www.repubblica.it 7/6/2015, 7 giugno 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - LE ELEZIONI IN TURCHIA
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[Esplora il significato del termine: I primi dati infrangono i sogni di Recep Tayyip Erdogan di trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale, cosa che, secondo molti, l’avrebbe portata a una sorta di regime autoritario. A sbarrare il passo al presidente turco è stato Selahattin Demartis, il leader dell’Hdp, il partito filocurdo che è riuscito nell’ incredibile impresa di superare la soglia del 10% e sbarcare in Parlamento con 79 deputati. Mentre scriviamo sono state scrutinate già il 90% delle schede. Secondo questi risultati l’Akp otterrebbe il 40,50% contro il quasi 46% del 2011 e avrebbe in Parlamento solo la maggioranza relativa di 254 deputati su 550, ben 71 in meno rispetto all’assetto attuale. Per la prima volta dal 2002 il partito filoislamico non sarà in grado di formare un governo monocolore. Erdogan aveva trasformato queste elezioni in un referendum sulla riforma presidenziale. E il popolo sembra essersi espresso. Anche se un fatto rimane certo: il Partito islamico rimane comunque di gran lunga la prima formazione politica. I nazionalisti Le urne decretano anche un grosso successo per i nazionalisti di Devlet Bahceli che passano al 16,70% con 85 seggi. Il che permetterebbe all’Akp di formare una coalizione con l’Mhp per le future riforme costituzionali. Un risultato che metterebbe i curdi in un angolo nonostante la vittoria. Bahceli si è già detto disposto a venire incontro a Erdogan ma di certo tra le sue richieste non ci sarà una mano tesa verso la minoranza curda. Modesta l’affermazione dei kemalisti del Chp che rimarrebbe sostanzialmente fermo al 25% con 132 seggi, confermandosi però la seconda forza del Paese. «La democrazia ha vinto. Guardando il quadro in questo momento non sembra possibile un governo di un singolo partito. È chiaro che ci sarà un governo di coalizione» ha detto domenica sera il segretario generale del Chp, Gursel Tekin, commentando i primi risultati delle elezioni. I festeggiamenti Domenica a Diyarbakir, la capitale della Turchia curda, la gente è scesa in piazza per celebrare un successo che rischia di avere un sapore amaro. I curdi, infatti, hanno aumentato del 35% i loro consensi grazie all’intelligente politica del loro leader , il giovane Selhattin Demartis ma il successo dei nazionalisti potrebbe significare una politica contraria alle aspettative delle minoranze. «Siamo felici di entrare in parlamento con 80 deputati» ha detto nella prima dichiarazione post elettorale il deputato del partito filo-curdo Hdp, Sirri Sureyya Onder. l’uomo simbolo della protesta di Gezi Park. Fu lui, infatti, tra i primi a mettersi in piedi davanti alle ruspe che stavano per abbattere gli alberi nel maggio del 2013. «Ci aspettavamo circa il 12% o 13% dei voti. Ed è andata come previsto. Siamo felici dei risultati» è la dichiarazione entusiasta del leader del partito filocurdo Hdp, Selahattin Demirtas. Davutoglu si dimetterà? «La decisione della nazione è la migliore decisione. Non preoccupatevi. Non ci inchineremo mai ad alcun potere» è stato il breve commento del premier turco Ahmet Davutoglu ma tutti ora si chiedono se terrà fede alla dichiarazione di qualche giorno fa: «Se l’8 giugno non saremo in grado di formare un governo monocolore mi dimetterò» aveva detto. La delusione nelle file dell’Akp è evidente. Il vicepremier Bulent Arinç ha dichiarato: «Sono molto triste per questo risultato elettorale». Gli incidenti Le elezioni si sono svolte in un clima teso, nel timore di nuove violenze dopo l’attentato che venerdì sera ha colpito un comizio del partito curdo Hdp a Diyarbakir (un sospettato nel frattempo è stato fermato). Circa 400mila agenti sono in servizio in tutto il paese. Domenica mattina si è verificato qualche piccolo incidente. Secondo quanto riferisce l’agenzia Dogan, nella provincia sudorientale di Sanliurfa 15 persone sono rimaste ferite in uno scontro nei pressi di un seggio elettorale in cui sarebbero stati branditi anche pistole e coltelli. Oltre 100mila sono invece i cittadini mobilitati per controllare le operazioni di spoglio alla luce dei forti timori di brogli emersi in questi giorni. «Lavorerò fino al mattino per assicurarmi che le misure di sicurezza funzionino», ha detto dopo aver votato il ministro uscente dell’Energia Taner Yildiz, che lo scorso anno attribuì all’ingresso di un gatto in una centralina elettrica il blackout in 22 province durante lo spoglio del voto amministrativo. Alta affluenza Secondo il presidente Erdogan, che ha espresso il suo voto in un seggio di Uskudar, sulla sponda asiatica di Istanbul, l’alta affluenza è «l’indicazione di una democrazia forte. Andare a elezioni regolari e non anticipate è un segnale di stabilità». Il premier uscente Ahmet Davutoglu ha votato domenica mattina nella sua città natale Konya, nell’Anatolia centrale, annunciando subito dopo il fermo di un sospetto per l’attentato che venerdì pomeriggio ha colpito il comizio del partito filo-curdo Hdp a Diyarbakir. Il candidato premier dell’Hdp Selahattin Demirtas ha invece votato nel quartiere asiatico di Sultanbeyli a Istanbul. «Qualunque sarà il risultato, nessuno dovrebbe perdere la speranza. Vogliamo che queste elezioni preparino il terreno per una nuova costituzione che garantisca che nessuno si senta escluso», ha detto Demirtas, la cui performance sarà decisiva: se l’Hdp supererà per la prima volta la soglia di sbarramento del 10%, il partito Akp di Erdogan potrebbe anche perdere la maggioranza assoluta. L’umore degli elettori Fuori dai seggi, durate la giornata elettorale, la Reuters ha raccolto l’umore degli elettori. «Sono certo che l’Hdp supererà la soglia di sbarramento - ha detto Bahar Haram, 25 anni, assistente sociale a Diyarbakir, nella zona curda -, la mia unica preoccupazione sono i brogli elettorali. . Per Haram l’obiettivo principale è mettere fine al conflitto tra Ankara e i ribelli del Pkk e la presenza dell’Hdp in Parlamento sarebbe fondamentale a questo scopo. Diverso l’atteggiamento in Anatolia. “Ho votato per l’Akp e per Davutoglu - ha detto Ekrem Bal , 59 anni - perché è un uomo onesto e un bravo musulmano, prega cinque volte al giorno ed è di Konya come noi». Ma questa volta l’Akp rischia di perdere i voti dei laici, spaventati dall’insistenza sui valori religiosi, e quelli di chi considera troppo concilianti i toni usati con i curdi. «Sono preoccupato - ha detto Tahsin Karaman, 45 anni, metronotte a Istanbul - , non voglio che l’Hdp entri in Parlamento perché ha legami con i terroristi del Pkk. Per questo questa volta ho votato per i nazionalisti dell’Mhp e non per l’Akp». 7 giugno 2015 | 15:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA ] I primi dati infrangono i sogni di Recep Tayyip Erdogan di trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale, cosa che, secondo molti, l’avrebbe portata a una sorta di regime autoritario. A sbarrare il passo al presidente turco è stato Selahattin Demartis, il leader dell’Hdp, il partito filocurdo che è riuscito nell’ incredibile impresa di superare la soglia del 10% e sbarcare in Parlamento con 79 deputati. Mentre scriviamo sono state scrutinate già il 90% delle schede. Secondo questi risultati l’Akp otterrebbe il 40,50% contro il quasi 46% del 2011 e avrebbe in Parlamento solo la maggioranza relativa di 254 deputati su 550, ben 71 in meno rispetto all’assetto attuale. Per la prima volta dal 2002 il partito filoislamico non sarà in grado di formare un governo monocolore. Erdogan aveva trasformato queste elezioni in un referendum sulla riforma presidenziale. E il popolo sembra essersi espresso. Anche se un fatto rimane certo: il Partito islamico rimane comunque di gran lunga la prima formazione politica.
