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 2015  giugno 07 Domenica calendario

IL DECANO ODEVAINE VENAFRO E GLI ALTRI COSÌ IL BRACCIO DESTRO INGUAIA ANCHE IL CAPO

Fra le tante e varie dolorose attrazioni, il cupo luna park di Mafia capitale regala agli osservatori della domenica la sagra dei bracci destri inguaiati — diranno poi i giudici se per conto dei loro molteplici referenti e numeri uno.
A parte l’ormai celebre Odevaine, che ha svolto questo ruolo prima con Veltroni e poi con Zingaretti, la seconda puntata dell’inchiesta enumera altre misconosciute figurette germogliate nell’ultimo quindicennio, più o meno, di Roma vaccina, che vuol dire vacca, tanto per restare fedeli all’arcaica vocazione pastorale dell’Urbe.
La lista di questi bracci destri, militanti pressoché ignoti del piccolo grande potere capitolino, si apre con Maurizio Venafro, l’ex capo gabinetto di Zingaretti in Regione — si è chiamato fuori due mesi orsono perché sotto accusa per turbativa d’asta — che trattava con Gramazio jr un posto della commissione aggiudicatrice di un maxi appalto della regione.
C’é poi Franco Figurelli, capo della segreteria di Mirko Coratti, già presidente dell’assemblea consiliare in Campidoglio e dimessosi in quanto indagato. Figurelli è stato arrestato perché sempre secondo le accuse avrebbe preso soldi per intermediare tra Buzzi-Carminati e appunto Coratti, ma il suo nome rischia di entrare negli annales perché é proprio con lui che il capo delle cooperative s’intratteneva a proposito della metafora tra Roma e la mucca — e lo sventurato rispose accettando l’infausto percorso semantico.
Si passa quindi a Calogero Nucera, capo segreteria di Francesco D’Ausilio, ex capogruppo del Pd, citatissimo nelle intercettazioni sebbene non indagato, il quale si è dovuto fare da parte perché “colpevole” di aver a suo tempo commissionato un sondaggio, dall’esito a occhio piuttosto ragionevole, da cui veniva fuori che Marino non era esattamente apprezzato dalla cittadinanza.
Quanto alla cerchia dell’attuale sindaco — mentre del suo predecessore, ossia di Alemanno, si ricorda una inesausta girandola di collaboratori, segretari e capi di gabinetto — nelle pagine dell’inchiesta entra anche, sia pure senza essere indagato, Mattia Stella. Questi, s’immagina anche in qualità di capo della segreteria di Marino, andava a cena con Buzzi, che in amicizia lo riaccompagnava pure a casa. Al momento risulta ancora in forza nello staff del primo cittadino, per quanto oggi si possa capire quanto la sua situazione desti imbarazzo — parola d’altra parte piuttosto inadeguata se si considera il livello di vivida spudoratezza che emerge dai colloqui in cui questi personaggi di raccordo cercano di dare un senso alla loro indispensabile e tuttavia, per forza di cose, anche ambigua funzione.
Il potere infatti è cosa spesso sporchetta, ma chi sta in alto, assiso su troni di maggiore o minore importanza, deve in ogni caso risultare candido come un giglio di campo. Se ne deduce che chi sta immediatamente sotto, e conosce dal vivo il gioco rischioso dei segreti, dei sacrifici, delle complicità e delle contraffazioni, per non dire della Grande Menzogna, è comunque nelle migliori condizioni per «sporcarsi le mani», che peraltro a Roma, nel mondo di mezzo, si dicono «le mano».
Il braccio destro, in effetti, termina con le dita (vulgo mafia capitale: ”i diti»), appendice prensile per eccellenza, come magnificamente spiegato da Elias Canetti in «Massa e potere» (Adelphi, 1983), e come tale da rubricarsi all’insegna di un autentico strumento di potere, e non solo. E’ dunque faccenda quasi più primordiale che antica. Senza riferirsi necessariamente al Paleolitico basti pensare che già nell’anno 1968 uno dei più grandi imitatori della storia televisiva italiana, Alighiero Noschese, raffigurava l’allora «braccio destro» per antonomasia, Franco Evangelisti, luogotenente andreottiano, come condannato alla cleptomania. Immobile e sull’attenti, con lo sguardo naturalmente sbilenco e perso nel vuoto, in preda a una sorta di trance il finto Evangelisti pescava senza requie nelle altrui tasche, e a volte addirittura con l’altra mano, la sinistra, tentava di fermare la destra per impedirle un così concitato e prolungato saccheggio.
Il pubblico ingenuamente si divertiva, forse anche Andreotti e magari lo stesso Evangelisti, di lì a a una dozzina d’anni destinato a una drammatica e ridicola ammissione sui finanziamenti richiesti e graziosamente elargiti dal palazzinaro di turno: «A’ Fra’, che te serve?».
Sennonché, per integrare la dinamica, si segnala anche il rischio che la figura del braccio destro reca da sempre in dote al mondo del potere, giacché qualsiasi investigatore che si rispetti sa che una volta inguaiato, l’uomo di fiducia ha come formidabile via d’uscita quella di inguaiare a sua volta il suo capo. Di questo possibile passaggio, con implicito sgravio di responsabilità penali, le inchieste di Mani Pulite offrono diversi casi di scuola. Ma considerato il valore archetipico assegnato al personaggio di Evangelisti, è bene sapere che negli ultimi suoi giorni, dopo una vita spesa a incensare e a coprire il Divo, egli a sorpresa si chiamò fuori da quella parte, e ormai molto malato in qualche modo diede l’anima a Dio e ad Andreotti le gravi colpe — maneggi intorno al memoriale di Moro — che riteneva fossero di Andreotti.
In tempi più recenti e più leggeri, ma non per questo molto meno dissennati, le vicende anche giudiziarie di Marco Milanese, braccio destro e addetto alla logistica del ministro Tremonti, e di Claudia Minutillo, significativamente detta «Lady Hermes», a suo tempo braccio/a destro/a del ministro Galan in laguna (Mose e dintorni), ecco, paiono confermare il paradigma che riequilibra e a volte ribalta per tanti fiduciari il ruolo di sanguisuga, parafulmine e cavallo di Caligola. Quest’ultimo animale, del resto, promosso a un ruolo di grande rilievo per le sue vittorie alle corse, aveva nome «Incitatus». Ora, l’incitamento proveniva senza dubbio dalle folle, ma senza dubbio fra le mille grida contava quella dell’imperatore.
A Roma come al solito tutto è già accaduto, il guaio semmai è che seguita ad accadere.
Filippo Ceccarelli, la Repubblica 7/6/2015