerà anche quando a 18 anni Fontana decide di trasferirsi a Roma per frequentare l’università. A Villa Mirafiori, sede della facoltà di filosofia dove si laurea con una tesi su ‘Linguaggi ordinari e linguaggi formali in Karl Popper’, discussa con Tullio De Mauro – inizia l’impegno politico nella Fgci, la federazione giovanile comunista. È lì che incrocia, tra gli altri, Giuliano Ferrara, che negli anni Ottanta matura il distacco dalla stessa cultura politica di cui si era nutrito fin da piccolo, rampollo di una famiglia di potenti personaggi del partito. Del tutto falsa, però, la notizia secondo la quale Fontana avrebbe frequentato la scuola di partito del Pci: alle Frattocchie, infatti, ci andò solo tre giorni per seguire un corso che aveva tra i relatori Paolo Franchi, Ferdinando Adornato e Massimo D’Alema. Mentre studia filosofia e si occupa politica, nell’82 inizia a collaborare con l’Ansa. È nel 1986 che arriva il contratto di praticante all’Unità diretta da Emanuele Macaluso. Ci rimane undici anni, iniziando alle pagine della cronaca di Roma (nera e consigli comunali), di cui presto diventa vice capo, poi è per due anni agli esteri interessandosi anche al servizio diplomatico. Ha così l’occasione di seguire i responsabili della Farnesina Giulio Andreotti e Gianni De Michelis, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga e Giorgio Napolitano, in quegli anni responsabile della politica estera del partito comunista. Per un periodo è anche responsabile del servizio politico, fino al ’94, quando passa dalla scrittura alla gestione delle pagine e alla fattura del giornale, formando con il direttore Walter Veltroni la coppia “padrona del giornale”, come ha raccontato recentemente Peppino Caldarola, allora condirettore della testata fondata da Antonio Gramsci.
Rigoroso, tosto, grandi capacità di coordinamento, le sue qualità professionali vengono apprezzate all’esterno della redazione romana di via dei Due Macelli. Sarà anche, come ha rivelato sempre Caldarola, che Fontana non ha mandato giù che Veltroni, diventato numero due di Romano Prodi a Palazzo Chigi, gli abbia preferito Marco Sappino come portavoce. Fatto sta che nell’aprile del ’96 Fontana ha un primo colloquio con il Corriere della Sera diretto da Paolo Mieli, che si risolve con il classico “presto le faremo sapere”. Devono passare otto mesi prima che arrivi la risposta (positiva), e il 1° febbraio 1997 Fontana arriva a Milano, in via Solferino 28, dove va a sostituire all’ufficio dei caporedattori centrali, come numero due di Paolo Ermini, Alessandro Sallusti, diventato vice direttore del Gazzettino di Venezia. Tre anni – durante i quali la gestione del quotidiano è passata a Ferruccio de Bortoli – e diventa il numero uno con a fianco prima Claudio Lindner, poi Barbara Stefanelli. La vice direzione, invece, arriva nell’estate del 2003, dopo la nomina al vertice giornalistico del Corriere di Stefano Folli. E tra i primi a congratularsi per la promozione c’è Tullio De Mauro, il linguista con il quale ha discusso la tesi di laurea.
Fontana viene confermato nel ruolo nel 2004 e Mieli, ritornato sulla poltrona di direttore, gli affida anche la supervisione del sito Internet, che viene completamente rinnovato. Una delega a cui affianca anche quella al personale, dopo che Ermini passa a dirigere il Corriere Fiorentino, e che esercita dando prova di rare doti di mediazione, come ha dimostrato nell’autunno del 2010 – ormai condirettore – gestendo le reazioni dei giornalisti alla lettera con cui de Bortoli, tornato un anno prima alla direzione, metteva in discussione “l’anacronistico impianto di regole” su cui erano basati i rapporti sindacali in redazione. E dopo pochi mesi arriveranno nuove norme.
A questo punto non pochi hanno pensato a una versione del ‘poliziotto buono, poliziotto cattivo’ in salsa Corsera. Un ruolo da ‘cuscinetto attivo’ che Fontana ha efficacemente esercitato anche nei rapporti con la struttura aziendale. Interpretando questa parte dopo che ormai si era consumata la rottura tra de Bortoli (che il 31 luglio 2014 con un anticipo di nove mesi aveva annunciato la sua uscita dal giornale) e l’amministratore delegato Pietro Scott Jovane, Fontana nell’ultimo anno si è rivelato decisivo nell’evitare al giornale ricadute negative.
Si potrebbe ritenerlo un po’ debole sul fronte dell’economia, ma il mondo della politica e delle istituzioni lo conosce assai bene, compreso un buon rapporto con il Quirinale (sia con Napolitano, anche se non in maniera così diretta come de Bortoli o Mario Calabresi, sia con Sergio Mattarella, seguito in passato). E se con il premier Renzi non ci sono di mezzo i pregiudizi caratteriali e culturali, Fontana ha sempre mantenuto rapporti diretti anche con Silvio Berlusconi. Disponibile al colloquio, il suo ufficio è sempre aperto – preferisce ricevere i colleghi, piuttosto che girare per la redazione – ed è cortese ma schietto nel rapporto diretto. In ogni caso, quando finisci di parlargli non hai alcun bisogno di sforzi esegetici per interpretarne il pensiero. Con il suo understatement e la misura, fondati più sulla timidezza che sulla scelta consapevole, Fontana corre il rischio di apparire addirittura dimesso. Chi lo frequenta ne apprezza la ricchezza culturale. Di certo ama i libri, soprattutto la letteratura americana, e il cinema dove non è particolarmente selettivo, e se deve scegliere non esita a optare per una spy story o un thriller. Se è vero che è tifoso della Roma, la vera passione sportiva la riserva ai cavalli. Nel tempo libero si tiene in allenamento in un maneggio milanese e appena può lascia la Pianura Padana per andare su e giù per le Alpi Apuane in groppa a Carezza, una cavallina che contribuisce a mantenere in un agriturismo. Oltre che dal cavallo, la passione per gli animali è certificata da Lucy, una beagle, e Conan, un boston terrier, a cui è affezionatissimo. Per quanto riguarda il look, la cravatta la annoda solo se lo prevedono o la legge o le dure convenzioni sociali. Fosse per lui girerebbe sempre in jeans e polo.
Dopo vent’anni passati a Roma, vive da più di 18 a Milano, città che gli piace. Quando può stacca qualche minuto e si prende una boccata d’aria e una sigaretta per le vie di Porta Garibaldi o di Brera. Della sua famiglia, su cui preferisce dir poco, si sa che Simone, primogenito di 27 anni, sta conseguendo un dottorato di ricerca in robotica a Zurigo, dopo essersi laureato in informatica all’università Statale-Bicocca di Milano; mentre Martina, 24 anni, è impegnata nella specialistica in economia alla Bocconi. Questo è il pittore. Ora vedremo che quadro sarà capace di dipingere.
Carlo Riva