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 2015  giugno 06 Sabato calendario

MUORE IN PRIGIONE TAREQ AZIZ FU IL «VOLTO UMANO» DI SADDAM

Tareq Aziz era molto malato, ma pur essendo un uomo di fede, un cristiano caldeo legato alla Chiesa di Roma, voleva morire. Non ne poteva più del carcere, dove era rinchiuso da 12 anni. Al punto che nel 2013 aveva inviato una supplica al Papa per chiedere di potersi affidare al boia e farla finita. Aveva accettato, obbediente, il rifiuto della Santa Sede. È morto ieri in carcere, a Nassiriya, a 79 anni. Soffriva di disturbi cardiocircolatori, di diabete, di insufficienza renale. Più volte, in suo soccorso, vi erano state pressioni, sia dell’Unione Europea che del Vaticano. Il presidente iracheno, il curdo Jalal Talabani si era poi rifiutato di firmare l’ordine di eseguire la sentenza di morte.
Aziz se n’è andato lasciando un vuoto e quel velo di tristezza che circonda tutti coloro che forse hanno servito una causa sbagliata. A noi reporter non era antipatico. Quasi sempre, durante i momenti di crisi più acuta, per esempio dopo l’invasione del Kuwait, durante la prima guerra del Golfo, oppure negli anni che hanno preceduto la guerra fatale del 2003, mostrava il volto duro e il tono sprezzante: prima come ministro dell’Informazione, poi agli Esteri e soprattutto con il delicato incarico di vicepremier. Aveva insomma l’atteggiamento giusto per compiacere il suo capo, il presidente-dittatore Saddam Hussein, di cui era il collaboratore più affidabile. Affidabile perché non ha mai tradito il raìs, ma anche perché non amava frequentarlo nel privato, come altri mandarini dediti alla piaggeria. Aziz, da vero professionista, era in grado di interpretare anche quel ruolo di rappresentante della minoranza cristiana che Saddam, astuto equilibrista, trattava con rispetto. Atteggiamento, quello del dittatore, comune ad altri leader della regione. I cristiani, va ricordato, hanno goduto di posizioni di rilievo in Siria, in Giordania, in Palestina, in Egitto. Il Libano, dove per decenni sono stati la maggioranza relativa della popolazione, è un caso ovviamente a parte.
Tareq Aziz, nato Michael Yuhanna, era arrivato a Bagdad dalla provincia per fare il giornalista. Professione di incerto valore in un regime dittatoriale. Però aveva avuto modo di farsi conoscere tra i quadri del partito Baath. Eccellente uomo-immagine, era stato scelto per mostrare il volto migliore di un regime in realtà impresentabile. Vivendo però lontano dal cerchio magico dello spietato dittatore, Aziz aveva difeso le sue qualità, e anche quel tocco di umorismo che tutti gli riconoscevamo. Una volta litigò aspramente con un collega polacco, ma alla fine scese dal palco, gli strinse la mano e gli offrì un caffè. Il vicepremier, infatti, aveva doti di umanità che molti, nella regione, gli riconoscevano. Quando gli americani attaccarono l’Iraq, nel 2003, e Aziz fu arrestato, i cristiani giordani, palestinesi e anche libanesi firmarono un accorato appello per sostenerlo, evitare che la sentenza di morte fosse eseguita, sperando infine che potesse essere graziato e scarcerato. Ma la furia giustizialista di quella sciagurata guerra non ha mai permesso processi di autentica revisione delle responsabilità.
Non possiamo negare che le immagini di Tareq Aziz che si presenta, in pigiama, al processo contro Saddam, hanno provocato una certa emozione.