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 2015  giugno 07 Domenica calendario

LAUREE INUTILI A TROVARE LAVORO L’ANOMALIA ITALIANA IN UE

Se il mercato segue sempre la stessa regola, quella della domanda e dell’offerta, qualcosa da anni si è rotto nel meccanismo che fa incontrare i laureati italiani con le aziende: circa il 20% delle assunzioni di laureati previste dalle imprese è considerato difficile da reperire per motivi quantitativi (non ce ne sono abbastanza) e qualitativi (non hanno la preparazione adeguata). È solo una delle ombre che si allungano sul panorama dei neolaureati e del loro rapporto con il mondo del lavoro, messo in evidenza dall’ultimo Country focus Ecfin (Economia e affari finanziari) della Commissione europea. Lo studio intreccia i dati del «Sistema informativo per l’occupazione e la formazione» Excelsior di Unioncamere con le statistiche dell’Ocse e di Eurostat. Il risultato è che sul totale degli occupati, in Italia i laureati sono circa il 20% contro il 32% della media europea e il ritorno dell’investimento in educazione universitaria, stimato in termini di differenza di guadagno, è basso: le entrate di un dottore (tra i 25 e i 34 anni) corrispondono al 122% di quelle di un diplomato, contro una media Ocse del 140%. Ma quando trova lavoro all’estero, anche il laureato italiano guadagna di più e fa carriera rapidamente come i colleghi europei. Sul fronte del rapporto occupazione-istruzione l’Italia in Europa si presenta come un outlier , termine che gli statistici usano per indicare un valore anomalo, assai distante da quelli analizzati. E infatti la percentuale di occupati tra i 25 e i 29 anni in Europa cresce con l’aumentare del titolo di studio, mentre in Italia non accade. E anche quando tra i giovani che hanno finito gli studi negli ultimi tre anni, la percentuale di occupati con la laurea è di 16 punti maggiore di chi ha un diploma, resta sempre sotto di 24 punti rispetto alla media Ue a conferma che entrare nel mercato del lavoro è più difficile per i laureati italiani. Il rapporto evidenzia anche le debolezze del nostro sistema universitario, che non riesce a sfornare laureati con le competenze richieste dal mercato né ad assistere i giovani nella scelta della facoltà. E infine i limiti della selezione del personale: tolte le grandi aziende che si affidano a canali ufficiali, le Pmi preferiscono quelli informali (contatto diretto).