Alberto Arbansino, Corriere della Sera 7/6/2015, 7 giugno 2015
CIBO E ARTE, UN GRANDE AMORE
Arte & Cibo! Che accoppiamenti magnifici! Ed ecco Il cibo nell’arte, amore a prima vista nei capolavori dei migliori maestri, dal Seicento a Warhol, in una facile ma eccellente rassegna, nel Palazzo Martinengo, a Brescia. Con il patrocinio ovvio dell’Expo 2015, sul tema o problema di «Nutrire il Pianeta» . E qui, altro che nuove domande, davanti alle mense dei poveri di Angelo Morbelli.
Qui, altro che le ostensioni di Vincenzo Campi, con frutta, verdura, pesci, crostacei, pollami, cacciagioni, in vendita. Appaiono più sontuosi i banchetti alle Nozze di Cana. E più modesti, a Emmaus. Come La polenta di Pietro Longhi, per un solo commensale, a Ca’ Rezzonico. Sembrano più allegri i mangiatori di fagioli e ricotte, senza tanti antecedenti e precedenti nelle acconciature e nelle posizioni o nei formaggi, nei caci, nelle uova sode.
Quanta frugalità, ma anche sazietà, dopo tutto, nel Pitocchetto. Come in Fra’ Galgario: un giovanotto con un bicchier di vino, pane e cipolla. E nelle cucine del Baschenis: pentole, casseruole, tegami, padelle. In rame. Non già agrumi meridionali come con Micco Spadaro, i Recco, Ruoppolo. Ma sul catalogo: un’opera di Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Papa Pio V (un Ghislieri di Bosco Marengo), a proposito della cucina di magro. Pesce, verdure, uova, formaggi.
I Carracci sono rimasti a Oxford. Ecco qui allora i Figini, i Frisi, i Nani, gli Stanchi, i Forti. Con aringhe, acciughe, ventresca, olive, salame di bottarga, finocchietto, peperoni, brocche di vino rosso, provolone, insaccati, Jacopo Chimenti dello l’Empoli…
E poi, i classici del Novecento. De Chirico, de Pisis, Magritte, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Renato Guttuso, Andy Warhol, Roy Lichtenstein (datati e firmati, ne ho parecchi)… Ma qui (non a casa) mi mancano gli Scialoja, i Maccari, i Pasolini, i Testori, i Fioroni… Né passano più i «meridionali» che nelle vie centrali delle piccole città gridavano «limoni! limoni!» dalle loro bancarelle (si chiamavano «banchetti») alle cuoche e cameriere che si affacciavano.
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Il Bel Paese non c’entra col mangiare. È piuttosto una seria incursione o esplorazione del nostro secolo alle spalle. Dal Risorgimento alla Grande guerra, dai Macchiaioli ai Futuristi. A Ravenna.
Qui Antonio Patuelli riesuma e riassume le esperienze particolarmente emblematiche di Giuseppe Pasolini, Luigi Carlo Farini, Marco Minghetti e Terenzio Mamiani della Rovere. Quattro fra i principali artefici del Risorgimento che anche per le loro origini territoriali vissero più profondamente il conflitto fra Stato e Chiesa dopo aver tentato l’impossibile per convincere Pio IX a cooperare all’Unità d’Italia.
Ma se c’era uno Stato nazionale che non aveva bisogno dei processi di invenzioni della o di una tradizione, ecco l’Italia, paese museo già ai tempi del Grand Tour. Con un vistoso patrimonio da scoprire o riscoprire. Come trasformazione o persistenza o invasione di turisti a gruppi, mandrie, plotoni.
Qui la pittura di Previati o Nomellini o Milesi e Morbelli e le mucche di Segantini e Fontanesi, o anche le parigine di Boldini possono apparire miserie da salottino provinciale. Le damine si mostrano piuttosto casarecce. Come il cosiddetto Bel Paese, del resto.
Forse soltanto col Futurismo si rialza la qualità locale del Paese. Boccioni e Balla e Carrà e Prampolini e Depero sollevano indubbiamente la pericolosa asticella del Gusto.
Tutto bene, allora, a Ravenna?
Macché. L’albo di foto finali risulta più interessante di qualunque pittura.
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Terrantica … Terra molteplice, Terra infinta, Daedala Tellus… Un tema colossale, un catalogo pieno di saggi e foto d’affreschi Aenigmata Symposii, Orecchie di Hermes … Arena, arcate trionfali, ambulacri, fornici… E in tanta grandiosità, oggi, al Colosseo, vasi e coppe e sculturine e figurine che lì paiono minuscole. «Antico Cicladico», per molte ispirazioni del primo Novecento.
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Botho Strauss può essere o diventare piuttosto noioso, rifacendo per Peter Stein il Midsummer-Night’s Dream di Shakespeare. Lisandro e Demetrio, diventati Wolf e Georg, mai si domandano infatti perché in Germania si debba essere il «migliore amico» di qualcuno, e non piuttosto due o tre cari amici, con ricadute o riflessi sulle rispettive ragazze. Di qui, una verbosità irrefrenabile, che diventa addirittura molesta, in Der Park , dando al pubblico qualche chance di ammirarne l’attualità, oggi davanti agli occhi degli spettatori, all’Argentina. Giacché il Teatro saprebbe raccontare «vecchie storie» in modo contemporaneo.
…Il degenerare della sessualità a pura merce, o a puro gioco fisico di forze… La perdita di memoria… Il disorientamento delle nuove generazioni… La paura della crisi e della propria fine.. La commercializzazione dell’arte…
…Cuoio, rock, compressi e complessini, bellum omnium contra omnes , aggressività, aggressioni, trasgressività, eroismi futili…
…Atti o fatti graffianti e devastanti, o irrilevanti, insufficienti… Oberon e Titania incapaci di star zitti, in un cespuglio…
Ma si tratta del mondo di oggi, o non piuttosto di costanti antichissime del Teatro , attualmente fra i rumori e i rifiuti di un parco cittadino? E se ci si trova a Berlino negli anni Ottanta, come mai non c’è alcuna menzione del famoso Muro?
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Ma non è forse un pochino troppo impressionistico, il meraviglioso Schubert del mirabile Arcadi Volodos, solista al pianoforte per Santa Cecilia?