I nazionalisti
Le urne decretano anche un grosso successo per i nazionalisti di Devlet Bahceli che passano al 16,70% con 85 seggi. Il che permetterebbe all’Akp di formare una coalizione con l’Mhp per le future riforme costituzionali. Un risultato che metterebbe i curdi in un angolo nonostante la vittoria. Bahceli si è già detto disposto a venire incontro a Erdogan ma di certo tra le sue richieste non ci sarà una mano tesa verso la minoranza curda. Modesta l’affermazione dei kemalisti del Chp che rimarrebbe sostanzialmente fermo al 25% con 132 seggi, confermandosi però la seconda forza del Paese. «La democrazia ha vinto. Guardando il quadro in questo momento non sembra possibile un governo di un singolo partito. È chiaro che ci sarà un governo di coalizione» ha detto domenica sera il segretario generale del Chp, Gursel Tekin, commentando i primi risultati delle elezioni.
I festeggiamenti
Domenica a Diyarbakir, la capitale della Turchia curda, la gente è scesa in piazza per celebrare un successo che rischia di avere un sapore amaro. I curdi, infatti, hanno aumentato del 35% i loro consensi grazie all’intelligente politica del loro leader , il giovane Selhattin Demartis ma il successo dei nazionalisti potrebbe significare una politica contraria alle aspettative delle minoranze. «Siamo felici di entrare in parlamento con 80 deputati» ha detto nella prima dichiarazione post elettorale il deputato del partito filo-curdo Hdp, Sirri Sureyya Onder. l’uomo simbolo della protesta di Gezi Park. Fu lui, infatti, tra i primi a mettersi in piedi davanti alle ruspe che stavano per abbattere gli alberi nel maggio del 2013. «Ci aspettavamo circa il 12% o 13% dei voti. Ed è andata come previsto. Siamo felici dei risultati» è la dichiarazione entusiasta del leader del partito filocurdo Hdp, Selahattin Demirtas.
Davutoglu si dimetterà?
«La decisione della nazione è la migliore decisione. Non preoccupatevi. Non ci inchineremo mai ad alcun potere» è stato il breve commento del premier turco Ahmet Davutoglu ma tutti ora si chiedono se terrà fede alla dichiarazione di qualche giorno fa: «Se l’8 giugno non saremo in grado di formare un governo monocolore mi dimetterò» aveva detto. La delusione nelle file dell’Akp è evidente. Il vicepremier Bulent Arinç ha dichiarato: «Sono molto triste per questo risultato elettorale».
Gli incidenti
Le elezioni si sono svolte in un clima teso, nel timore di nuove violenze dopo l’attentato che venerdì sera ha colpito un comizio del partito curdo Hdp a Diyarbakir (un sospettato nel frattempo è stato fermato). Circa 400mila agenti sono in servizio in tutto il paese. Domenica mattina si è verificato qualche piccolo incidente. Secondo quanto riferisce l’agenzia Dogan, nella provincia sudorientale di Sanliurfa 15 persone sono rimaste ferite in uno scontro nei pressi di un seggio elettorale in cui sarebbero stati branditi anche pistole e coltelli. Oltre 100mila sono invece i cittadini mobilitati per controllare le operazioni di spoglio alla luce dei forti timori di brogli emersi in questi giorni. «Lavorerò fino al mattino per assicurarmi che le misure di sicurezza funzionino», ha detto dopo aver votato il ministro uscente dell’Energia Taner Yildiz, che lo scorso anno attribuì all’ingresso di un gatto in una centralina elettrica il blackout in 22 province durante lo spoglio del voto amministrativo.
Alta affluenza
Secondo il presidente Erdogan, che ha espresso il suo voto in un seggio di Uskudar, sulla sponda asiatica di Istanbul, l’alta affluenza è «l’indicazione di una democrazia forte. Andare a elezioni regolari e non anticipate è un segnale di stabilità». Il premier uscente Ahmet Davutoglu ha votato domenica mattina nella sua città natale Konya, nell’Anatolia centrale, annunciando subito dopo il fermo di un sospetto per l’attentato che venerdì pomeriggio ha colpito il comizio del partito filo-curdo Hdp a Diyarbakir. Il candidato premier dell’Hdp Selahattin Demirtas ha invece votato nel quartiere asiatico di Sultanbeyli a Istanbul. «Qualunque sarà il risultato, nessuno dovrebbe perdere la speranza. Vogliamo che queste elezioni preparino il terreno per una nuova costituzione che garantisca che nessuno si senta escluso», ha detto Demirtas, la cui performance sarà decisiva: se l’Hdp supererà per la prima volta la soglia di sbarramento del 10%, il partito Akp di Erdogan potrebbe anche perdere la maggioranza assoluta.
L’umore degli elettori
Fuori dai seggi, durate la giornata elettorale, la Reuters ha raccolto l’umore degli elettori. «Sono certo che l’Hdp supererà la soglia di sbarramento - ha detto Bahar Haram, 25 anni, assistente sociale a Diyarbakir, nella zona curda -, la mia unica preoccupazione sono i brogli elettorali. . Per Haram l’obiettivo principale è mettere fine al conflitto tra Ankara e i ribelli del Pkk e la presenza dell’Hdp in Parlamento sarebbe fondamentale a questo scopo. Diverso l’atteggiamento in Anatolia. “Ho votato per l’Akp e per Davutoglu - ha detto Ekrem Bal , 59 anni - perché è un uomo onesto e un bravo musulmano, prega cinque volte al giorno ed è di Konya come noi».
Ma questa volta l’Akp rischia di perdere i voti dei laici, spaventati dall’insistenza sui valori religiosi, e quelli di chi considera troppo concilianti i toni usati con i curdi. «Sono preoccupato - ha detto Tahsin Karaman, 45 anni, metronotte a Istanbul - , non voglio che l’Hdp entri in Parlamento perché ha legami con i terroristi del Pkk. Per questo questa volta ho votato per i nazionalisti dell’Mhp e non per l’Akp».
7 giugno 2015 | 15:31
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REPUBBLICA.IT
ISTANBUL - Per la prima volta dopo 13 anni il partito conservatore del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, l’Akp, perde la maggioranza assoluta. Sfuma così, almeno per il momento l’idea dell’uomo forte’ alla guida della Turchia di dare vita a una repubblica presidenziale. L’Akp è in testa, ma si profila un governo di minoranza. Mentre il partito di sinistra curdo dell’Hdp, che si presentava per la prima volta, ha superato la soglia del 10% e potrà entrare in parlamento. Non sarebbe escluso il possibile ricorso alle elezioni anticipate. Lo ha affermato una fonte anonima del partito del presidente. Secondo gli ultimi dati dalle televisione pubblica Trt con l’80% delle schede scrutinate l’Akp avrebbe ottenuto il 43% dei voti, il Chp il 24,6%, il Mhp il 17% e i filo curdi dell’Hdp l’11%. I dati ultimi di Cnn Turk vedono l’Akp al 42,27% pari a 262 seggi e l’Hdp all’11,57% con 77 seggi in Parlamento.
