Andrea Montanino, Corriere della Sera 6/6/2015, 6 giugno 2015
AD ATENE SERVE UN PIANO A 10 ANNI
La Grecia e la troika hanno trovato il modo per guadagnare tre settimane. L’escamotage è curioso e dà il senso della difficoltà della trattativa: alla metà degli anni 80 lo Zambia, allora un Paese con un regime non democratico, circondato da nazioni alle prese con cruente guerre civili, unificò alcune rate dovute al Fmi. Erano gli anni in cui si usava il telex e i trasferimenti bancari erano ben più complessi di oggi. Usare ora lo stesso metodo, nell’era dell’internet banking, ci dice semplicemente due cose: 1) non c’è accordo e 2) la Grecia non ha più risorse in cassa. Assumiamo per un momento che entro il 30 giugno si raggiunga l’accordo e la Grecia abbia le risorse per far fronte alle scadenze di breve periodo. Bene, il giorno dopo si inizierà a negoziare il successivo programma di aiuti europeo e la successiva tranche del Fmi. La troika e la Grecia si sono messe, sbagliando, nella condizione della trattativa senza soluzione di continuità e non hanno ancora predisposto il terzo programma. Come evidenziato ieri da Francesco Giavazzi su queste colonne, non sono bastati 5 anni a cambiare l’economia greca ed è dunque chiaro che non sarà un altro programma strutturato come i precedenti (massima durata 4 anni e analisi periodiche ogni 3 mesi) che cambierà le cose. Ci sono tre nodi da sciogliere dopo il 30 giugno. Primo, serve un programma a 10 anni, dove la comunità internazionale accompagni per mano i greci verso una profonda trasformazione della propria economia. Un Paese dove il 40 per cento delle esportazioni è rappresentato da materie prime e non da prodotti lavorati ha un business model non adeguato per poter competere tra le economie avanzate del mondo e il suo radicale cambiamento necessiterà anni. Ma un programma a 10 anni non è previsto dalle regole della troika. Secondo, va rivisto il meccanismo delle revisioni ogni tre mesi: meglio un lavoro costante di assistenza tecnica che non crei l’ansia di dimostrare di aver realizzato qualcosa (esiste un Paese in Europa in grado di fare riforme ogni tre mesi?) e una maggiore gradualità negli esami intermedi, con i tempi magari scanditi dai greci piuttosto che dalla troika. Alla fine, è il debitore che ha la pressione delle scadenze di pagamento ed è suo interesse avere i soldi per pagare. Terzo, la questione del debito pregresso: il Fmi può finanziare un programma di aiuti solo se l’analisi tecnica dimostra che il debito è sostenibile, altrimenti chiede una ristrutturazione, come nel caso recente dell’Ucraina. Poiché il debito verso il Fmi non può essere ristrutturato, rimane quello degli europei. Discutere eccessivamente del breve periodo piuttosto che mettere le basi per il medio-lungo periodo è stato forse un errore di cui tutti i protagonisti si sono resi colpevoli.