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 2015  giugno 06 Sabato calendario

INDOVINA CHI PORTA LA PIZZA STASERA


La pizza, spiegò paziente, ma severa, la dottoressa a Tysha Houston dopo una visita di controllo, ti fa male. Contiene in abbondanza tutti gli ingredienti che ti stanno facendo ingrassare e corrodono il tuo sistema cardiovascolare: troppi carboidrati, sale, formaggi, salumi, zuccheri, calorie, nitrati. Una donna di trent’anni come te, a furia di pizze, getta le basi per un futuro di guai. Tysha uscì dalla visita medica depressa, confusa e con una voglia disperata di pizza.
Ora, prima che questa pagina di D cominci a svolazzare per effetto degli sbuffi indignati di chi legge, si deve ricordare che cosa sia, e che cosa sia diventata, la pizza negli Stati Uniti. È qualcosa che sta alla Margherita consumata dal nostro pizzettaro preferito come una portaerei nucleare sta a una barchetta a vela. È una piattaforma sulla quale atterrano squadriglie di pepperoni, salsiccia, pancetta, formaggi di incerto pedigree, pasta a doppi strati e addirittura vene di ulteriori porcherie iniettate nel risvolto della crosta. Tutto per aumentarne il prezzo e l’effetto micidiale.
Come spesso accade con i consigli del medico, Tysha tornò a casa con l’immagine di un’enorme pizza portaerei che le danzava davanti agli occhi, ricoperta di tutto. Sognava un’ultima, pantagruelica “binge”, un’orgia di pizza prima di mettersi a stecchetto. Da domani.
Ma a casa, trovò una sorpresa. Seduto nel minuscolo soggiorno, nell’ombra per non farsi riconoscere, l’attendeva l’ex boyfriend, diciamo il “fidanzato”, che lei aveva scaricato dopo ripetute violenze e allontanato con un’ingiunzione del tribunale.
«Sono venuto per ammazzarti», la informò subito l’uomo, testimoniando la serietà delle sue intenzioni con un revolver in mano.
Invano, Tysha tentò di calmarlo, di farlo ragionare. Il suo ex era oltre ogni possibile ragionamento. «Ti prego, ti prego», lo implorò, «lasciami almeno un ultimo piacere, prima di ammazzarmi. Lasciami mangiare una pizza, sai, come quelle che mangiavamo insieme davanti al televisore». Il suo aggressore ebbe pietà. «Ordinala», le disse.
Tysha chiamò il suo pusher abituale di pizze per la consegna a domicilio. Ordinò quella con “tutto” sopra, elecando ogni ingrediente nel menu, peperoni, prosciutto, salsicce, pancetta, funghi, olive, peperoncini piccanti jalapeno, tre formaggi, ananas, acciughe e un ostaggio. «Come, “ostaggio”?», la interruppe la ragazza che prese l’ordine, «noi non abbiamo ostaggi». «Ma lui sì, capisce? Capisce?».
La ragazza della pizzeria rispose semplicemente con il tempo della consegna prevista, quindici minuti, e riattaccò.
Infatti, puntuale come sempre, 15 minuti dopo la consegna arrivò. Ma invece del solito affannato studente con un’utilitaria scalcagnata e l’insegna della pizzeria sul tetto, alla porta di Tysha bussarono quattro agenti in assetto di guerra, con elmetto, giubbotto antiproiettile e un arsenale di schioppi e armi automatiche degno dell’esercito di una piccola nazione, più roba di quanta anche la più generosa pizza all’americana avrebbe potuto reggere.
Il sequestratore e possibile assassino si arrese subito, di fronte alla potenza di fuoco dispiegata dalla polizia e ben conscio della generosità con la quale gli agenti distribuscono proiettili anche per situazioni molto meno sinistre.
Sullo scontrino dell’ordine che la sveglissima ragazza della pizzeria aveva ricevuto e stampato c’è scritto, dopo la sfilza di ingredienti richiesti, anche un breve commento: «Cliente denuncia una situazione di ostaggi. Informato il 911», la polizia.
Quando il suo assalitore fu immobilizzato e portato via, Tysha ringraziò il sergente della polizia di Washington che aveva guidato i suoi salvatori e gli propose di portare lui e i suoi uomini a mangiare la pizza fuori. Offrendo lei per tutti. I giornali, ammesso che dei giornali ci si possa fidare, registrano anche una dichiarazione finale della signora: «La pizza mi ha salvato la vita». Lontano, sembrò udirsi il sospiro rassegnato della dottoressa.