"La decisione della nazione è la migliore decisione. Non preoccupatevi. Non ci inchineremo mai ad alcun potere", ha detto il premier turco, Ahmet Davutoglu, ringraziando i sostenitori del partito Akp.
L’appuntamento elettorale rappresentava un referendum sul presidente Erdogan che aveva chiesto un voto massiccio per il suo partito di ispirazione islamica Akp al potere dal 2002, per poter riformare la Costituzione e creare una repubblica presidenziale. Si è votato in 81 province per eleggere i 550 membri del Parlamento unicamerale. La maggioranza assoluta si ottiene con 276 seggi (la metà dei deputati più uno). Chiamati alle urne sono stati 53 milioni 765mila turchi, più i 2 milioni e 867mila 658 registrati all’estero e distribuiti in 54 Paesi. Un totale di 20 partiti, a cui si aggiungono 166 candidati indipendenti, si sono battuti per 550 seggi dell’emiciclo per formare la 25esima legislatura dalla nascita della Repubblica nel 1923.
REPORTAGE Alto rischio brogli: la società civile si organizza. I curdi sfidano soglia 10%
La vigilia del voto è stata macchiata dalla violenza, con 4 morti per una bomba al comizio di un partito filo-curdo. Ora sembra escluso che Erdogan possa raggiungere il suo obiettivo di creare un presidenzialismo forte con un aumento dei poteri della polizia a discapito della magistratura e un giro di vite sui media, su Internet e sulla stessa Banca centrale, vista l’irritazione del presidente turco per il taglio dei tassi d’interesse lo scorso inverno.
Per garantire la correttezza delle operazioni sono al lavoro oltre 50mila volontari neutrali, oltre agli osservatori dei partiti e alle delegazioni del Parlamento e dell’Osce. Dopo l’accesa campagna elettorale, è probabile che l’affluenza alle urne superi o eguagli quella delle elezioni generali del 2011, quando fu dell’87%, o quella del voto locale dello scorso anno, che toccò quota 89%. I conteggi dei voti, anche se inizieranno subito dopo la chiusura delle urne, potrebbero andare avanti tutta la notte.
ISTANBUL - Seggi aperti in Turchia per le elezioni politiche che rappresentano un referendum sul presidente Recep Tayyip Erdogan che ha chiesto un voto massiccio per il suo partito di ispirazione islamica Akp al potere dal 2002, per poter riformare la Costituzione e creare una repubblica presidenziale. Si vota in 81 province per eleggere i 550 membri del Parlamento unicamerale. La maggioranza assoluta si ottiene con 276 seggi (la metà dei deputati più uno). Chiamati alle urne sono 53 milioni 765mila turchi, più i 2 milioni e 867mila 658 registrati all’estero e distribuiti in 54 Paesi.
REPORTAGE Alto rischio brogli: la società civile si organizza. I curdi sfidano soglia 10%
I seggi nei 194mila collegi elettorali rimarranno aperti fino alle 17, le 16 ora italiana. La vigilia è stata macchiata dalla violenza, con 4 morti per una bomba al comizio di un partito filo-curdo. Un trionfo di Erdogan aprirebbe la strada a un presidenzialismo forte con un aumento dei poteri della polizia a discapito della magistratura e un giro di vite sui media, su Internet e sulla stessa Banca centrale, vista l’irritazione del presidente turco per il taglio dei tassi d’interesse lo scorso inverno.
Per la prima volta dalla sua salita al potere, il partito per la Giustizia e lo sviluppo (Akp) del presidente Recep Tayyip Erdogan non è sicuro di riuscire a conquistare la maggioranza assoluta. Si presenta invece per la prima volta il partito di sinistra Hdp, guidato da Selahattin Demartis, nato dal movimento curdo. Soglia di sbarramento per entrare in Parlamento è del 10 per cento.
Un totale di 20 partiti, a cui si aggiungono 166 candidati indipendenti, si battono per 550 seggi dell’emiciclo per formare la 25esima legislatura dalla nascita della Repubblica nel 1923. Ma solo quattro formazioni hanno concrete possibilità di entrare in Parlamento. Oltre all’Akp, che ora ha 312 deputati, ci sono il partito popolare repubblicano Chp, formazione di centrosinistra, kemalista e socialdemocratica, la nazionalista Mhp e, se riuscirà a superare lo sbarramento, anche l’Hdp.
Per garantire la correttezza delle operazioni sono al lavoro oltre 50mila volontari neutrali, oltre agli osservatori dei partiti e alle delegazioni del Parlamento e dell’Osce. Dopo l’accesa campagna elettorale, è probabile che l’affluenza alle urne superi o eguagli quella delle elezioni generali del 2011, quando fu dell’87%, o quella del voto locale dello scorso anno, che toccò quota 89%. I conteggi dei voti, anche se inizieranno subito dopo la chiusura delle urne, potrebbero andare avanti tutta la notte.
REPUBBLICA.IT DI IERI
ISTANBUL - Domani, 7 giugno, i turchi andranno alle urne per rinnovare il loro Parlamento. E la vigilia è stata macchiata dalla violenza, con 4 morti per una bomba al comizio del partito curdo. Si vota in 81 province per eleggere i 550 membri del Parlamento unicamerale. La maggioranza assoluta si ottiene con 276 seggi (la metà dei deputati più uno). In realtà, i 53 milioni 765mila di cittadini con diritto di voto, più i 2 milioni e 867mila 658 turchi registrati all’estero e distribuiti in 54 Paesi, sono chiamati a prendere una decisione molto più importante, cruciale per la qualità della democrazia, delle relazioni internazionali e della stessa vita quotidiana. Perché ai turchi il presidente Recep Tayyip Erdogan chiede di votare in modo massiccio il suo partito, Akp, di ispirazione islamica, al governo dal 2002. Traendone l’investitura popolare con cui superare ogni resistenza e apportare sostanziali modifiche alla Costituzione. Modifiche che farebbero virare la Turchia verso un presidenzialismo molto forte, caratterizzato da una magistratura azzoppata, da apparati di polizia rafforzati, dall’ulteriore accanimento della censura su internet e limitazione della libertà di stampa. Persino da una "libertà vigilata" per la Banca Centrale, dopo l’irritazione di Erdogan per il taglio dei tassi d’interesse lo scorso inverno.
Turchia: donne di spalle a Erdogan, protesta sui social network
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Intenzioni di cui Erdogan ha disseminato innumerevoli indizi e non da oggi, non dalle vicende di cronaca che stanno accendendo gli ultimi giorni della campagna elettorale. Senza contare l’evidente disegno di arginare le rivendicazioni della parte femminile della società turca e asfaltare chi si oppone, 100 anni dopo la secolarizzazione di Kemal Ataturk, al ritorno a una Turchia permeata di Islam, a cominciare dalle scuole (solo lo scorso febbraio, la Corte europea dei diritti umani ha confermato in appello la bocciatura dei corsi di Islam obbligatori imposti nelle scuole dal governo dell’Akp). Una piramide al cui vertice Erdogan vedrebbe sempre e solo se stesso, alimentando il culto della sua personalità anche con progetti architettonici faraonici su cui opposizione e magistratura hanno acceso i riflettori. Ed è evidente che una Turchia solo in apparenza ancora democratica e non più istituzionalmente laica, pur membro Nato, si allontanerebbe, probabilmente in modo definitivo, dalla Ue dopo aver coltivato il sogno dell’adesione all’Unione.
