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 2015  giugno 08 Lunedì calendario

CLASS ACTION ALL’ITALIANA DA CORREGGERE AL SENATO

La Camera ha approvato all’unanimità il disegno di legge di riforma dell’azione di classe, procedura derivante dalle famose classaction americane immortalate in film con Julia Roberts o Charlize Theron. Il concetto della class-actionè: vi sono comportamenti di istituzioni, dal governo alle grandi imprese, che danneggiano una moltitudine di persone causando danni individuali di importo magari non rilevante. Chi ha subìto una perdita per 100 o 1000 euro non ha interesse a far causa al responsabile: se perde rischia di spendere troppo in spese legali e anche se vince rischia di non rimediare un quattrino e di aver perso tempo inutilmente. Ecco perché vale la pena che, se i diritti individuali lesi sono omogenei, ad esempio un contatore della luce difettoso che addebiti a tutti i clienti il 10% di costi in più, si deleghi la causa a un soggetto adeguato che rappresenti la “classe” di migliaia di persone o enti danneggiati. Tale procedura è razionale. Prima di tutto si ristora la perdita e si riallocano risorse prima distribuite in modo inefficiente. Poi si costituisce un deterrente nei confronti di chi fornisce il prodotto o il servizio: non potrà pensare di farla franca contando sull’apatia dei singoli. Inoltre, si riducono i costi giudiziali: le assicurazioni hanno sperimentato sulla loro pelle cosa vuol dire dover affrontare decine di migliaia di cause tutte uguali e costose per il rimborso di poche centinaia di euro. L’accorpamento ha effetti benefici sull’amministrazione della giustizia perché si disintasano i tribunali dalle cause bagatellari. Quali le controindicazioni? Il fiorire di comportamenti opportunistici di avvocati o associazioni di consumatori che, contando sulla poca propensione delle imprese a rimanere invischiate in lunghi contenziosi, potrebbero cominciare azioni non meritorie per arrivare a una veloce transazione, intascare i compensi e salutare. Chiedo 100 milioni, l’impresa, sapendo che c’è pur sempre il 5% di possibilità di sconfitta, è disposta a chiudere per 2, l’avvocato si mette d’accordo, intasca 200.000 di parcella, ringrazia e se ne va. L’incentivo è perverso anche quando i consumatori hanno un diritto ragionevole. L’avvocato avrà convenienza a transigere velocemente a 10 milioni, emettere fattura per 500.000 euro e passare alla prossima causa. Il legislatore razionale si trova a dover contemperare molte esigenze. Il nuovo Ddl va in questa direzione? Si e no. La Camera ha giustamente allargato la platea dei possibili attori: non aveva senso escludere le imprese o chi non si qualificava come consumatore (tipo un investitore) come fa l’attuale legge. Un errore è legittimare le associazioni dei consumatori ad autoeleggersi rappresentanti di classe e iniziare le cause: al di là di altre funzioni meritorie che esse svolgono, le associazioni sono un esempio di potere senza responsabilità. Godono di finanziamenti pubblici, se vincono beneficiano dei frutti della vittoria, se perdono non succede loro niente: difficilmente i giudici le condannano a rifondere le spese e comunque chi le guida non impegna il suo denaro. Da un punto di vista degli incentivi, quelli delle associazioni sono perversi. Altra novità del disegno di legge é di consentire agli aderenti all’azione di sfilarsi dagli accordi stragiudiziali conclusi dal rappresentante di classe: si incoraggia il massimo dell’opportunismo dei comportamenti senza alcun vantaggio compensativo. Basteranno pochi aderenti che continuano la class action e per il convenuto non ci sarà mai certezza di averci messo una pietra sopra e i tribunali non si libereranno di carichi inutili. Dopotutto, chi non vuole partecipare all’azione collettiva conserva il diritto ad iniziare la causa individualmente, non c’è bisogno di introdurre un ulteriore grado di incertezza. Discutibile è la possibilità di unirsi all’azione solo dopo la vittoriosa sentenza di primo grado, anche se questo potrebbe diminuire i ricorsi individuali. Ottima idea invece la reintroduzione del patto di quota lite per compensare gli avvocati, a patto che sia anche possibile non pagare loro niente in caso di insuccesso: no win-no pay per scoraggiare le cause infondate. Sbilanciata è l’immediata esecutività del decreto di risarcimento che non è sospesa dal ricorso in appello del convenuto: se l’impresa deve pagare 10 milioni a 10.000 appartenenti alla classe e poi vince in appello, come recupererà i suoi soldi? Probabilmente il presidente di Confindustria, Squinzi, esagera a vedere una manina antiaziendale nella proposta di legge. D’altronde, il grillino Bonafede che proclama “la class action non si tocca” paventando l’azione di poteri forti sembra Capitan Fracassa più che un legislatore. Non ci sono complotti: come in molte norme italiane ad alcune buone idee di derivazione estera si unisce qualche trovata dovuta al populismo o all’incompetenza. Magari lo si può spiegare al Senato.
Alessandro De Nicola, Affari&Finanza – la Repubblica 8/6/2015