Vincenzo De Sensi, Il Sole 24 Ore 7/6/2015, 7 giugno 2015
VERSO UN MODELLO UNICO DI SOLUZIONE DELLE CRISI BANCARIE
In vista della realizzazione dell’unione bancaria europea, il legislatore comunitario ha dato vita al meccanismo unico di vigilanza cui si affianca il meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie.
Questa scelta consegue a un’ampia riflessione sulla stabilità del sistema finanziario europeo e costituisce un’applicazione dei cosiddetti Key Attributes elaborati dal Financial Stability Board che individuano standard operativi internazionali nella gestione delle crisi bancarie.
Il frutto di questo processo è la direttiva 2014/59/Ue di armonizzazione minima della disciplina del risanamento e risoluzione delle crisi bancarie applicabile a tutti i Paesi Ue, cui si affianca il regolamento 1024/2013, che istituisce il Single resolution mechanism (Srm), di applicazione ai Paesi aderenti all’euro per le banche di grandi dimensioni e con operatività cross border.
I principi cardine cui si ispira l’Srm sono in sintesi quattro. Il primo è quello di assicurare una gestione ordinata della crisi bancaria in termini tali da evitare effetti destabilizzanti sul sistema finanziario e quindi neutralizzare i possibili contagi derivanti dall’intreccio tra rischi bancari e debiti sovrani. Inoltre, si è affermata l’idea che il costo delle crisi bancarie deve innanzitutto ricadere sugli azionisti e sui creditori senza alcun intervento a carico delle finanze pubbliche.
Si è ritenuto, cioè, di evitare per il futuro che la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite possano creare situazione di moral hazard e di alterazione della concorrenza.
Altro criterio di riferimento è stato quello di prendere atto che la crisi bancaria è un processo di alterazione dell’equilibrio patrimoniale che si manifesta in via progressiva, per cui occorre articolare la gestione della crisi secondo una modulata intensità che passa attraverso la prevenzione, gli interventi precoci e, infine, la vera e propria risoluzione che potrebbe portare alla liquidazione della banca.
Ultimo, e conseguente principio, è stato quello di considerare la prevenzione come un aspetto della governance bancaria cui deve ispirarsi il management aziendale ancor prima che si possano manifestare squilibri patrimoniali.
Ebbene, questo nuovo e complesso framework è probabile che avrà un costo nell’aumento della conflittualità insita nella gestione di ogni crisi bancaria e ciò in ragione del livello di maggiore sofisticatezza degli strumenti che potranno essere utilizzati. Difatti ogni step (prevention, early intervention, resolution a secondo della intensità della crisi bancaria) si articola a sua volta in una serie rilevante di interventi.
Quelli più diffusamente dibattuti, quali la bad bank o la bridge bank, si collocano già in una fase terminale di risoluzione il cui esito è quello della uscita della banca inefficiente dal mercato.
Ma ancor prima di tale esito, l’uso di alcuni strumenti può incidere sulla gestione, sul patrimonio o sul capitale della banca. L’autorità di vigilanza potrebbe ad esempio richiedere la revoca di alcuni amministratori della banca ritenuti responsabili di alterazioni gestionali; oppure la modifica di alcune disposizioni statutarie ritenute non idonee alla stabilità della banca con conseguente esercizio del recesso da parte dei soci dissenzienti. Ed infine, con il bail in, la conversione dei crediti in capitale determina l’esigenza di dare equilibrio alla compagine sociale tra i vecchi ed i nuovi soci nella percezione degli utili futuri.
Questi aspetti, soltanto per citarne alcuni, incrementeranno i costi di transazione perché coinvolgono più soggetti nel conflitto generato dalla crisi e comportano una maggiore complessità del rapporto tra istituzioni e mercato. Sarà forse questo il costo da sopportare per un sistema finanziario più sicuro e stabile.
(Osservatorio Fondazione Bruno Visentini – Ceradi
A cura di Valeria Panzironi)
Vincenzo De Sensi, Il Sole 24 Ore 7/6/2015