La reggia di Erdogan: luce (400milioni al mese), 1200 stanze, 250 milioni di euro per le vetrate...La Turchia si indigna
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Erdogan ha difeso il suo trasferimento nel nuovo, lussuoso e molto controverso palazzo di Ankara, spiegando questa volta che la precedente residenza era infestata dagli scarafaggi. "Quando ho assunto il mio incarico (di primo ministro), il bagno era pieno di scarafaggi. Quello è un posto adatto ad accogliere il primo ministro della Turchia?" ha chiesto Erdogan durante un’intervista trasmessa venerdì sera dal canale televisivo a Haber, "ci accogliereste un ospite? che cosa accadrebbe se questo ospite raccontasse ciò che ha visto?".
Ora Erdogan punta a raccogliere alle urne un consenso tale da garantire una maggioranza dei due terzi dei seggi in Parlamento per l’Akp, in modo da poter cambiare la Costituzione senza dover ricorrere a un referendum. Piani che potrebbero essere scombinati dall’esito delle urne, ed è questo il perché queste politiche sono il vero referendum. I turchi sembrano orientati a dire "no" alla nuova Turchia di Erdogan: nonostante nell’ultimo mese l’emittente pubblica turca Trt abbia offerto l’80% del suo spazio elettorale al presidente e al suo candidato premier, Ahmet Davutoglu, i sondaggi attribuiscono all’Akp un consenso tra il 40-44%, in calo netto rispetto al 49,9% delle politiche del 2011 che gli garantirono 311 seggi. Quanto alle altre formazioni presenti in Parlamento, il partito repubblicano del popolo (Chp, kemalista orientato a sinistra) risulta tra il 23 e il 30%, il partito di azione nazionalista (Mhp, estrema destra) tra il 14-18%. Ma sull’attribuzione dei seggi sarà decisivo il "fattore" Hdp, il partito filocurdo che per la prima volta si presenta unito, e non come collezione di "indipendenti", e punta a superare la soglia di sbarramento del 10% dei voti: se ci riuscisse, otterrebbe almeno 50 seggi (contro gli attuali 29) e l’obiettivo di Erdogan sarebbe decisamente fuori portata, in caso contrario quei seggi sarebbero assegnati all’Akp. I sondaggi per ora lasciano la partita aperta: l’Hdp godrebbe di un consenso tra il 9,5 e l’11,5%.
Alla vigilia di un voto così carico di valenze e scenari, l’atmosfera in Turchia è estremamente tesa. Mentre afferma di essere "imparziale e dalla parte del popolo", Erdogan definisce il leader dell’Hdp, Selahattin Demirtas "un intrattenitore da bar". Poi accusa il Chp di essere un alleato del movimento dell’imam Fethullah Gülen, capo della confraternita islamica Hizmet, ex-alleato di Erdogan e oggi suo acerrimo nemico che risiede da anni in Pennsylvania, accusato dal presidente di essere l’architetto della "Tangentopoli del Bosforo", esplosa nel dicembre 2013 con il coinvolgimento di numerose personalità vicine al partito islamico Akp. E ancora, Erdogan inveisce contro i 200 intellettuali firmatari dell’appello che chiede al presidente di comportarsi in linea con la Costituzione. E continua a minacciare i giornalisti.
L’ultimo, violentissimo attacco quello portato al quotidiano d’opposizione Cumhuriyet, con il corollario della richiesta di ergastolo per il suo direttore, Can Dundar, accusato di alto tradimento per aver pubblicato le foto di camion dei servizi segreti turchi carichi di armi destinate ai ribelli islamisti siriani. Ma Cumhuriyet non molla e rilancia accusando i servizi segreti (Mit) di agevolare l’ingresso di jihadisti in Siria, pubblicando foto che immortalerebbero, il 9 gennaio 2014, gli 007 turchi di scorta a un gruppo di jihadisti nel tragitto tra un campo profughi di Atme alla città frontaliera di Reyhanli, da dove i miliziani sarebbero stati accompagnati al valico di Tal Abyad ed entrati in Siria a bordo di due bus noleggiati proprio dal Mit. Giusto anche ricordare che lo scorso gennaio, il precedente direttore di Cumhuriyet, Utku Cakirozer, era stato licenziato: ufficialmente per "divergenze" con il cda, più credibile che il direttore abbia pagato il fatto che il suo giornale sia stato l’unico in Turchia a riprodurre le vignette dei disegnatori di Charlie Hebdo sopravvissuti alla strage di Parigi. Se i media non demordono, anche gli intellettuali, tra cui il Nobel Orhan Pamuk, non indietreggiano di un centimetro e restano al fianco dei giornalisti a sostegno della stampa libera.
Istanbul: migliaia in piazza per chiedere giustizia su Gezi Park
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Vista l’importanza dell’eventuale superamento della soglia elettorale da parte dell’Hdp, il leader del partito curdo Selahattin Demirtas ha lanciato un appello agli elettori perché durante lo spoglio delle schede presidino i seggi nel timore di brogli da parte dei "ladri di voti". Con loro, a vigilare, ci saranno anche decine di migliaia di volontari delle tante ong ed associazioni nate dopo le manifestazioni a difesa di Gezi Park represse con la forza, indimenticata ulteriore cartina di tornasole delle ambizioni autoritaristiche di Erdogan. E che inducono a diffidare. Una recente indagine della università Koç di Istanbul ha indicato che il 43% degli elettori teme scorrettezze nel processo elettorale. E si torna a parlare di gatti. Perché molti interpellati hanno ricordato l’interruzione della corrente registrata contemporaneamente in 35 province durante lo spoglio delle amministrative del 30 marzo 2014. Black out che il ministro dell’Energia, Taner Yildiz, attribuì all’intrusione di un "gatto in un trasformatore. Mentre torna a farsi sentire l’odiatissima (da Erdogan) "gola profonda" Fuat Avni (pseudonimo dietro il quale si nasconderebbe, secondo la stampa turca, una personalità molto vicina al presidente) con una nuova "predizione": l’Akp avrebbe formato una squadra di 3.500 persone incaricata di truccare il risultato del voto introducendo nelle urne 3,5 milioni di schede false.
I BROGLI
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ANKARA - Le elezioni di oggi in Turchia sono state definite le più importanti nella storia recente del paese. Per assicurarne la regolarità, in un clima di crescente sfiducia nelle istituzioni aggravata dagli episodi di violenza che hanno caratterizzato la campagna elettorale, migliaia di volontari si sono organizzati per controllare le operazioni di voto in ogni seggio. Le elezioni amministrative dell’anno scorso furono caratterizzate da un’ondata di blackout durante lo spoglio dei voti nelle province dove l’AKP di Erdogan era più debole, attribuita dal ministro dell’Energia a un gatto infilatosi in un trasformatore.
Nella capitale Ankara, amministrata da venti anni da un sindaco a dir poco controverso, il conteggio nei quartieri antigovernativi fu fermato per ore, con scene di assedi ai seggi e rappresentanti dei partiti di opposizione fotografati addormentati sulle urne per prevenire furti delle schede. E mai come quest’anno ogni voto conterà: per la prima volta dal 2002 il partito di Erdogan rischia di perdere la maggioranza assoluta, e forse addirittura di non poter formare un governo da solo.
La causa, paradossalmente, è lo sbarramento elettorale del 10%, un retaggio del colpo di stato del 1980. La giunta militare al potere lo impose per evitare l’ingresso in parlamento dei partiti curdi e di quelli islamisti: al contrario, il risultato fu di compattare l’arcipelago dei partiti religiosi, mentre i curdi candidatisi come indipendenti riuscivano a vincere nei loro collegi per formare poi un gruppo unico in Parlamento.
