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 2015  giugno 07 Domenica calendario

FAMIGLIA COBAIN

DON COBAIN IL PAPÀ
Da bambino era sempre su di giri, andava a cento all’ora. Immagino fosse l’effetto del Ritalin, anche se non ricordo esattamente cosa prendesse all’epoca. Recitava in continuazione. È per questo che era sempre incazzato. Non riusciva a controllarsi. Non era capace di esprimersi. Abbiamo cercato di fare del nostro meglio, ma lui aveva un talento straordinario e quella vena di follia tipica di molti geni. Era più avanti degli altri e seguiva la sua strada. Le persone con molto talento di solito hanno problemi. Quando cominciò a fumare marijuana e assumere altre sostanze, io probabilmente non me ne accorsi, oppure fu Jennifer che non me lo disse. Non ci pensavo nemmeno, non l’avevo mai visto alterato. Sapevo che si stava mettendo nei guai, non era dove avrebbe dovuto essere, non faceva quello che avrebbe dovuto fare, ma non immaginavo che ci fosse di mezzo la droga.
Non ho mai capito il suo gesto. Aveva il mondo in pugno e ha rinunciato a tutto.
WENDY O’CONNOR LA MAMMA
Un giorno sono salita in camera sua per portargli i vestiti lavati e stirati e ho sentito qualcosa scricchiolare sotto il tappeto. Ho vissuto gli anni della rivoluzione hippie, non sono una stupida. L’ho sollevato e ho scoperto che aveva tagliato un’asse del pavimento per nasconderci sotto la pipa e la marijuana. Gettai tutto nell’immondizia e non dissi nulla. Anche lui non disse nulla, ma per una settimana si comportò in modo molto strano con me. Un giorno mi chiamò in ufficio per chiedermi: «Come si fa a sapere quando gli spaghetti sono cotti?» e io gli avevo risposto: «Lanciane uno contro il muro, se resta attaccato è pronto». Quando rientrai, dal soffitto pendeva un’intera confezione di spaghetti! All’inizio rimasi allibita e fui lì lì per arrabbiarmi, poi scoppiai a ridere, pensando a quant’era divertente. Li lasciammo dov’erano, avrebbero dato un tocco personale alla cucina.
Dedicava ore e ore alla scrittura, oltre che a dipingere e a disegnare. Sapevo quando suonava perché lo sentivo dal piano di sotto. Guardava spesso Mtv per vedere le novità. Gli piacevano molto i videoclip. Gli davano nuovi spunti. Una volta mi disse: «Un giorno sarò anch’io su Mtv” ». Non lo presi sul serio.
Non sapevo che avesse provato l’eroina. Quando scoprii che aveva cominciato a farsi ad Aberdeen, rimasi molto sorpresa. Penso l’abbia provata per i suoi problemi di stomaco. Era intollerante al lattosio e mangiava gelati a tutto spiano. Credo l’abbia usata per combattere i dolori. All’epoca era una delle droghe più facilmente reperibili e lui ha voluto provarla. E l’effetto è stato euforico, non si era mai sentito così bene in vita sua.
Una domenica mattina, io sono in bagno. Lui bussa piano alla porta e dice: «Mamma?». «Sì?», rispondo io. «Ho un nastro». Apro la porta e me lo trovo davanti con quel nastro in mano. «Che cos’è?», gli chiedo. «È il master del mio nuovo album», fa lui. «Posso metterlo su?». «Sì, e sparalo forte». Ascolto sempre la musica a volume molto alto. Così continuo a truccarmi e poi a un tratto esclamo: «Porca troia!». Mi precipito fuori dal bagno e mi siedo sul bordo del divano con un sorriso compiaciuto come quello di un gatto che ha appena mangiato il canarino. «Oh, mio Dio! Oh, mio Dio!» urlo, fissandolo negli occhi e picchiettando con un dito sulla sua spalla. «Lo sai cos’hai fatto?», e lui risponde: «Lo dici soltanto perché sei mia madre». Io per poco non scoppio a piangere. Non per la gioia, ma per la paura. «Questo disco cambierà tutto nella musica », dico. «Faresti meglio ad allacciare la cintura, non sei pronto per quello che succederà».
Nel 1991 ricevetti una telefonata da Kurt. Era appena rientrato da Londra. «Ehi, mamma, sono Kurt». Diceva sempre così. Era divertente. «Devo dirti una cosa». «Cosa?». «Sto per sposarmi!», urla lui. «La conosco?», gli chiedo. «No», risponde lui. «Che tipo è?», domando. «Pazza», risponde Kurt. «Davvero? Più pazza di me?». «Oh, sì», dice lui. Poi mi parla un po’ di lei e ho subito l’impressione che quella ragazza mi passerà sopra come un rullo compressore.
Courtney mi telefonava in piena notte: «Kurt è andato in overdose». E poi: «Adesso sta bene». Era orribile. E sapendo che aspettava un figlio, mi si spezzava il cuore. Ogni settimana stava peggio. A volte veniva a casa mia. Per nascondersi, forse. Stava davvero male. Aveva la pelle coperta di piaghe, era dimagrito e faceva ciondolare la testa. Ero sicura che sapesse che l’avevo capito, ma per la prima volta decisi di affrontare direttamente l’argomento. Salii in camera sua, mi sedetti sul bordo del letto e gli chiesi se l’eroina era diventata una dipendenza. Lui scoppiò in lacrime. Si vergognava.
