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 2015  giugno 07 Domenica calendario

CENE PD, SETTE MESI DI SEGRETI

Il 6 novembre a Milano e il giorno dopo a Roma, Matteo Renzi ha radunato a cena 1.500 commensali di fede dem, 1.000 euro a coperto, incasso di 1,5 milioni. Oltre a un tavolo riservato per la cooperativa “29 Giugno” di Salvatore Buzzi, il braccio sinistro di Massimo Carminati, er Cercato di Mafia Capitale, con esattezza non sappiamo niente: chi s’aggirava nei saloni, chi invitava gli amici di amici, chi ha saldato il conto, chi s’è imbucato per apparire. Parola di Renzi: “Non ci facciamo finanziare di nascosto, diciamo chi ci finanza”. Oggi fanno sette mesi: 212 (duecentododici) giorni dagli eventi di Milano e Roma.
Il colmo è che il Nazareno sta per ricevere il rimborso statale per le cene di novembre, sino al 50 per cento di 1,5 milioni di euro. Perché resiste ancora per due anni la legge 96/2012, epoca tecnica di Mario Monti, che integra con una mano pubblica quel che il partito preleva da una mano privata. Per ciascuna donazione ottenuta, lo Stato riversa al partito metà dell’importo: il fondo eroso dal governo di Enrico Letta contiene circa 6,7 milioni di euro che vanno divisi fra una vasta comitiva (escluso il M5S che li rifiuta).
Nel 2014, per esempio, il Nazareno ha beneficiato di un assegno di 3,5 milioni di euro – come riporta la tabella consultabile in Gazzetta Ufficiale – “relativo al 50 per cento delle erogazioni liberali del 2013”. Anche quest’anno la scadenza sarà rispettata e le donazioni riguardano pure le cene dem, inclusi i soldi di Buzzi e compagni: per ogni euro che ha elargito la “29 giugno”, lo Stato offre 50 centesimi.
Il resoconto delle “erogazioni liberali” transita per la Commissione di garanzia presieduta da Luciano Calamaro, un magistrato contabile che assieme a quattro colleghi vigila sui bilanci dei partiti. Questa Commissione, calata dentro le stanze degli impenetrabili palazzi romani, ha una genesi convulsa.
S’è costituita la prima volta un anno e mezzo fa con la conversione del decreto Letta, il testo così acclamato da Renzi che nel 2017 abolisce il finanziamento pubblico, poi s’è fermata per le dimissioni di massa dei cinque membri e da marzo s’è rianimata con Calamaro e un gruppo che lavora senza compensi e dispone di un paio di segretari in prestito da Palazzo Madama. Ai tesorieri, abituati a maneggiare decine di milioni di euro, non piace l’introduzione di una Commissione esterna che valuta rendiconti, donazioni e statuti. Siccome la legge è asfissiante, s’è scovata una maniera per attutire l’impatto.
Il decreto Milleproroghe di dicembre ha diluito di sessanta giorni i tempi d’intervento di Calamaro & C. per consentire ai partiti di mettersi in regola, ma non la scadenza del 10 luglio per comunicare a Camera e Senato la somma che va inoltrata ai tesorieri per le donazioni, una porzione di denaro che si ricava dal vecchio (e ridotto) finanziamento in vigore fino al 2017 e che quest’anno sarà di 46 milioni di euro. In queste settimane, allora, la Commissione deve assecondare due richieste: il 30 giugno (e non più il 30 aprile) va spedita la relazione sui rendiconti 2013; il 10 luglio, appunto, tocca al malloppo donazioni.
Per Calamaro e colleghi non sarà agevole girare il materiale a Laura Boldrini e Pietro Grasso, perché i partiti i bilanci 2013 li hanno trasmessi soltanto un mese fa. E non collaborano con generosità. Il decreto Milleproroghe ha fissato al 15 giugno il termine ultimo per l’invio dei rendiconti 2014, che poi saranno esaminati in autunno. Quanti ne sono pervenuti in Commissione? Zero. Fra toppe e rinvii, la Commissione rincorre se stessa, mentre i partiti spingono la palla sempre più avanti.
Ma sui rimborsi per le donazioni non tollerano slittamenti. Curioso. E anomalo. Come la mancata pubblicazione su internet delle dichiarazioni congiunte per le donazioni da 5.000 euro a salire, nonostante sia un obbligo di legge. Al Nazareno ormai fingono che le cene di novembre siano un ricordo sbiadito e s’appellano al decreto Letta, che se conviene è celebrato con eccessivo entusiasmo: la legge permette di schermare il nome del donatore se la cifra è inferiore ai 5.000 (come da trent’anni) e non supera i 99.999 euro se il denaro è rintracciabile, e questa è la novità.
A inizio anno, per provare l’efficacia del sistema, il Nazareno ha mandato ai funzionari di palazzo Montecitorio le ricevute di pagamento di 15 partecipanti su 1.500 ai bagordi di novembre, in otto chiedevano l’anonimato e la Tesoreria non li ha registrati perché la procedura non era valida. Parola (bis) di Renzi: “Trovo naturale che si organizzino cene in modo trasparente con persone che accettano di dichiarare il proprio contributo.
Ho potuto verificare la demagogia delle accuse di chi dice: ah, lui va a cena per mille euro.
Sono gli stessi che magari un anno fa dicevano: ah, il Pd non ha ancora tolto il finanziamento pubblico. Delle due l’una, amici: o si accetta il finanziamento pubblico o si organizzano iniziative trasparenti e chiare di raccolta fondi. Tutto il resto è demagogia”. Cos’è il resto?
Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 7/6/2015