Questa volta però l’uomo nuovo dei curdi, Selahattin Demirtas, ha rivoluzionato la politica di quello che era il partito filocurdo (anzi, nella delicata definizione turca, "il partito concentrato sulla soluzione della questione curda") di cui è co-presidente con una donna, Figen Yüksekdag, trasformandolo in un "Partito dei Diritti" di Sinistra su base nazionale, non più solo etnica. L’HDP, il Partito Democratico Popolare, si sta giocando il tutto per tutto presentando i suoi candidati non più come indipendenti nei rispettivi collegi ma come lista di un partito, obbligato a superare la soglia del 10%, la più alta del mondo.
A causa del complicato sistema elettorale turco, se l’HDP entrasse in Parlamento prenderebbe un numero di seggi tale da minare la maggioranza dell’AKP, affossando i progetti presidenzialisti di Erdogan, che vuole un sistema presidenziale privo dei contrappesi caratteristici di una democrazia..
La posta in gioco è quindi altissima e potrebbe essere l’inizio della fine del dominio sempre più autoritario del presidente islamista. Il nervosismo all’interno dell’AKP, già non entusiasta dell’assolutismo di Erdogan, è sempre più evidente. Un sondaggio pubblicato a maggio dalla prestigiosa Università Koç ha rivelato che solo il 48% dei Turchi crede che le elezioni saranno corrette, contro il 70% del 2007.
La società civile, risorta con le proteste di Gezi, si è mobilitata per garantirne lo svolgimento regolare. La ONG Oy ve Ötesi (Voto e Oltre) ha dispiegato migliaia di volontari a Istanbul e in altre città come osservatori ai seggi, istruiti sulle regole elettorali e sulle possibile irregolarità. Nella capitale Ankara, una delle città cruciali delle elezioni, Voto e Oltre era debole ma è stata affiancata da un gruppo organizzato di semplici cittadini, che erano stati testimoni del caos alle amministrative. Si chiama Ankara’nin Oylari, I Voti di Ankara, e fa capo ad un pugno di persone di varia estrazione ma normalmente estranee alla politica, che hanno reclutato centinaia di volontari per presidiare la maggior parte dei seggi di Ankara e della provincia.
"Per legge, chiunque può assistere allo spoglio dei voti", spiega l’avvocato Mehmet Gülerman, uno dei fondatori del gruppo "Ma solo gli osservatori dei partiti politici possono avere un ruolo ufficiale. Abbiamo chiesto quindi aiuto a tutti i partiti, senza distinzione, tranne all’AKP che ovviamente sostiene che osservatori indipendenti siano superflui".
Altre organizzazioni assisteranno i volontari. L’Ordine degli Avvocati della Turchia offre assistenza legale, e ha a sua volta invitato gli elettori a segnalare ogni irregolarità a cui dovessero assistere.
Elezioni Turchia, la società civile si organizza per combattere i brogli
Un seggio di Ankara (foto di Piero Castellano)
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Anche l’Ordine dei Medici di Ankara e il prestigioso TMMOB, Ordine degli Ingegneri e degli Architetti, sostengono i volontari ai seggi. Entrambi, per motivi diversi, attirarono l’ira di Erdogan durante le proteste di Gezi: i medici volontari che curarono i dimostranti feriti furono denunciati e perseguiti, mentre il TMMOB aveva bloccato il progetto di rinnovamento urbano che prevedeva la distruzione di Gezi Park.
Il dopo Gezi fu un momento catartico per la società civile, in cui i cittadini cercarono di focalizzare l’impegno civico. Ma alle elezioni amministrative di Ankara del marzo 2014 Mehmet Gülerman e gli altri fondatori dei "Voti di Ankara" si resero conto dell’importanza del loro impegno.
"Avevamo assistito alle irregolarità ai seggi e nei documenti ufficiali, e le avevamo segnalate. Ma quando i due principali partiti di opposizione, che presentavano un candidato unitario, poterono fare ricorso solo grazie al nostro rapporto, ci rendemmo conto di quanto fosse importante il nostro lavoro, e decidemmo di fare di più."
Anche se "Voto e Oltre" spera di poter portare 70.000 volontari nei seggi di almeno 65 province, l’avvocato Gülerman è cauto e non vuole dare numeri esatti. "C’è un grande entusiasmo tra le persone che chiedono di aiutare, ma non possiamo prevedere numeri esatti: sono studenti, impiegati, gente che lavora o ha famiglia. Speriamo che tutti quelli che hanno ricevuto il nostro addestramento e l’accredito di osservatori dei partiti possano venire effettivamente ai seggi."
Burcu Akçaru, traduttrice e insegnante di Inglese, è nel team che si occupa di istruire e selezionare i volontari e ha meno problemi a fare numeri. Ha trascorso il sabato prima delle elezioni a dare presentazioni multimediali e rispondere alle domande dei volontari, e assicura che l’85% dei seggi di Ankara sarà monitorato dagli osservatori, in totale circa 4800 persone. Nella sua presentazione, mostra ai volontari i momenti critici del voto, dove occorre fare attenzione: dalla corretta identificazione dell’elettore al sigillo sulla busta del conteggio del seggio.
Elezioni Turchia, la società civile si organizza per combattere i brogli
La presentazione di Burcu Akçaru ai volontari (foto di Piero Castellano)
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"Molti temono che con la complicità di presidenti di seggio alcuni elettori possano votare più volte. E’ fondamentale controllare ogni documento di identità." Alle amministrative di Ankara, in alcuni seggi la percentuale di votanti, riportata senza battere ciglio sui documenti ufficiali, fu di molto superiore al 100%.
Un altro pericolo è la sostituzione delle schede. In passato sono stati ritrovati sacchi di schede non conteggiate nella spazzatura, evidentemente sostituite con altre. Ci sono state polemiche nei giorni scorsi sul numero di schede fatte stampare dalla YSK, la Commissione Elettorale Suprema: 74 milioni, per 56 milioni di elettori.
Molti sospettano che i blackout dell’anno scorso servissero a nascondere le sostituzioni delle schede, e Burcu nella sua presentazione raccomanda che ogni osservatore, nel suo kit, porti una torcia elettrica con batterie di scorta, oltre a snack e acqua per non doversi allontanare dal seggio, cellulare carico e fotocamera per documentare quello che succede. I blackout possono avere un effetto ben più grave sulla fase successiva del conteggio dei voti, l’inserimento nel sistema elettronico della YSK. Se i dati vengono manipolati da chi ha il controllo del sistema, non è possibile impedirlo. "Ma è possibile confrontare i voti contati effettivamente nel seggio con quelli riportati dal sistema elettronico: se il conteggio viene effettivamente controllato è impossibile nascondere la discrepanza. Per questo il lavoro degli osservatori è fondamentale."
Elezioni Turchia, la società civile si organizza per combattere i brogli
Un seggio di Ankara (foto di Piero Castellano)
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L’anno scorso, grazie a queste discrepanze, il candidato a sindaco di Ankara dell’ opposizione potè presentare un ricorso estremamente dettagliato alla Commissione Elettorale. Ma la YSK è accusata di essere guidata da uomini vicini a Erdogan: il ricorso, di centinaia di pagine, fu respinto in soli 8 minuti.
