Enrico Currò, la Repubblica 7/6/2015, 7 giugno 2015
PABLO DANA: “CENE, SOLDI E L’AIUTO DI CANNAVARO COME È NATA L’INTESA TRA SILVIO E TAECHAUBOL”
MILANO.
Il banchiere Pablo Dana, 48 anni, ferrarese trapiantato a Dubai, una lunga carriera nel mondo della finanza e un’esperienza in Fininvest con Publitalia negli anni Novanta, è stato l’artefice del passaggio del Milan di Berlusconi in mani orientali: la trattativa che consegnerà metà del Milan alla cordata del broker thailandese Bee Taechaubol.
Dana, può raccontare com’è andata?
«Fabio Cannavaro, mio socio in GLS, la Lega che organizza partite tra leggende del calcio in Asia, mi ha chiesto uno sponsor. Il mio importante cliente Bee Taechaubol ha finanziato il primo evento a Bangkok, un grande successo. Di fronte al suo entusiasmo per il calcio, Cannavaro gli ha buttato lì: perché non compri il Napoli? Ma lui sapeva che in vendita c’era il Milan. Così siamo andati dritti da Berlusconi, senza filtri. E’ stato il segreto della trattativa».
In che senso?
«A dicembre, quando lui e Berlusconi si sono guardati negli occhi, si è capito subito che avrebbero lavorato insieme. Ma nella prima cena, divertentissima, non si è parlato di Milan».
L’offerta indecente è di gennaio.
«Bee è stato molto deciso. Se offro 100-200 milioni di euro per il Milan, lei mi prenderà per uno sciocco. Se gliene offro 400, qualcuno rilancerà. Allora io le dico che il Milan, valorizzato sul mercato asiatico, per me vale un miliardo».
Valutazione folle: la rivista Forbes lo quota meno di 700.
«Contano la strategia futura e le potenzialità straordinarie del marchio, non i parametri del bilancio».
Qual è il vostro piano?
«L’espansione su un mercato enorme e non sfruttato, a partire da Cina, Vietnam, Giappone, Thailandia, Cambogia. L’utilizzo del marchio per carte di credito, locali dove guardare le partite, bevande e profumi è solo uno dei tanti possibili canali di sviluppo. Berlusconi e Fininvest hanno capito subito quanto valga commercialmente l’Asia. Ci sono stati anche momenti di stallo e a un certo punto Berlusconi è stato tentato di rilanciare il Milan da solo. Ma non appena lui e Bee si parlavano, si ricreava l’alchimia».
I cinesi sono stati concorrenti temibili?
«C’è un po’ di confusione. Bee è di origine cinese, anche se ha il passaporto tailandese e australiano. E GLS ha creato la più grande accademia del mondo proprio col governo cinese: insegnerà calcio per i prossimi 8 anni a 260 milioni di studenti dai 7 ai 17 anni».
E la quotazione in Borsa?
«E’ prevista entro luglio-settembre 2016, a Hong Kong o a Singapore. Prima, vorremmo aprire all’azionariato pubblico, dei tifosi: definirlo popolare è improprio».
Ma perché accontentarsi della minoranza?
«L’interesse di Bee, con la sua cordata garantita da banche e investitori forti, è ottenere successi concreti, non fare parole. Le decisioni verranno prese con Fininvest. E se la strategia di sviluppo si rivelerà corretta, la nostra posizione si rafforzerà nel tempo».
E perché mettere tanti soldi lasciando comandare Berlusconi padre e figlia e Galliani?
«Bee è un investitore, non farà mai passerella in tribuna. Il Milan è italiano e lo deve restare. In questi mesi ho alimentato la rete dei tifosi milanisti nel mondo. Io sono italiano e rappresento il ponte tra l’Asia e Milanello. Il Milan è un prodotto italiano doc, come la moda. Un prodotto da assaporare: lo dico da membro della consulta nazionale dell’Accademia italiana della Cucina».
Avrà incarichi nel futuro Cda?
«Questo non lo so. Rappresento Bee, conosco bene l’Italia e il mondo Fininvest. L’obiettivo non è rivoluzionare, ma aggiungere competenze e internazionalizzare».
Il fondo Doyen di Nelio Lucas, criticato dal presidente dell’Uefa Platini, ricostruirà la squadra?
«Lucas è una risorsa: mette a disposizione la sua capacità di consigliare e individuare grandi calciatori. Si è appena incontrato a Berlino con Galliani».
Per il mercato servono almeno 120 milioni.
«La cifra non la so, ma Berlusconi non è fesso: non può continuare a buttare soldi a fondo perduto. Se ha accettato di fare un passo così enorme, è perché gli abbiamo fatto tornare fiducia ed entusiasmo».
Uno scenario troppo idilliaco: la squadra è senza coppe europee, il club in profondo rosso.
«Verremo giudicati dai fatti e soprattutto dai tifosi. Il nostro slogan è: il Milan è dei suoi tifosi».
Enrico Currò, la Repubblica 7/6/2015