Quando ho visto l’ultima cosa che ha fatto nel 1993, mi si è spezzato il cuore. Era a Seattle, avevano suonato lì perché era troppo conciato per spostarsi. Non riesco a credere che l’abbiano lasciato continuare in quello stato. È la cosa più orribile che abbia mai visto, era fuori di sé, dovevano farlo scendere dal palco. Ho dovuto spegnere il televisore. Non riuscivo a guardarlo. E poi, quattro mesi dopo, è morto. È questa l’industria della musica.
JENNY COBAIN LA MATRIGNA
Kurt cambiò negli anni dell’adolescenza. Diceva che a scuola lo picchiavano e se la prendevano con lui perché era piccolo, eppure io e i suoi amici non ci accorgevamo di nulla. Infatti venne fuori che si inventava tutto e che in realtà il bullo era lui. Scoprire queste dinamiche mi fece aprire gli occhi. Quando venne a vivere da noi, Kurt picchiava mio figlio, lo prendeva a calci nell’inguine, ma lui non diceva mai niente. Quando lo scoprii, ero fuori di me per la rabbia. Era tutto coperto di ematomi. Mi chiesi cosa c’era in lui che non andava.
Era molto sensibile alle critiche. Si sentiva come se gli altri ce l’avessero con lui e si teneva quasi sempre tutto dentro. Non si arrabbiava mai sul serio, non l’ho mai visto esplodere. Assorbiva tutto, ci rimuginava sopra e a volte ne riparlava a distanza di tempo. La sua sensibilità lo faceva soffrire molto.
Kurt stava talmente male che sfogava il suo dolore sulla madre, il padre, i fratelli e le sorelle. Era convinto di non valere nulla perché si sentiva respinto dagli altri. E quando ti senti rifiutato dalla tua famiglia, la vita non deve essere per niente facile. Spedirlo da un centro di riabilitazione all’altro non era servito a niente e lui non voleva smettere. Penso fosse arrivato al punto in cui sapeva che non avrebbe mai smesso. E così, un giorno ha deciso di farla finita.
KIM COBAIN LA SORELLA
La mente di Kurt era sempre in movimento. I suoi pensieri non si fermavano mai. Rimuginava incessantemente. Per qualche ragione Kurt si vergognava di molte cose. Se qualcuno lo zittiva o lo ridicolizzava, ci rimaneva malissimo.
Si faceva le canne, usciva con gli amici e non dava mai una mano in casa. Stava sempre per conto suo. Voleva una vita normale, una vita felice, con mamma, papà e i ragazzi. Ma al tempo stesso la rifiutava e lottava contro quello che voleva veramente.
Trovava belle le cose più disgustose. Era talmente attento ai dettagli, così infatuato dal corpo umano e dal suo funzionamento, che probabilmente sarebbe stato un ottimo chirurgo, se avesse avuto quella passione. Ma penso che sarebbe stato una sorta di dottor Frankenstein, più che un vero medico. Avrebbe voluto trapiantare la testa di un asino sul primo che passava.
Qual è il confine tra genio e follia? Penso che lui stesse proprio su quel confine. E questo gli procurava un senso di alienazione che lo faceva sprofondare nella depressione. Non credo soffrisse di qualche disturbo mentale specifico. Pensava che tutti sarebbero stati meglio senza di lui. Che Courtney si sarebbe disintossicata e Frances avrebbe avuto la sua fantastica madre tutta per sé. Era convinto di essere lui il problema, ma il problema erano le droghe, che controllavano tutto.
COURTNEY LOVE LA MOGLIE
Insieme eravamo perfetti. Due splendide anime in sincronia totale. Ci amavamo alla follia, ognuno di noi poteva finire le frasi dell’altro, quando Kurt parlava, sembrava che dalla sua bocca uscisse polvere di fata, era un’anima bella.
Oh, Dio, sì. Volevamo avere un figlio e avevo concepito Frances a dicembre. Ma il problema non era la gravidanza, era viverla accanto a un drogato, per di più drogata anch’io, sapendo che una volta nato il bambino avrei festeggiato sparandomi una bella dose in vena. La nostra vita era questa. Non so se oggi saremmo ancora sposati, perché non so se saremmo riusciti a liberarci dall’eroina. So che io ce l’avrei fatta.
Il momento in cui l’ho visto più felice nel suo ruolo di rockstar — poco prima della morte, con guardia del corpo e limousine, attorniato da altre band, strisce di coca e modelle — fu all’Hollywood Rock Festival di Rio. Se l’era spassata alla grande a Rio. Se l’era spassata perché si sentiva una rockstar. Ho cercato di convincerlo a fare sesso a tre. Ma lui non voleva, diceva che era troppo monogamo. Gli avevo proposto: «Facciamolo in tre. Lei è una modella. Perché non vuoi? Sei una rockstar, non puoi tirarti indietro. E poi io non sono nemmeno lesbica». Ma non c’era stato niente da fare. Non l’ho mai tradito, ma una volta, a Londra, ci è mancato poco. Avrei potuto farlo e lui prese sessantasette Rohypnol e finì in coma perché avevo pensato di tradirlo. Una reazione totalmente psicotica.
Era molto innamorato di sua figlia e credeva veramente che suicidandosi le avrebbe reso la vita più facile. L’ultima riga della lettera che ha lasciato prima del suicidio dice: «Andrà meglio senza di me». È stato un gioco al massacro. Un massacro durato vent’anni.
Un incubo.
la Repubblica 7/6/2015