PEZZO DELLA STAMPA DI STAMATTINA
MARTA OTTAVIANI
«Vatan bölmez», la Patria è indivisibile. Lo si legge ovunque negli sterminati territori del Sud-Est turco a maggioranza curda. Un monito al terrorismo separatista del Pkk, che attenta allo Stato fondato da Mustafa Kemal Ataturk, laico nei principi e indivisibile dal punto di vista etnico e linguistico. Peccato che oggi la Turchia vada al voto, nelle elezioni più incerte e nervose degli ultimi 13 anni, e che della nazione laica e indivisibile sognata negli Anni 30 sia rimasto ben poco, sotto tutti gli aspetti.
La deriva autoritaria
La deriva autoritaria del Presidente Recep Tayyip Erdogan sta assumendo sempre di più una chiara connotazione religiosa. E Diyarbakir, la capitale morale del Kurdistan turco, sembra avere già scelto che strada prendere. Camminando per le sue vie, fatte di povertà e sogni interrotti, edifici grigi e bandiere con i colori cangianti dei curdi, si arriva alla Ferzan Kemangir Ilkokul, il luogo della rinascita e della speranza, che non poteva essere altro se non una scuola, per la precisione, l’unica del Paese dove si insegna solamente in kurmanji, uno dei dialetti più parlati dalla minoranza curda, circa 15 milioni di persone, che da decenni lotta per vedere riconosciuta la sua identità etnica e culturale.
Sulla carta, è un istituto illegale, che ospita circa 100 bambini di età compresa fra 5 e 6 anni. Il presidente Erdogan ha cercato di farlo chiudere almeno quattro volte, ma per il momento, l’unico risultato che è riuscito a ottenere è stato quello di calamitare sulla struttura la solidarietà della popolazione, non solo quella curda. «Sono venuti qui con idranti e lacrimogeni - spiega Muhazes Filiz, una delle insegnanti -. Non hanno avuto pietà nemmeno dei bambini. Noi vogliamo solo vivere in pace con i turchi e poter studiare la nostra lingua madre». Loro, i bambini, non hanno dubbi sul futuro, ti accarezzano il viso e fanno il segno di vittoria, perché per loro il Kurdistan c’è già.
I malumori nel partito
Non per il presidente Erdogan, pronto a fare il pieno di voti, nonostante la campagna elettorale più violenta degli ultimi 15 anni e sulla quale pesano i quattro morti nelle esplosioni a Diyarbakir di due giorni fa. L’obiettivo è quello di un governo monocolore, in grado di cambiare da solo la costituzione. Il sogno del leader islamico sempre meno moderato, che però comincia a creare non pochi malumori anche nel suo partito, da tempo commissariato. Pur di coronarlo, Erdogan è pronto anche a un’alleanza con i nazionalisti del Mhp, il che vorrebbe dire la fine del processo di pace con i curdi.
«Erdogan ci dovrà ascoltare per forza – spiega Birsel Kaya, capo dell’Hdp, il partito curdo, a Diyarbakir –. Questa volta è cambiato tutto, abbiamo una consapevolezza politica compiuta e il popolo dalla nostra. Faremo valere i nostri diritti in Parlamento o nelle piazze». Diyarbakir o Amed, come la chiamano i curdi, si presenta a testa alta a un voto chiave per capire anche chi controlla un corridoio strategico verso la Siria. Dove quel «Vatan bölmez», che domina la placida valle del Tigri, fa sempre più l’effetto di una bandiera dai colori stinti.
«Vatan bölmez», la Patria è indivisibile. Lo si legge ovunque negli sterminati territori del Sud-Est turco a maggioranza curda. Un monito al terrorismo separatista del Pkk, che attenta allo Stato fondato da Mustafa Kemal Ataturk, laico nei principi e indivisibile dal punto di vista etnico e linguistico. Peccato che oggi la Turchia vada al voto, nelle elezioni più incerte e nervose degli ultimi 13 anni, e che della nazione laica e indivisibile sognata negli Anni 30 sia rimasto ben poco, sotto tutti gli aspetti.
La deriva autoritaria
La deriva autoritaria del Presidente Recep Tayyip Erdogan sta assumendo sempre di più una chiara connotazione religiosa. E Diyarbakir, la capitale morale del Kurdistan turco, sembra avere già scelto che strada prendere. Camminando per le sue vie, fatte di povertà e sogni interrotti, edifici grigi e bandiere con i colori cangianti dei curdi, si arriva alla Ferzan Kemangir Ilkokul, il luogo della rinascita e della speranza, che non poteva essere altro se non una scuola, per la precisione, l’unica del Paese dove si insegna solamente in kurmanji, uno dei dialetti più parlati dalla minoranza curda, circa 15 milioni di persone, che da decenni lotta per vedere riconosciuta la sua identità etnica e culturale.
Sulla carta, è un istituto illegale, che ospita circa 100 bambini di età compresa fra 5 e 6 anni. Il presidente Erdogan ha cercato di farlo chiudere almeno quattro volte, ma per il momento, l’unico risultato che è riuscito a ottenere è stato quello di calamitare sulla struttura la solidarietà della popolazione, non solo quella curda. «Sono venuti qui con idranti e lacrimogeni - spiega Muhazes Filiz, una delle insegnanti -. Non hanno avuto pietà nemmeno dei bambini. Noi vogliamo solo vivere in pace con i turchi e poter studiare la nostra lingua madre». Loro, i bambini, non hanno dubbi sul futuro, ti accarezzano il viso e fanno il segno di vittoria, perché per loro il Kurdistan c’è già.
I malumori nel partito
Non per il presidente Erdogan, pronto a fare il pieno di voti, nonostante la campagna elettorale più violenta degli ultimi 15 anni e sulla quale pesano i quattro morti nelle esplosioni a Diyarbakir di due giorni fa. L’obiettivo è quello di un governo monocolore, in grado di cambiare da solo la costituzione. Il sogno del leader islamico sempre meno moderato, che però comincia a creare non pochi malumori anche nel suo partito, da tempo commissariato. Pur di coronarlo, Erdogan è pronto anche a un’alleanza con i nazionalisti del Mhp, il che vorrebbe dire la fine del processo di pace con i curdi.
«Erdogan ci dovrà ascoltare per forza – spiega Birsel Kaya, capo dell’Hdp, il partito curdo, a Diyarbakir –. Questa volta è cambiato tutto, abbiamo una consapevolezza politica compiuta e il popolo dalla nostra. Faremo valere i nostri diritti in Parlamento o nelle piazze». Diyarbakir o Amed, come la chiamano i curdi, si presenta a testa alta a un voto chiave per capire anche chi controlla un corridoio strategico verso la Siria. Dove quel «Vatan bölmez», che domina la placida valle del Tigri, fa sempre più l’effetto di una bandiera dai colori stinti.
«Vatan bölmez», la Patria è indivisibile. Lo si legge ovunque negli sterminati territori del Sud-Est turco a maggioranza curda. Un monito al terrorismo separatista del Pkk, che attenta allo Stato fondato da Mustafa Kemal Ataturk, laico nei principi e indivisibile dal punto di vista etnico e linguistico. Peccato che oggi la Turchia vada al voto, nelle elezioni più incerte e nervose degli ultimi 13 anni, e che della nazione laica e indivisibile sognata negli Anni 30 sia rimasto ben poco, sotto tutti gli aspetti.
