Tonia Mastrobuoni, La Stampa 6/6/2015, 6 giugno 2015
DALL’AMBIENTE ALLE CRISI DI ATENE E UCRAINA TUTTI I DOSSIER PASSANO DA FRAU MERKEL
La Grecia non è solo il tallone d’Achille dell’Europa. E’ anche quello di Angela Merkel. Otto anni fa, l’ultima volta che la Germania ospitò la riunione dei Grandi, c’era anche la Russia, e il G8 si svolse sul Mar Baltico, a Heiligendamm. La foto che fece il giro del mondo fu quella dei leader stipati in una cesta-sdraio in vimini, tipica di quelle latitudini. Merkel emerse dal G8 come la «Klimakanzlerin», la «cancelliera ambientalista»: aveva duellato con George W. Bush fino a strappargli, per la prima volta, l’ammissione che i cambiamenti climatici potevano essere qualcosa indotta anche da mano umana. La Grande crisi era appena cominciata, Merkel era al governo da due anni. Svettava già in un’Europa senza leader, ma era ancora lungi dal diventare la regina del continente.
Otto anni dopo, la cancelliera ha scelto di ospitare il vertice “meno uno” -orfano della Russia- nelle Alpi bavaresi, dal lato opposto della Germania. Il programma previsto nel magnifico castello di Elmau, costruito un secolo fa per ospitare artisti in un paesaggio mozzafiato, è fitto. Nei contenuti della bozza del comunicato conclusivo che circolano già, gli sherpa capeggiati da Lars-Hendrik Roeller scrivono che l’epidemia di Ebola dovrà servire da lezione per stabilire un regime sanitario internazionale, persino con l’impegno di caschi bianchi per la prevenzione.
Andrà definito un piano per combattere le resistenze agli antibiotici e per tutelare i mari dal riscaldamento globale. C’è anche l’impegno a rendere più trasparenti le filiere della produzione, in modo da tutelare di più i lavoratori in un mondo globalizzato. Infine, c’è un focus su come proteggere le donne nei Paesi poveri e impegni sulla regolamentazione finanziaria e contro l’evasione fiscale.
Ma è ovvio che a tener banco saranno altri temi, più urgenti. Due, in particolare, saranno la cartina di tornasole per giudicare la leadership di Angela Merkel fin nei libri di storia: la Russia e la Grecia. A oggi, quella della Kanzlerin è risultata una leadership «a corrente alternata». Forte, nel caso della crisi ucraina. Debole, nel caso della Grecia. Tuttora, l’unanimità nella decisione di imporre le sanzioni alla Russia è uno straordinario risultato del governo merkeliano del conflitto; insieme ai due accordi di Minsk che non sono ancora sfociati in un accordo di pace, ma che hanno scongiurato la degenerazione della guerriglia nella parte orientale del Paese in guerra aperta. E dopo i disastri combinati dalla Ue nel disegnare gli accordi per l’ingresso dell’Ucraina dell’Unione senza mai considerare le mire espansionistiche di Mosca anche nell’economia, è stata Berlino a scongiurare, un anno e mezzo fa, lo sfocio dei sanguinosi disordini di Maidan in una guerra civile.
Il problema, per Merkel, è e resta la Grecia. Fu la sua tentennante regia europea, nella primavera del 2010, a far lievitare i costi del salvataggio da una trentina di miliardi ai 110 del primo pacchetto di maggio. Nel 2012, fu Mario Draghi, in extremis, a doverle spiegare l’ovvio: che l’euro sarebbe saltato, senza rimedi seri (che furono una seria unione bancaria e lo scudo anti-spread). E ora, il suo intervento da deus ex machina dei giorni scorsi, sembra già fuori tempo massimo. Il dialogo si è incancrenito da mesi, ma Merkel ha deciso di aspettare fino all’ultimo momento per intervenire. Ora potrebbe essere tardi.
Tonia Mastrobuoni, La Stampa 6/6/2015