La deriva autoritaria
La deriva autoritaria del Presidente Recep Tayyip Erdogan sta assumendo sempre di più una chiara connotazione religiosa. E Diyarbakir, la capitale morale del Kurdistan turco, sembra avere già scelto che strada prendere. Camminando per le sue vie, fatte di povertà e sogni interrotti, edifici grigi e bandiere con i colori cangianti dei curdi, si arriva alla Ferzan Kemangir Ilkokul, il luogo della rinascita e della speranza, che non poteva essere altro se non una scuola, per la precisione, l’unica del Paese dove si insegna solamente in kurmanji, uno dei dialetti più parlati dalla minoranza curda, circa 15 milioni di persone, che da decenni lotta per vedere riconosciuta la sua identità etnica e culturale.
Sulla carta, è un istituto illegale, che ospita circa 100 bambini di età compresa fra 5 e 6 anni. Il presidente Erdogan ha cercato di farlo chiudere almeno quattro volte, ma per il momento, l’unico risultato che è riuscito a ottenere è stato quello di calamitare sulla struttura la solidarietà della popolazione, non solo quella curda. «Sono venuti qui con idranti e lacrimogeni - spiega Muhazes Filiz, una delle insegnanti -. Non hanno avuto pietà nemmeno dei bambini. Noi vogliamo solo vivere in pace con i turchi e poter studiare la nostra lingua madre». Loro, i bambini, non hanno dubbi sul futuro, ti accarezzano il viso e fanno il segno di vittoria, perché per loro il Kurdistan c’è già.
I malumori nel partito
Non per il presidente Erdogan, pronto a fare il pieno di voti, nonostante la campagna elettorale più violenta degli ultimi 15 anni e sulla quale pesano i quattro morti nelle esplosioni a Diyarbakir di due giorni fa. L’obiettivo è quello di un governo monocolore, in grado di cambiare da solo la costituzione. Il sogno del leader islamico sempre meno moderato, che però comincia a creare non pochi malumori anche nel suo partito, da tempo commissariato. Pur di coronarlo, Erdogan è pronto anche a un’alleanza con i nazionalisti del Mhp, il che vorrebbe dire la fine del processo di pace con i curdi.
«Erdogan ci dovrà ascoltare per forza – spiega Birsel Kaya, capo dell’Hdp, il partito curdo, a Diyarbakir –. Questa volta è cambiato tutto, abbiamo una consapevolezza politica compiuta e il popolo dalla nostra. Faremo valere i nostri diritti in Parlamento o nelle piazze». Diyarbakir o Amed, come la chiamano i curdi, si presenta a testa alta a un voto chiave per capire anche chi controlla un corridoio strategico verso la Siria. Dove quel «Vatan bölmez», che domina la placida valle del Tigri, fa sempre più l’effetto di una bandiera dai colori stinti.
«Vatan bölmez», la Patria è indivisibile. Lo si legge ovunque negli sterminati territori del Sud-Est turco a maggioranza curda. Un monito al terrorismo separatista del Pkk, che attenta allo Stato fondato da Mustafa Kemal Ataturk, laico nei principi e indivisibile dal punto di vista etnico e linguistico. Peccato che oggi la Turchia vada al voto, nelle elezioni più incerte e nervose degli ultimi 13 anni, e che della nazione laica e indivisibile sognata negli Anni 30 sia rimasto ben poco, sotto tutti gli aspetti.
La deriva autoritaria
La deriva autoritaria del Presidente Recep Tayyip Erdogan sta assumendo sempre di più una chiara connotazione religiosa. E Diyarbakir, la capitale morale del Kurdistan turco, sembra avere già scelto che strada prendere. Camminando per le sue vie, fatte di povertà e sogni interrotti, edifici grigi e bandiere con i colori cangianti dei curdi, si arriva alla Ferzan Kemangir Ilkokul, il luogo della rinascita e della speranza, che non poteva essere altro se non una scuola, per la precisione, l’unica del Paese dove si insegna solamente in kurmanji, uno dei dialetti più parlati dalla minoranza curda, circa 15 milioni di persone, che da decenni lotta per vedere riconosciuta la sua identità etnica e culturale.
Sulla carta, è un istituto illegale, che ospita circa 100 bambini di età compresa fra 5 e 6 anni. Il presidente Erdogan ha cercato di farlo chiudere almeno quattro volte, ma per il momento, l’unico risultato che è riuscito a ottenere è stato quello di calamitare sulla struttura la solidarietà della popolazione, non solo quella curda. «Sono venuti qui con idranti e lacrimogeni - spiega Muhazes Filiz, una delle insegnanti -. Non hanno avuto pietà nemmeno dei bambini. Noi vogliamo solo vivere in pace con i turchi e poter studiare la nostra lingua madre». Loro, i bambini, non hanno dubbi sul futuro, ti accarezzano il viso e fanno il segno di vittoria, perché per loro il Kurdistan c’è già.
I malumori nel partito
Non per il presidente Erdogan, pronto a fare il pieno di voti, nonostante la campagna elettorale più violenta degli ultimi 15 anni e sulla quale pesano i quattro morti nelle esplosioni a Diyarbakir di due giorni fa. L’obiettivo è quello di un governo monocolore, in grado di cambiare da solo la costituzione. Il sogno del leader islamico sempre meno moderato, che però comincia a creare non pochi malumori anche nel suo partito, da tempo commissariato. Pur di coronarlo, Erdogan è pronto anche a un’alleanza con i nazionalisti del Mhp, il che vorrebbe dire la fine del processo di pace con i curdi.
«Erdogan ci dovrà ascoltare per forza – spiega Birsel Kaya, capo dell’Hdp, il partito curdo, a Diyarbakir –. Questa volta è cambiato tutto, abbiamo una consapevolezza politica compiuta e il popolo dalla nostra. Faremo valere i nostri diritti in Parlamento o nelle piazze». Diyarbakir o Amed, come la chiamano i curdi, si presenta a testa alta a un voto chiave per capire anche chi controlla un corridoio strategico verso la Siria. Dove quel «Vatan bölmez», che domina la placida valle del Tigri, fa sempre più l’effetto di una bandiera dai colori stinti.
(OZAN KOSE /AFP) - In piazza Una donna mostra una foto di Selahattin Demirtas, leader dell’Hdp, il partito curdo che secondo i sondaggi potrebbe conquistare abbastanza voti per entrare in parlamento
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PEZZO DEL CORRIERE
ELISABETTA ROSASPINA
DALLA NOSTRA INVIATA ISTANBUL Sarà la matematica a decidere il futuro della Turchia, domani. E un mezzo punto percentuale di scarto nelle urne basterà a fare da spartiacque tra la nascita di una repubblica presidenziale, con a capo il «sultano» Recep Tayyip Erdogan, e il tramonto del partito di governo, l’Akp (Partito Giustizia e Sviluppo), costretto, dopo 13 anni di sovranità assoluta, a venire a patti con le opposizioni.
A rompere le uova nel paniere di Erdogan potrebbe essere un partito filocurdo che, finora, non ha mai nemmeno superato l’(alta) soglia di sbarramento per l’ingresso nell’Assemblea nazionale turca: il 10%.
Ma da quando il presidente ha manifestato l’intenzione di cambiare la Costituzione per tornare a tutti gli effetti l’incontrastato capo dell’esecutivo, Selahattin Demirtas, carismatico leader dell’Hdp (Partito Democratico dei Popoli) sembra essere l’unico in grado di fermarlo.
Già sfidante di Erdogan alle Presidenziali dell’anno scorso, Demirtas aveva totalizzato un modesto 9,7% di consensi, contro il 52% che ha determinato il trionfo del «sultano» e la sua determinazione a diventare il nuovo padre fondatore della Turchia, oscurando il mito di Mustafa Kemal Atatürk. Tra meno di due anni, prima ancora della fine del suo mandato presidenziale, Erdogan avrà battuto Atatürk e anche il successore, Ismet Inönü, quanto a durata al potere. Questa sfida è cruciale.
I numeri, dunque: l’Akp di Erdogan ha bisogno di 367 seggi parlamentari su 550 per realizzare la sua riforma costituzionale senza chiedere il benestare a nessuno. Risultato improbabile. Con 37 parlamentari in meno, ossia 330 su 550, l’Akp può varare la modifica costituzionale ma deve sottoporla a referendum popolare. I sondaggi dicono che oltre il 70% dei turchi voterebbe «no». Con 276 seggi, l’Akp può ricostituire il governo monocolore che regge la Turchia da 13 anni, ma nettamente indebolito. Un solo deputato in meno in aula e avrà bisogno di appoggi esterni per legiferare. Uno scenario catastrofico per un partito che dovrebbe esultare alla prospettiva di incassare non meno del 40% dei voti domani. Troppo poco.
Per accattivarsi quel 10% — o poco più — di elettorato che sembra avergli voltato le spalle, Erdogan non ha esitato a fare campagna elettorale, pur essendo il capo dello Stato e quindi formalmente al di sopra delle parti. Ha fatto leva sullo spirito patriottico e nazionalista: attenzione, c’è un complotto della stampa estera, New York Times e Guardian in testa, dei gay e degli armeni contro la Turchia.
A Demirtas, un 42enne che ha saputo calamitare in questi mesi le simpatie non solo curde e delle fasce deboli, come femministe e omosessuali, ma anche della sinistra giovanile, dei reduci di Gezi Park e di molti kemalisti, i sondaggi attribuiscono un risultato che oscilla tra il 9 e il 12%. Sotto il 10%, per la legge elettorale turca, i 50 seggi in cui spera l’Hdp finiranno all’avversario. Ma, anche se più robusti, i repubblicani del Chp e i nazionalisti dell’Mhp, non preoccupano l’Akp quanto l’ascesa del piccolo partito emergente. Tra il 23 marzo e il 19 maggio, secondo il rapporto dell’Associazione per i diritti umani turca, sedi e uffici dell’Hdp hanno subito 114 attacchi. Venerdì, al meeting finale del partito, a Diyarbakir, un attentato ha fatto due morti e un centinaio di feriti.
Oggi 56 milioni di turchi voteranno seguendo impulsi diversi: la paura dell’instabilità politica e di un peggioramento della situazione economica, il timore di una svolta ancora più autoritaria se l’Akp ottenesse i due terzi delle preferenze, la vertigine di potenziare un partito in grado, sì, di arginare i sogni di grandezza di Erdogan, ma anche pericolosamente affratellato alla causa curda.
Non a caso, rimbalza sui social network una foto di Demirtas ventenne nella divisa grigioverde del Pkk, l’organizzazione terrorista che, in trent’anni di guerriglia, ha provocato 40 mila vittime. A decidere il futuro della Turchia può essere oggi mezzo punto percentuale. O la paura.
INTERVISTA DI ROSASPINA
DALLA NOSTRA INVIATA ISTANBUL La campagna elettorale si è conclusa nel sangue, con un attentato al comizio finale del partito filocurdo che tanto preoccupa Erdogan. Sospetti?
«Non si sa chi ci sia dietro, ma penso che lo scopo fosse di screditare l’Hdp, provocando una sommossa. Per fortuna Demirtas e gli altri vertici presenti sono riusciti a imporre la calma ai loro militanti. Ottima mossa», approva Ahmet Insel, docente all’Università Galatasaray di Istanbul, vice presidente dell’Università Paris-1-PantHèon Sorbonne, a Parigi, e autore del libro, appena pubblicato in Francia, «La nuova Turchia di Erdogan. Dal sogno democratico alla deriva autoritaria» (edizioni La Découverte).
Queste elezioni non le sembrano un referendum su Erdogan?
«Sì, o anche il secondo turno delle Presidenziali dell’anno scorso. Ma il primo responsabile è proprio Erdogan. Il 40% dei voti, che altrove sarebbe un trionfo per qualsiasi partito, qui si trasformerebbe per lui in una sconfitta, perché si è dato un obiettivo troppo alto. Inoltre c’è una parte del suo stesso partito che non vuole un regime presidenziale».
Rischio brogli?
«La società civile è mobilizzata contro possibili frodi, i seggi sono presidiati. Contro incursioni di hacker, si farà ricorso a 4 server all’estero. Se l’Hdp raggiunge il 12%, per ridurre il risultato di due punti occorrerebbe modificare un milione di voti: difficile. Se arriva al 10,5%, basterebbe levargliene 150 o 200 mila. Possibile».
Qual è il suo risultato ideale?
«Una vittoria stretta dell’Akp, diciamo con 276 seggi, l’indispensabile per formare il governo senza alibi per indire elezioni anticipate. Ma senza poter fare tutto quel che vuole come prima. Così il governo dovrebbe negoziare con le opposizioni. E sarebbe la soluzione più sana».
E. Ro.
COMMENTO DI ANTONIO FERRARTI
M ai e poi mai avremmo immaginato che un voto politico, in Turchia, sarebbe diventato una scelta fatale per tutti. Per il gigante musulmano, che per anni è stato la nostra sicura frontiera verso Est e verso Sud. Per l’Ue, che aveva voluto avviare il cammino per accogliere Ankara nel club di Bruxelles. Per l’Italia, che ha mille aziende ben radicate in Turchia. Per il mondo arabo e i suoi moderati, che specchiavano nelle acque del Bosforo le speranze di un salutare contagio democratico. Pareva anche di aver trovato l’«uomo della provvidenza» nel grintoso e carismatico Erdogan, che in poco più di dieci anni ha rivoltato il suo Paese, nutrendolo con una crescita invidiabile, portando al potere chi ne era sempre stato escluso (l’Anatolia profonda) e diventando la bandiera del cambiamento contro quel fondamentalismo laico che aveva condizionato per decenni la vita della Repubblica. E’ vero però, come la storia insegna, che bisogna diffidare di chi viene presentato come «uomo della provvidenza». Fu chiamato così persino Mussolini. Il problema è che oggi, in Turchia, non si decide solo il domani ma il futuro. Erdogan, che da almeno due anni pare avvitato su se stesso, è ormai il motore di un’inquietante deriva. Come presidente della Repubblica, avrebbe dovuto tenersi ai margini della contesa elettorale. Invece è comparso dappertutto, a volte con il Corano in mano. Questo voto ci coinvolge, perché se il partito islamico moderato della giustizia e dello sviluppo Akp riuscisse ad ottenere due terzi dei seggi, il capo dello Stato cercherebbe di trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale. In sostanza: nella sua personale dittatura. E’ vero, tuttavia, che i sondaggi non gli sono favorevoli, e che se il partito curdo Hdp riuscisse a superare la barriera del 10% diventando la quarta forza dell’Assemblea, per l’Akp sarebbe impossibile ottenere la maggioranza assoluta e governare da solo. In sostanza, il voto di oggi non è un voto parlamentare ma un nuovo referendum su Erdogan, che anche in politica estera ha ormai pessimi rapporti con tutti. Guarda con tolleranza lo Stato islamico di Al Baghdadi, non ha rapporti con l’Egitto, è contro Israele, sostiene i rivoltosi in Libia, e irrita gli alleati occidentali. E odia i giornalisti. In Turchia utilizza la repressione, fuori non rispetta nessuno. Ecco perché il voto di oggi non solto è cruciale, ma fatale.